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Wednesday, July 28, 2004

Kerry il "normalizzatore"

... Bush il "duce" nel periodo d'emergenza della Res Publica americana
Trovo che la lettura che Il Foglio ha dato ieri della campagna elettorale americana, ricalcando le acute osservazioni di Andrew Sullivan sul Sunday Times, tradotte ieri, non sia del tutto fuori luogo e contenga degli spunti molto interessanti. 1972 ha trovato invece nelle parole di Sullivan la «ricerca di qualsiasi pretesto per non votare Bush» e si è convinto che «tutto nasca dal rancore per il supporto all'emendamento costituzionale contro i matrimoni omosessuali recentemente bloccato dal Senato». Non so dire se sia o no così, io leggendo l'articolo non ho avuto la stessa impressione di 1972. Non dico che ogni argomentazione di Sullivan su Bush fosse convincente, ma la tesi di fondo è stuzzicante. Un Bush "di sinistra" perché radicale nelle sue politiche di rottura con molti degli schemi tradizionali del conservatorismo Usa. Un Kerry "conservatore" perché per forza di cose si trova a dover intercettare la voglia di "normalizzazione" dopo gli eventi frenetici post 11 settembre. In fondo non è altro che la domanda che sapevamo prima o poi di doverci porre: fino a quando gli americani avrebbero sopportato lo "stress" da Res publica «under attack». Ciò che Sullivan sottovaluta semmai è che da tempo - già con Reagan - i repubblicani sono un po' meno conservatori, hanno superato alcuni vecchi schemi acquisendo una visione più dinamica della società americana e del mondo, elaborando politiche più incisive, dotandosi dunque di una maggiore forza mobilitante. L'11 settembre ha impresso un'accelerazione a questa evoluzione. La figura emblematica è proprio quella di Bush jr., il quale però è lungi dal rappresentare in modo compatto ogni componente del conservatorismo americano.

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