«L'economia dell'offerta - nota giornalisticamente come Reaganomics - ha avuto il merito di elevare la microeconomia al di sopra della macroeconomia. La microeconomia si occupa della gente e del modo in cui questa investe il proprio lavoro e i propri capitali nel mercato. La macroeconomia si occupa dei rapporti intercorrenti tra figure maestose ma spettrali: il prodotto nazionale lordo, la produttività, etc etc. Il clero dei massimi economisti obiettava che il taglio delle tasse poteva essere giustificato soltanto se accompagnato da un simultaneo taglio delle spese. Gli offertisti replicavano che questa strategia li avrebbe condannati a restare in attesa per sempre, perché, in democrazia, la classe politica può ottenere vantaggi politici soltanto se spende denaro in favore della sua base elettorale, non certo cancellando i programmi che la avvantaggiano. Lentamente, gli economisti conservatori cominciarono a capire la saggezza della strategia dell'offerta».
Irving Kristol
Friday, July 30, 2004
Lezioni dal passato per i Dpef dei sogni
Kerry e il solito equivoco da ex-Pci
«L'equivoco intorno a Kerry pacifista mostra una desolante mancanza di cultura politica. L'America è un sistema integrato di istituzioni democratiche e opinione pubblica, in fatto di politica estera e di sicurezza agisce una tradizione nazionale sperimentata e di assetto fondamentalmente bipartisan nelle scelte strategiche. Le agenzie delicate come la Cia sono al di sopra del cambio di amministrazione, il Congresso delibera e indaga con passione e sa controbilanciare l'esecutivo, ma anche quando c'è divisione e discussione, perfino nel circuito della stampa più seria e autorevole, non ci sono mai due Americhe, ce n'è una sola. Il mito giornalistico dell'altra America è una vecchia eredità intellettualistica e propagandistica dell'epoca in cui i cold warriors legati all'Unione Sovietica, e i loro indipendenti di sinistra, lavoravano per annettersi idealmente una regione dell'occidente che non esisteva nell’interesse superiore dello stato guida. Kerry promette di lavorare per un'America più forte e più sicura negli stessi termini di Bush: afferma di poterlo e di saperlo fare meglio, e se vorrà convincere la maggioranza degli americani dovrà portare prove solidissime. Ma la sua America è la stessa di quella del comandante in capo».Altre impressioni:
Il Foglio, 30 luglio 2004
Il New York Times si è lamentato perché Kerry «non ha fornito un programma chiaro sull'Iraq»: gli elettori «avevano bisogno di sentirsi dire che aveva capito di aver fatto un errore appoggiando l'invasione. E' chiaro che Kerry non lo farà, e questo è una vergogna». Sugli altri aspetti, «Kerry e John Edwards hanno programmi chiari per l'agenda domestica, la sanità in particolare. La proposta di tagliare le tasse alla middle class però è pura propaganda».«Occasione perduta» anche per il Boston Globe; «Miopia» per il New York Post; «Apocalypse Kerry», titola The New Republic, mentre per USA Today Kerry è «indeciso fino alla fine».
Per il Washington Post il discorso di Kerry è stato «politicamente efficace», ma il candidato «ha perso un'opportunità di dimostrare il tipo di leadership di cui ha bisogno il paese». E' stato debole per l'assenza di riferimenti alla «difficile verità che le truppe Usa dovranno rimanere in Iraq a lungo» e perché «non fondate sulla realtà» le promesse di fermare l'emigrazione dei posti di lavoro all'estero e di svincolare l'America dalla dipendenza del petrolio mediorientale.
Christian Rocca sul suo blog ha definito quello di Kerry un «ottimo discorso, degno di una bella convention, sebbene suoni strano che il candidato alla leadership del mondo libero non citi l'Iran, non dica che cosa voglia fare dell'Iraq, del conflitto arabo-israeliano eccetera. Kerry ha soltanto spiegato ad americani, europei e alleati che in Iraq ci sarà un maggiore impegno Usa, se vincesse lui. Lo slogan, ottimo, è "l'America può fare meglio". Non di meno. Di più, e meglio. La guerra al terrorismo si fa, perché sono stati loro, i nemici, a dichiararla. Troppo populista, poco liberale, e irrealizzabile il programma economico. Commovente il passaggio sulla ricerca scientifica che può salvare vite umane. In generale, la giornata di ieri, sembrava la convention del Pentagono, non dei liberal di sinistra. Guerra, generali, soldati, veterani, Vietnam, onore, bandiere, chissà che ne pensa Pecoraro Scanio...».
Questo l'articolo sul Foglio.
Thursday, July 29, 2004
Diritto-dovere di ingerenza nel Darfur
«Hope is on the way»
«L'obiettivo è proprio questo, mostrare agli americani che i democratici non sono un partito di teste matte di sinistra incapaci di difendere con vigore gli interessi e il popolo americano. Barra al centro, dunque. Puntare su un'America più forte e dimostrare serietà e responsabilità».
Il Foglio, 29 luglio 2004
Finalmente Edwards ha parlato di guerra e di sicurezza, e lo ha fatto da falco. Impegno in Medio Oriente, più truppe in Iraq, nessuna pietà per Al Qaeda: «We will destroy you».
Wednesday, July 28, 2004
Quale «normalità» è la chiave
Detto ciò, nessuno può dire come andrà a finire: Bush può perdere perché rischia di passare per "radicale" allo stesso modo in cui Kerry può perdere passando per "pappamolle". Insomma, è la democrazia e saranno la testa, ma anche lo "stomaco" degli elettori a decidere. E' chiaro che l'idea che per ritrovare la normalità basti cacciare Bush è un'illusione, ma se dovesse essere decisiva mi sentirei comunque di tranquillizzare 1972. Anche se adesso Kerry sembra un flip-floppers, se dovesse vincere governerà con polso. Ho l'impressione che là in America l'idea che "battuto Bush anche Al Qaida sparirà d'incanto come in un incubo" è pura retorica elettorale che dal 3 novembre sparirà d'incanto. Lì, viceversa che in Italia, le campagne elettorali durano mesi, ma poi si chiudono e il governo comincia a governare. Sarà così anche stavolta, non siamo - neanche con Kerry alla Casa Bianca - alla vigilia della resa americana di fronte al terrorismo.
Compassion over ideology
Il Progess' del martedì
Schianto del governo sotto assedio dei poteri forti
«Se davvero è quella la manovra che Berlusconi pensa di fare, non ci si può che interrogare. Perché di quella congerie di misure l'unica cosa che arriverebbe a elettori e contribuenti è l'aggravio fiscale immediato per altri 3 miliardi di euro. Con l'Irpef abbattuta rinviata a babbo morto e per importi ridicoli, regalie di cui nessuno si renderebbe conto. Mentre imprese, banche e sindacati da una parte inneggiano all'operazione-verità con cui il governo si è dato da solo del falsario. Dall'altra chiedono – comprensibilmente, a questo punto – che visto che di meno Irpef non c'è traccia se non labiale, almeno vi sia una disponibilità a risorse per rilanciare lo sviluppo. Che cosa resta, nella bisaccia di governo, perché il premier possa pensare di evitare che l'operazione-verità si traduca in una marcia funebre? (...) Gli indicatori di fiducia degli italiani sono bassi come nel 1992. E' evidente e innegabile, che oggi non siamo in condizioni di economia reale neppure lontanamente paragonabili a quando la lira era sotto schiaffo e rischiavamo addirittura il default. Aver consentito che una tale sfiducia prendesse piede, in assenza di ragioni che oggettivamente la giustificassero, è purtroppo un insuccesso che parla da solo».Fra due anni ad Arcore per favore!
Il Foglio, 28 luglio 2004
Kerry il "normalizzatore"
Trovo che la lettura che Il Foglio ha dato ieri della campagna elettorale americana, ricalcando le acute osservazioni di Andrew Sullivan sul Sunday Times, tradotte ieri, non sia del tutto fuori luogo e contenga degli spunti molto interessanti. 1972 ha trovato invece nelle parole di Sullivan la «ricerca di qualsiasi pretesto per non votare Bush» e si è convinto che «tutto nasca dal rancore per il supporto all'emendamento costituzionale contro i matrimoni omosessuali recentemente bloccato dal Senato». Non so dire se sia o no così, io leggendo l'articolo non ho avuto la stessa impressione di 1972. Non dico che ogni argomentazione di Sullivan su Bush fosse convincente, ma la tesi di fondo è stuzzicante. Un Bush "di sinistra" perché radicale nelle sue politiche di rottura con molti degli schemi tradizionali del conservatorismo Usa. Un Kerry "conservatore" perché per forza di cose si trova a dover intercettare la voglia di "normalizzazione" dopo gli eventi frenetici post 11 settembre. In fondo non è altro che la domanda che sapevamo prima o poi di doverci porre: fino a quando gli americani avrebbero sopportato lo "stress" da Res publica «under attack». Ciò che Sullivan sottovaluta semmai è che da tempo - già con Reagan - i repubblicani sono un po' meno conservatori, hanno superato alcuni vecchi schemi acquisendo una visione più dinamica della società americana e del mondo, elaborando politiche più incisive, dotandosi dunque di una maggiore forza mobilitante. L'11 settembre ha impresso un'accelerazione a questa evoluzione. La figura emblematica è proprio quella di Bush jr., il quale però è lungi dal rappresentare in modo compatto ogni componente del conservatorismo americano.
In Italia dilaga l'individualismo
Per preservare questi interessi particolarissimi il piano è quello di sempre:
«Bisogna conservare lo Stato sociale – costruito quando abbondavano i bambini e l'età media era di dieci anni più bassa – Stato che, non essendo stato riformato, è tra i più costosi e inefficienti del mondo. Bisogna conservare un sistema pensionistico destinato al collasso, bisogna soprattutto conservare e aumentare la spesa pubblica, proprio quella corrente, fatta degli stipendi degli inamovibili dipendenti pubblici. Per farlo, questi difensori dell'interesse pubblico chiedono di alzare l'inflazione programmata, che poi si riflette in rincari per tutti. In compenso non si debbono ridurre le tasse, in modo che si possa continuare ad aumentare le maestre nelle scuole con meno allievi. Ormai i sindacati, in tutta Europa, sono forti solo dove si lavora meno, in alcune grandi fabbriche cogovernate dai consigli dei delegati, nel pubblico impiego e fra i pensionati (che non lavorano più). Quelli che lavorano di più, titolari e dipendenti delle aziende familiari o piccole e medie, giovani che si arrabattano nel mercato del lavoro flessibile del terziario, non trovano adeguata rappresentanza nel salotto buono della concertazione, né dalla parte sindacale né da quella aziendale».Prevale la convinzione che sia "democratico" riunire e accontentare le più numerose rappresentanze sociali e d'impresa possibili, ma è un fatto innegabile che si tratta solo di una nuova "Camera dei fasci e delle corporazioni" di mussoliniana memoria. La democrazia rappresentativa è un'altra cosa: il governo eletto rappresenta per quattro o cinque anni l'interesse generale e porta avanti la sua politica in modo autonomo. Può essere impopolare, ma non sarà anti-popolare.
«Un concerto di solisti», Il Foglio, 27 luglio 2004
Non bisogna farsi troppe illusioni neanche sul nuovo ministro Siniscalco. Per quanto certo validissimo, mi pare che abbia più le sembianze del funzionario disciplinato e senza troppi grilli per la testa, più indirizzato a prendere ordini che non a sviluppare una politica autonoma.
Gli inganni però devono almeno cessare, le maschere venir via, e che si sappia una volta per tutte: il taglio delle aliquote fiscali - pilastro della politica tremontiana incentrata sullo sviluppo - è stato bloccato, dai poteri "forti" che hanno trovato valide sponde in An e Udc, non tanto per timore di sforare il tanto evocato patto di stabilità e di aggravare il deficit pubblico, ma perché quei soldi (i nostri soldi) devono essere elargiti a quegli interessi particolarissimi che quei poteri forti - e partiti come An, Udc, Ds - rappresentano. Berlusconi cosa crede di guadagnarci? I voti del ceto "improduttivo", come nella Prima Repubblica tornati ad essere decisivi. Fine del discorso.
Tuesday, July 27, 2004
L'Ecosoc assolve il PRT. Un atto conservativo o un passo nella direzione giusta?
Il fronte compatto di dittature; il rinsaldarsi improvviso della ormai sbiadita - ma pur sempre fastidiosa - corrente dei non-allineati; i toni antiamericani; il carattere stalinista delle accuse vietnamite; l'appeal che il confronto con l'Occidente ha esercitato sui Paesi asiatici. L'addensarsi di tutte queste spinte destabilizzanti - probabilmente più dell'amore per il PRT - ha indotto le delegazioni dei Paesi democratici ad opporsi ad una sconfitta che, per come si erano messe le cose, sarebbe apparsa fin troppo costosa, sia sul piano della credibilità politica, sia sul piano personale. Puro istinto burocratico di conservazione dunque, ma forse è da considerarsi una coincidenza fortunata il fatto che proprio sul PRT questi fattori negativi si siano concentrati, innalzando un tale livello di rischio politico anche sulle spalle delle delegazioni occidentali.
Questa coincidenza, oltre a salvare i radicali, ha responsabilizzato i membri democratici dell'Ecosoc, permettendogli di vivere sulla propria pelle la necessità di una collaborazione più stretta tra di loro, fondata e motivata dai vincoli ideali che li accomunano. Guarda caso proprio quel fronte di lotta del PRT per un'Organizzazione mondiale delle democrazie, o comunque per un Comitato delle democrazie che sappia operare di comune accordo all'interno delle Nazioni Unite.
Ma non bisogna esagerare la portata di un voto che ha riguardato una piccola Ong. Si tratta pur sempre di un debole colpo di vento in un oceano di eventi che mostrano una tendenza netta da parte dei membri dell'Onu a contraddirne la carta costitutiva. Il giudizio complessivo sulla salute dell'Organizzazione e sulla sua autorevolezza non può che rimanere estremamente negativo. All'elefantiasi burocratica, alle politiche dei membri europei, sempre più dediti all'appeasement nei confronti delle dittature di ogni etnia, latitudine e credo, sembra aggiungersi il disinteresse degli Stati Uniti, indecisi sul da farsi: se abbandonare al suo destino l'elefante morente, o farsi promotori di una profonda istanza riformatrice che però in questo momento non potrebbe che suscitare serie opposizioni anche dall'interno del campo democratico.
P.S.: A chi invece si aspettava da parte dei Paesi mediorientali e africani un trattamento più benevolo nei confronti del PRT, ha già risposto Marco Pannella: proprio per ciò che rappresentano le politiche della Bonino e del PRT, scosse di rinnovamento nel mondo mediorientale e africano, è «fisiologico» che emergano simili resistenze e «colpi di coda».
Le "vacanze intelligenti" di Rutelli e Fassino
Non basta una gita a Boston. Dai "Democrats" vi separa un abisso
Pare proprio che Rutelli e Fassino siano sulla via di Boston per omaggiare il candidato democratico alla Casa Bianca, John F. Kerry. Ma soprattutto per ripulirsi un'immagine piuttosto ingrigita dalle giravolte sull'Iraq. Pare però che non dovranno incontrare Kerry, così da non dovergli spiegare perché, mentre criticava Bush chiedendo l'invio di più truppe in Iraq, invece loro insistevano per far scappare l'Italia e marciavano sorridenti e solari in dignitosi cortei assieme agli antiamericani di tutte le latitudini politiche. Meglio per i nostri "prodi" sedicenti "riformisti" che non parlino di Iraq, ma solo di Bush.
No. Non basta una gita a Boston, dai "Democratici" li separa un abisso. Cosa rimarrà a Fassino e Rutelli di questa scampagnata è difficile dirlo. Chi non ricorda le «vacanze intelligenti» alla biennale di Venezia dei provincialotti fruttivendoli Remo e Augusta?
La passerella nei salotti radical chic vuol essere di buon auspicio per un regime change alla Casa Bianca, una sorta di scivolo per quello più agognato a palazzo Chigi.
Peccato che da bravi provinciali senza idee Rutelli e Fassino saranno a Boston «più per farsi vedere che per vedere, più per farsi ascoltare che per cercare di capire» (Il Foglio). Pessimi.
Sovversivi
«Il primo sminuisce la minaccia terroristica palestinese negando l’efficacia della barriera come strumento difensivo. Il secondo riconosce diritto d’Israele all’autodifesa soltanto contro Stati, non contro attori come il terrorismo palestinese, che diventa quindi legittimo. Il terzo definisce i territori come palestinesi, trasformando la linea verde da linea provvisoria di cessate il fuoco a confine internazionale sacro e inviolabile. Il problema non è il terrorismo, ma l’occupazione; tutto il territorio, nonostante la risoluzione 242 dica il contrario, sarebbe palestinese; la barriera non è uno strumento di difesa ma di annessione di terra non più oggetto di contesa, ma aggiudicata, senza tenere in considerazione la 242, ai palestinesi. Israele perde qualsiasi rivendicazione e dovrebbe ritirarsi. I negoziati servono a regolare il ritiro israeliano, null’altro. Questo il significato dei due documenti e la natura della posizione dell’Unione europea. Quando le politiche di Sharon stanno dando i loro frutti e la strategia palestinese è a un passo dal collasso, la Corte internazionale e l’Assemblea generale offrono all’Europa una scusa per impedire a Israele di vincere la guerra scatenata dai palestinesi, dandogli la sola opzione possibile di capitolazione e resa incondizionata».
Emanuele Ottolenghi, Il Foglio, 22 luglio 2004
Monday, July 26, 2004
Siamo a Peppone e Don Camillo in salsa lucana
Beh, per chi sia suonata la campana, noi qui ne abbiamo una vaga idea!
Ma vaga.
Sunday, July 25, 2004
Onu. In fondo non è ancora tutto perso...
Anche l'Africa col "mal di Francia"
La soluzione realistica, cui si richiama Veltroni, non può convivere con la demagogia altromondista. O si sta con Wto e Banca mondiale o con Chirac e i rockettari no-global». Leggi tutto
Il Foglio
Sopravvivere avviandosi a vedersi sconfitto
Il doppio errore del Dpef sui tagli fiscali:«Per l'Iraq, Tony Blair è andato in Parlamento e ai suoi deputati in rivolta ha detto in sostanza: "Se mi votate contro andiamo tutti a casa, io non cambio idea". Noi abbiamo un capo del governo che, dopo aver vinto le elezioni con una maggioranza mai raggiunta in Italia, si è comportato in modo diametralmente opposto. Nella convinzione che il plebiscito non si tenga tutti i giorni, ma ogni cinque anni, evitando di mettersi in gioco ogni volta che il gioco si è fatto duro. La crisi di leadership di Berlusconi sta tutta qui: nel costante tentativo prima di sopravvivere, poi di governare. Come un qualunque capo di un governo della Prima Repubblica, quelli, per intenderci, che governicchiavano per nove mesi. Ma sopravvivere, in politica, non vuol dire governare, bensì il suo contrario: non governare per sopravvivere».
Piero Ostellino, Corriere dellla Sera
«... una promessa non mantenuta – errore politico – con misure che rischiano di avere un effetto di rilancio della crescita assai contenuto – errore economico».
Il Foglio
Chiediamo un «lasciapassare per la modernità», la sinistra batta un colpo
«Se è vero che il partito berlusconiano vive una crisi in cui si esaurisce il suo rapporto con l'Italia produttiva che fu all’origine della vittoria del 2001, nessuno crede che la sinistra sia oggi pronta a governare il Paese.
Forse il centrosinistra sarebbe più sicuro del suo futuro, se riuscisse a imitare Blair. Parlare (invece di disprezzarla) alla stessa Italia che ha votato Berlusconi e che gli ha chiesto in buona fede, magari senza ottenerlo, un lasciapassare verso la modernità. Per farlo servono due cose: un’idea semplice ma accattivante della società e del suo sviluppo; una forza politica credibile e coesa alle spalle. Al momento il centrosinistra non possiede né l’una né l’altra.
Quello che davvero occorre non è un contratto per garantire porzioni di potere, bensì un'idea dell'Italia non retorica. Un’idea su cui ricreare quel «blocco sociale di riferimento». Leggi tutto
Friday, July 23, 2004
"Antisemiti progressisti" e "mal di Francia"
«Lungi dall'essere una semplice conseguenza dell'intifada, la crescita dell'antisemitismo è parallela all'ondata di antiamericanismo che ha investito l'Europa dopo l'11 settembre e che l'ha sommersa dopo la guerra in Iraq. La diplomazia francese capeggia la crociata antiamericana. E se la Francia politica, pressoché all'unanimità, ritiene che i dirigenti americani e israeliani si siano messi fuori dalla legge, non deve sorprendere che gli emuli dei martiri di Hamas nuotino come pesci nell'acqua in una Francia che riconosce due grandi nemici: Sharon e Bush».Prova ne è l'ultimo episodio in ordine di tempo: il voto dell'assemblea generale dell'Onu, in conformità al parere della Corte dell'Aja del 9 luglio, contro la barriera difensiva voluta da Sharon. Voto di per sé non sorprendente, se non per il fatto che, proprio grazie all'intenso lavorìo della diplomazia francese, i 25 membri dell'Unione europea hanno votato compatti contro Israele.
André Glucksmann, WSJ
«In epoca di guerra fra occidente e terrorismo islamico portare, come accade in questi giorni, le relazioni tra le democrazie europee e quella israeliana vicine al punto di rottura non può accrescere la sicurezza dell'occidente e dell'Europa. Piuttosto che atteggiarsi a improbabili pacificatori del Medio Oriente i governi europei dovrebbero finalmente avviare una "franca discussione" su tutti gli errori commessi. (...) In questa fase storica il risorgere dell'antisemitismo in Europa e il conflitto israeliano-palestinese sono intimamente legati e l'Europa non può più fingere che nella sua politica verso Israele non si siano accumulate ombre pesanti. Soprattutto, se pretende di svolgere un ruolo pacificatore nella regione. Il caso della Francia è emblematico. Per diversi anni le autorità hanno minimizzato il fenomeno dell'antisemitismo montante (...). C'è una assai probabile connessione fra il risorgere dell'antisemitismo e la posizione francese nel conflitto israeliano-palestinese».Un perfetto esempio dell'entità del problema ci viene offerto dalle parole di Gianni Vattimo sul Manifesto, per il quale la sinistra dovrebbe assumere - se già non lo ha fatto - l'antiamericanismo come propria connotazione politica e culturale:
Angelo Panebianco, Corriere della Sera
«Ben al di là dell'insofferenza per Bush e i suoi accoliti, non sarebbe ora di scoprire, anche sul piano culturale, che la sinistra o è antiamericana (meglio sarebbe dire altermondialista) o non è?»
In Iraq una guerra antifascista. Una «prova vivente»
«La maggior parte degli iracheni considera assolutamente prioritario il dovere morale e politico di una guerra di liberazione. Per molti di noi in Iraq, che hanno fatto esperienza diretta delle armi di distruzione di massa di Saddam Hussein, la polemica sulla mancanza di prove sull'esistenza di queste armi è del tutto incomprensibile. Per noi in Iraq, la minaccia delle armi di distruzione di massa non si riduce a una sterile questione di cifre. Sono state usate regolarmente da Saddam come strumento di repressione. (...) Il regime fascista di Saddam Hussein è costato la vita ad almeno due milioni di iracheni. Le fosse comuni sono una ragione sufficiente per giustificare la moralità di questa guerra di liberazione. Io, come curdo e come iracheno, so, forse meglio di altri, che la guerra è una cosa devastante, alla quale bisognerebbe sempre opporsi. Eppure, per noi, questa guerra ha segnato la fine di una guerra ben più brutale che era stata scatenata contro lo stesso popolo iracheno... Nonostante le immagini che, sugli schermi delle televisioni occidentali, presentano l'Iraq come una spaventosa tragedia, per la maggior parte degli iracheni, i quali non hanno conosciuto altro che gli assassini e le violenze del regime di Saddam, questi ultimi dieci mesi sono stati un periodo di straordinari passi avanti per la creazione di una società libera. Questa è la prima volta nella storia dell'Iraq, e forse in tutta la storia del medio oriente islamico, in cui il popolo ha la possibilità di partecipare a un vasto e serio dibattito politico sul futuro del suo paese».Quindi Berman invita i liberal e il mondo della sinistra ad aprire bene le orecchie sul dibattito iracheno, non solo per sentire «l'antipatica voce di George W. Bush», ma per sentire quella ben più significativa «della sinistra democratica in Iraq». E' stata «una guerra per la democrazia, non per il petrolio. E' una guerra antifascista. E’ una guerra che, almeno per il momento, ha portato al potere, come vice primo ministro, un uomo di grandissima autorità nella lotta per la libertà in Medio Oriente. Ora quest'uomo chiede la nostra solidarietà. E si merita pienamente di averla».
Barham Salih, vice primo ministro iracheno, a Madrid, intervenendo all'Internazionale socialista
Paul Berman
Inediti dal Medio Oriente
Memri
Il bipolarismo sopravviverà sia a Berlusconi sia al ritorno al proporzionale
Corriere della Sera
Thursday, July 22, 2004
11/9. Fu il «fallimento dell'immaginazione»
>> Leggi
RadioRadicale.it
Su Cnn.com
Altri rapporti:
Iran. Trattare o colpire?
Edi-zione straordinariaaaaaaaaaaaa!
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Wednesday, July 21, 2004
Basilicando Vol.1
E' un appuntamento vero, non una burla. Non solo Radicali in Basilicata.
Il First Strike è dottrina anche dei "Democrats"
La guerra come «ultima opzione», da utilizzare solo qualora fallissero tutti gli altri tentativi. Gli attacchi preventivi talvolta sono necessari, ma meglio con gli alleati: «Dobbiamo costruire e guidare un consenso internazionale per un'azione preventiva e tempestiva per fermare e mettere al sicuro le armi di distruzione di massa esistenti e il materiale necessario a fabbricarne altre». Bush? No, Kerry. Ma neanche lui è disposto a chiedere troppi permessi: «Non attenderemo mai la luce verde dall'estero quando in gioco ci sarà la nostra sicurezza, ma dobbiamo arruolare coloro il cui sostegno è necessario per una vittoria definitiva».
Ma allora, verrebbe da chiedersi, qual è la differenza tra Bush e Kerry in politica estera? La differenza è minima. Bush e Kerry ripongono un diverso grado di fiducia sugli alleati. La Francia e le Nazioni Unite sono il problema. L'accusa a Bush è di aver allontanato alcuni dei tradizionali alleati americani, ma Kerry dice che se sarà necessario saprà convincerli. Anche Bush ne era convinto e ha trascorso più di un anno all'Onu, ma ha fallito. Kerry invece è convinto di riuscirci, anche se i Democratici non forniscono dettagli su come si comporterebbero se incontrassero le opposizioni incontrate da Bush. Se Kerry vincerà le elezioni il 2 novembre, sapremo di chi è la colpa: se della «vecchia Europa», o di un arrogante cowboy in sella al cavallo più veloce del west.
«Strong at home, respected in the world»
«Sappiamo che promuovere la democrazia, i diritti umani e lo stato di diritto è vitale per la nostra sicurezza di lungo periodo. Gli americani saranno più sicuri in un mondo di democrazie. Lavoreremo con le persone e le organizzazioni non governative che in giro per il mondo si battono per la libertà. Ristabiliremo la credibilità e l'impegno dell'America come forza per la democrazia e per i diritti umani, a partire dall'Iraq».Neocons? No, Kerry. Dopo la fase "kissingeriana" (stabilità prima di democrazia), sembra assumere come priorità anche l'esportazione della democrazia. L'idea di «difendere e promuovere la libertà in giro per il mondo» è alla origine stessa della nascita dell'America, «un'America rispettata e non solo temuta».
Dunque, gli obiettivi «di sempre: proteggere il nostro popolo e il nostro modo di vivere, aiutare a costruire un mondo più sicuro, più pacifico, più prospero, più democratico». Come? «Per prima cosa c'è da vincere la guerra al terrorismo, poi fermare la diffusione delle armi nucleari, biologiche e chimiche e, terzo, promuovere la democrazia e la libertà in giro per il mondo, cominciando da un Iraq pacifico e stabile».
I quattro pilastri della politica estera di Kerry: una nuova era di alleanze internazionali per il mondo post 11 settembre; modernizzare l'esercito, aggiungendo 40 mila uomini e raddoppiando il numero delle Forze speciali; utilizzare al meglio «la diplomazia, i servizi segreti, il potere economico e l'attrazione che esercitano i valori e le idee americane» e, infine, fare in modo che l'America non dipenda più dal petrolio mediorientale.
Fonte Il Foglio
ChIraq nervosetto
«Le parole del premier israeliano non aiutano, ma il problema esiste e la magistratura non lo reprime». E' Alexandre Adler, editorialista del Figaro, al Foglio: Leggi qui.
Nazioni Unite alla deriva/1
Tuesday, July 20, 2004
Le parole di Kok Ksor per salvare il PRT all'Onu
Nuova rubrica su Radio Radicale
>> Ascolta il collegamento
Sunday, July 18, 2004
Riformare l'Onu. L'amministrazione Usa pensa ad un caucus delle democrazie
Il 24 ottobre scorso, in occasione di un incontro sul tema al Council on Foreign Relations, l'assistente di Colin Powell presentava un documento intitolato The Challenges Facing the United Nations Today: An American View, un vero e proprio progetto americano per la riforma dell'Onu, in 7 principi guida: responsibility, accountability, effectiveness and rationalization, stewardship of financial resources, modernization, credibility, freedom. Ne avevo parlato qui.
Il fattore Iran. Next Step?
Poi c'è la chiusura del processo farsa sull'uccisione della giornalista iraniana-canadese Zahra Kazemi, morta l'anno scorso in un carcere iraniano per le percosse subite. Il premio nobel Shirin Ebadi ha denunciato l'irregolarità del processo.
Tutti contro tutti a Gaza. Il fallimento di Oslo...
«Si può guidare un governo se l'uomo che dovrebbe esserne il tutore, il presidente palestinese Yasser Arafat, fa di tutto per impedirgli di governare? Favorendo, con il suo comportamento irresponsabile, sequestri di persona, terrorismo, lotte fratricide, vendette incrociate, corruzione sfrenata?». Inizia così oggi la corrispondenza sul Corriere della Sera.
Gli uomini di Dahlan contro quelli di Arafat e i miliziani di Hamas contro entrambi. E' il caos a Gaza, l'anarchia, il crollo dell'Anp, la guerra civile. Arafat continua a tenere per sé casse e servizi di sicurezza, senza mai neanche aver cominciato l'applicazione della road map. La riforma della sicurezza che tutti chiedvano come premessa indispenabile ora viene varata in poche ore, ma ai vertici ci sono i fedelissimi del raìs. Scoppia la rivolta, armata e non. In migliaia hanno sfilato contro le nuove nomine: «No alla corruzione, sì alle riforme e al cambiamento», era lo slogan. Ora è giusto chiedersi dove siano finiti i miliardi di dollari di dieci anni di finanziamenti che dovevano servire ad amministrare un territorio poco più grande del Molise con una popolazione di 3 milioni di anime. E chi lo forniva, sapeva dove finiva questo denaro?
E' anche la fine di Arafat, annunciata già un paio di anni fa. Solo gli europei hanno preferito non vederla, continuando a puntare sulla sua leadership quando era palese a tutti, anche ai palestinesi, che questa era "il problema" e non "la soluzione". L'ennesimo segnale di impotenza del vecchio continente.
Di Arafat: un grande terrorista, ma un pessimo statista. E a pagare i suoi errori sono i palestinesi.
Clinton con Blair: furono Chirac e Schröder a isolarlo sulla guerra
Giuliano Ferrara riassume:
«Blair, seguendo le regole della diplomazia tra alleati, cercò di convincere Bush, di condizionarne le scelte, e sul ruolo dell'Onu in parte ci riuscì. Chirac e Schröder abbandonarono la dialettica politica per darsi all'ostruzionismo, dividendo l'Europa, allontanando l'America dall'Ue, precipitando tempi e modi della crisi che volevano evitare. Chirac e, in misura minore, Schröder sono ancora tentati dall'ostruzionismo. Ha ragione Clinton».
«Concluso senza concludersi»
Ma «concluso senza concludersi» possiamo dirlo proprio del governo.
«Berlusconi misura ormai la sua solitudine. La sua base sociale, cioè le categorie che lo hanno sostenuto nella lunga avventura, appare perplessa e lontana, benché tutt'altro che convertita alle suggestioni del centrosinistra. L'Italia moderata che ha creduto in lui vede la paralisi, si interroga e va in vacanza senza sapere quali altre delusioni deve attendersi per settembre. Si capisce adesso quale danno abbia provocato al governo l'uscita di scena di Giulio Tremonti, subita da Berlusconi senza particolare sofferenza. Del governo Tremonti costituiva, nel bene e nel male, la spina dorsale».
Friday, July 16, 2004
La visione neocons lascia il passo ad un approccio «realistico»
Gli Stati Uniti devono affrontare la guerra al terrorismo ritrovando un approccio «realistico», «alla Kissinger», e abbandonando invece l'impostazione «ideologica, di scontro tra il Bene e il Male», cara ai neocons. E' l'indicazione che da studioso consegna al dibattito sulla nuova politica estera di Washington. Ma Olivier Roy libera il campo da ogni "teoria del complotto" sia sull'11 settembre, che sull'Iraq e i neocons. segue >>
RadioRadicale.it
Bolognetti, ma dove vuoi correre su è giù per la Lucania?
«Pronto, parlo col servizio percorribilità strade? Ah, buongiorno. Senta, io sono un socio ACI - numero di tessera 917655 barra UT come Udine Torino - la disturbavo per avere qualche delucidazione dato che mi devo recare a Roma a votare. Senta, ho sentito dal bollettino dei naviganti che è in arrivo un'area depressionaria di 982 millibbar, e questo purtroppo mi è anche confermato da un fastidiosissimo mal di testa che sopraggiunge ogni qualvolta c'è un brusco calo di pressione. D'altro canto caro amico questo è il prezzo che dobbiamo pagare noi metereopatici. Senta, io le domandavo questo, secondo lei, partendo fra circa... 3 minuti, e mantenendo una velocità di crociera di circa 80/85 chilometri orari, secondo lei faccio in tempo a lasciarmi la perturbazione alle spalle diciamo nei pressi di Parma?»
Sono della Margherita/2
Wednesday, July 14, 2004
Senti chi parla...
«Alcuni esponenti del PCI giudicano la presenza statunitense nel Golfo Persico in modo negativo. In realtà, gli Stati Uniti meritano di essere ringraziati, e non sgridati per aver salvaguardato gli interessi dell'interà comunità internazionale. (...) E' il caso di formulare un paio di rotondi "tuttavia". Il primo, di natura retrospettiva, dato che l'assunzione della responsabilità odierna non può cancellare le precise responsabilità di ieri. Ricordo di avere denunciato ormai dieci anni fa la compartecipazione di aziende del nostro paese ai tentativi di realizzare l'atomica irachena (ci pensò poi l'aviazione israeliana a bombardare, nell'81, il reattore "Osirak" e le relative "Hot Cells" di produzione italiana); ricordo l'azione politica e giudiziaria avviata da Roberto Cicciomessere sulla vicenda della tangente da 160 miliardi pagata a trafficanti di armi e droga per la fornitura della flotta italiana all'Irak; ricordo di non essere riuscito a porre ai voti una mozione parlamentare con cui si chiedeva al governo di attivare in sede Onu le procedure previste per condannare l'Irak per l'uso di armi chimiche; ricordo l'iniziativa ante litteram del deputato verde Sergio Andrei a proposito del ruolo della BNL nei finanziamenti ai paesi del Golfo in guerra. Queste vicende non valgono a testimoniare una "coerenza minoritaria": testimoniano l'incapacità di governi e di ministri che hanno macroscopicamente sbagliato giudizi e comportamenti nei confronti del dittatore di Baghdad. (...) Nessuno può sostenere la mancanza di indizi circa il delirio di potenza di Saddam Hussein, frenetico cercatore dell'arma atomica e criminale utilizzatore dell'arma chimica».
L'Unità, 21 agosto 1991
Fonte: Armi di attrazione di massa, n° 9 di "Diritto e Libertà"
Errori, non bugie
Tony Blair alla Camera ai Comuni: «Nessuno ha mentito. Nessuno ha inventato informazioni di intelligence. Nessuno ha inserito cose nel dossier contro il parere dei servizi di sicurezza». Accetta «in modo pieno» le conclusioni, ma rimane il fatto che «rimuovere Saddam non è stato uno sbaglio». (Qui il Corriere)
Il Foglio:
Non c'è alcuna prova che nell'operato del governo e dei servizi segreti inglesi ci sia stata una «distorsione deliberata» del materiale di intelligence o una «negligenza colpevole» nell'analizzarlo. Nessuno metta in dubbio la «buona fede» del premier, né la sua integrità, insiste Butler. Ogni responabilità per gli errori è collettiva più che individuale. Nella catena di montaggio dell'intelligence sono stati commessi errori importanti, che non vanno ripetuti, ma che sono più venali che capitali. «Alla luce delle sue azioni, che in alcuni luoghi ho già criticato, non vedo alcun motivo perché John Scarlett non sia riconfermato nel suo nuovo incarico (a capo dell'MI6; n.d.r.), per il quale è perfettamente idoneo». Leggi tutto
«Check Point Oriente»
Con questi qui al governo fra due anni
Verifica permanente
Sarà «strategia di sopravvivenza»? si chiede Gianni Riotta, il quale riconosce che Berlusconi ha «grinta, entusiasmo, una vitalità fantastica», ma che non basta. Come non bastano, osserva, le doti degli attuali capi di Stato e di Governo occidentali per farli dei leader capaci di quelle «scelte rapide e radicali» che la nostra epoca imporrebbe.
Per fortuna tutti contrari alla "classe islamica"
Tuesday, July 13, 2004
Di sinistra/2
Monday, July 12, 2004
Preferiscono rischiare i kamikaze che sopportare l'antisemitismo
Secondo la stampa israeliana, nel giugno scorso, al culmine dell'ondata di antisemitismo francese, si sarebbe svolta una riunione «preliminare» interministeriale del governo israeliano per discutere il progetto, o comunque come «venire in aiuto a quegli ebrei che decidessero di lasciare la Francia». Di rito le diplomatiche parole delle maggiori autorità della comunità ebraica francese che manifestano la volontà di restare.
Fonte Ansa
Saturday, July 10, 2004
Corti fantoccio all'Aja e Stato di diritto in Israele
«Rivedere il tracciato del muro in Cisgiordania» per «minimizzare le sofferenze del popolo palestinese». E risarcire gli abitanti palestinesi danneggiati. E' l'Alta Corte israeliana che - ben due settimane prima della Corte fantoccio dell'Aja - ha accolto in buona parte gli appelli presentati dagli avvocati dei palestinesi a cui sono stati confiscati terreni per innalzare la barriera. Il tracciato scelto dalle autorità militari penalizza inutilmente la popolazione palestinese. Quindi «lo Stato deve trovare alternative che diano magari meno sicurezza ma che danneggino meno la popolazione. E queste alternative esistono». Parliamo di 30 chilometri che dovranno essere smantellati e spostati. E gli abitanti palestinesi di quelle zone avranno diritto a risarcimenti. Il ministro della Giustizia israeliano Yosef Lapid (leader del partito centrista Shinui): «La decisione dei giudici conferma nella sostanza il nostro approccio: ossia che è necessario garantire la sicurezza agli israeliani, ma non a scapito della libertà di spostamento e di lavoro dei palestinesi». Il governo israeliano ha annunciato che correggerà parte del tracciato seguendo «i principi definiti dall'Alta Corte, in modo particolare l'adeguato bilanciamento tra il diritto alla sicurezza e considerazioni umanitarie», ha fatto sapere il ministero della Difesa in un comunicato.
Questa - di circa due settimane fa - è la notizia, mentre all'Aja fanno fiction, parlano di aria fritta.
Questo è lo Stato di diritto (in Israele e non negli altri Stati arabi) che i «Soloni dell'Aja» credevano di aver messo nel sacco con il loro inutile verdetto consultivo in cui chiedono all'Onu di imporre a Israele la distruzione del muro di difesa perché «illegale».
Al di là del fatto che l'Aja non ha contestato la costruzione di barriere difensive all'interno della «linea verde», cioè del confine israeliano prima del 1967; al di là del fatto che di "muro" non si tratta, essendo questo il 3% della barriera difensiva; e al di là del fatto che i paragoni con apartheid e muro di Berlino sono risibili, evidentemente brucia che la politica di sicurezza di Sharon (uccisioni mirate + barriera difensiva + piani unilaterali di ritiro) dia i suoi frutti (calo di poco più del 90% nel numero di attentati e di più del 70% di vittime del terrorismo). E siccome di una guerra si tratta, dichiarata da Arafat con la nuova Intifada, questo significa che i palestinesi la stanno di nuovo perdendo. La loro stolta e corrotta leadership terrorista e le loro ipocrite fratellanze arabe potranno vincere mille sentenze di corti di questo genere e avere mille prime pagine di settimanali, ma ancora una volta rimarranno sconfitti dalla storia e non possono che prendersela con se stessi.
Angelo Panebianco: «L'idea che Corti internazionali di giustizia possano, sempre e comunque, intervenire nei conflitti armati in atto per distribuire ragioni e torti, è figlia di una generosa (ma ingenua) utopia liberale ottocentesca. L'idea era che sui conflitti armati potesse decidere, sine ira et studio, un consesso di giudici. Allo stesso modo in cui il giudice è chiamato a risolvere, in ultima istanza, una disputa condominiale altrimenti incomponibile. Ma i conflitti internazionali non sono dispute condominiali. E non esistono giudici che possano intervenire sine ira et studio in un conflitto come quello israeliano-palestinese. Soprattutto, non esistono Corti che possano negare a uno Stato, nel caso specifico quello israeliano, di fare tutto ciò che esso ritiene necessario per proteggere la vita dei suoi cittadini». Punto. E' la realtà amici, altrimenti si combattono i mulini a vento.
Tanto "estremista" è la politica di Sharon che «forse nascerà un governo di unità nazionale Sharon-Peres e forse ciò porterà al ritiro israeliano da Gaza. Insieme all'aumentata sicurezza fornita dal muro (che comunque non potrà essere il confine definitivo dello Stato d'Israele, perché questo confine può nascere solo da un negoziato con i palestinesi), il preannunciato ritiro israeliano potrebbe modificare drasticamente lo scenario del conflitto. In meglio, sperabilmente. Pareri di imparziali Corti internazionali permettendo».
Queste sono corti fantoccio la cui esistenza e pratica legittima e fornisce fondamento alle ragioni di chi, in America, di aderire alla Corte penale internazionale proprio non se la sente. Bisogna riconoscere che non è ancora l'ora del diritto e della giustizia internazionale e che invece tira una brutta aria.
L'Africa sta per uscire dall'indifferenza mondiale?
Il segretario di Stato americano Colin Powell, intervenendo a una conferenza sul rapporto del Csis: «La normalizzazione non può esserci, non possiamo muoverci in una direzione positiva, fino a quando conflitti terribili come quello del Darfur in Sudan non saranno risolti». Inoltre, il nuovo ruolo che l'Africa deve assumere nel commercio internazionale, pesando di più nei negoziati in seno all'Organizzazione mondiale per il commercio (Omc).
Cento passi indietro
Per Magdi Allam un «duplice errore».
Che gran casino...
Corriere della Sera
Friday, July 09, 2004
"The Two Americans". Stanley Greenberg presenta il suo libro
RadioRadicale.it
Uno studio serio e interessante dalle pretese un po' troppo "sistemiche"
Thursday, July 08, 2004
Qualcuno osa, all'Università di Teheran
Standard & Poor's ci declassa. E allora?
La decisione arriva prima del Dpef, della riforma delle pensioni in corso di approvazione, ed espressamente anticipa gli effetti della riduzione delle tasse senza sapere come verrà finanziata.
Bisogna dire che a fare previsioni quelli di S&P non sono poi così bravi: e Parmalat? E Cirio?
Cominciamo a non divertirci più
Non credo sinceramente che Chirac si faccia guidare da una visione così lungimirante del futuro. Nel vecchio continente la politica naviga a vista, Krauthammer dovrebbe sapere che a Washington vengono elaborate le dottrine nuove e vengono gettate le basi per governare il futuro. Chirac cerca più semplicemente di ritagliare per la Francia un ruolo guida in vista della futura politica estera europea, affine con i propri interessi.
La politica estera del golden boy dal profondo sud
Il Council on Foreign Relations ha raccolto qualche discorso sul tema dal compagno di viaggio di Kerry, John Edwards.
Wednesday, July 07, 2004
Democristiani Forever
Disgusting
Berlusconi assediato.
I poteri forti fanno asse fra loro. Banche, fondazioni, assicurazioni giocano la carta Fini-Follini.
Confindustria e Cgil ripartono dalla concertazione.
Tuesday, July 06, 2004
Energia. 2003 "Annus horribilis" per i cittadini
Kerry ha scelto il compagno di viaggio
Dal profondo sud per attenuare la sua immagine di liberal snob del nord-est. «A very smart pick» per Andrew Sullivan. I commenti su New Republic
Monday, July 05, 2004
Alla fine del tunne-le-le-le-le...
E anche il Corriere della Sera si schiera per Monti.
Secondo me Kerry è della Margherita
La gente crede proprio a tutto...
Sunday, July 04, 2004
Saturday, July 03, 2004
«Hey, Stellaaa!»
«Ho osservato, una lumaca, strisciare lungo il filo di un rasoio, questo è il mio sogno, il mio incubo, strisciare scivolare lungo il filo di un rasoio e sopravvivere». (Il colonnello Kurtz, Apocalypse Now).
«Prodigal Body», New Republic
«Era come recitare con Dio».
Grazie
Va in scena la commedia all'italiana
Fini e Follini una vergogna. Tremonti un signore.
Palude democristiana e statalismo, eurofiguraccia, ci attendono.
E' sempre meglio il re dei suoi cortigiani, ma anche per Berlusconi ora sarebbe più onorevole andarsene a casa. Dovrebbe capirlo ormai che lo hanno messo nel sacco e che non gli faranno più guidare la coalizione. La rivoluzione partita dalla molto "corporativa" ascesa di Montezemolo in Confindustria, poi i toni fascisti e Bankitalia, le burocrazie e i carrozzoni statali, tutti dietro alla rinnovata "italica" fermezza di An.
Altro che riforme e sviluppo, questo Paese è condannato a perdere.
Friday, July 02, 2004
Saddam alla sbarra nel suo Paese. L'esito migliore?
Saddam processato dagli iracheni è per Sergio Romano la «migliore delle scelte possibili», scartati sia il Tribunale penale internazionale, non riconosciuto dagli Usa, sia il modello Norimberga, perché la «giustizia dei vincitori» è ormai troppo impopolare e figlia di un momento storico forse irripetibile. Romano ricorda gli effetti negativi del processo a Milosevic: «ha permesso all'imputato di trasformare l'aula della corte in una tribuna politica e ha creato in Serbia un pericoloso vittimismo nazionalista».
Il problema vero, giuridico, in questi casi è che «non basterà scavare fosse comuni e interrogare i sopravvissuti. Occorrerà dimostrare che ogni crimine è stato voluto e ordinato da Saddam».
E ci sarà chi, ad un processo politico, opporrà una difesa politica: chiedendo «perché tanti governi abbiano continuato ad avere intensi rapporti diplomatici ed economici con il dittatore, perché il vecchio Bush abbia permesso a Saddam di usare gli elicotteri nel Sud contro gli sciiti e gli abbia impedito di fare altrettanto nel Nord contro i curdi».
Inoltre, per le prove e le argomentazioni giuridiche serviranno una polizia giudiziaria americana, inquirenti americani ed esperti prevalentemente internazionali, e Saddam continuerà a essere nelle mani degli "occupanti". Vi è il «rischio» concreto che si perpetui «sotto altre forme», agli occhi delle opinioni pubbliche arabe, «l'ennesima "giustizia del vincitore", cosa tollerabile in un Paese conquistato e pacificato», ma «intollerabile» se la guerriglia e il terorrismo continuano e «se il nuovo governo non riuscisse a dare prova di vera indipendenza».
Conclude Romano: «Fare giustizia, dopo il crollo di una dittatura, è un problema delicato che non può essere affrontato con astratti criteri morali, senza tenere conto di ciò che potrebbe accadere nel Paese coinvolto. In molti casi è meglio lasciare che la faccenda venga regolata in famiglia secondo le consuetudini locali: un processo breve, un giudizio sommario e una conclusione, se possibile, rapida e brusca. L'assassinio di Ceausescu e di sua moglie ha permesso alla Romania di voltare pagina. La fucilazione di Mussolini ebbe il merito di evitare un lungo processo che avrebbe prolungato il clima della guerra civile. L'errore in quel caso non fu la fucilazione: fu quella che Leo Valiani definì un giorno la "macelleria messicana" di piazzale Loreto».
Corriere della Sera
Per Lucia Annunziata sarà «un processo pericoloso per gli Stati Uniti: non c'è dubbio infatti che, fin dalla sua prima apparizione davanti alla corte, Saddam Hussein ha mostrato ieri la forza di una presenza e di una linea di difesa che può avere un grande impatto sull'Iraq, e soprattutto sul mondo arabo più ampio». Saddam, come Milosevic, non rifiuta il giudizio, ma ne contesta le ragioni, cioè la butta in politica. Se per Milosevic fu a guerra finita, in Iraq, e in Medio Oriente, si combatte ancora - ed è guerra più vasta, regionale, contro il fondamentalismo e il nazionalismo arabo: «il gioco è ancora aperto».
Saddam si è difeso nel modo in cui tutti si attendevano, accusando Bush («è lui il criminale») e buttandola in politica: «Fu il Kuwait a costringerci a vendere il nostro petrolio a costo basso, impoverendo così le famiglie, e rendendo le nostre donne delle prostitute». «E' pura retorica, - osserva la Annunziata - ma di quella buona: di quella che tocca l'onore arabo, che è poi la grande, forse unica emozione che continua ad unire il mondo arabo ancora preso dai suoi conti con il Colonialismo. Se la guerra fosse finita, Saddam che parla così sarebbe ridicolo: ma con la guerra in corso Saddam può divenire su queste basi di nuovo un punto di riferimento politico».
La Stampa
Un fatto positivo per due grandi storici
Per il grande storico inglese Denis Mack Smith, il processo a Saddam è «passo obbligato per voltare pagina, per cercare di mettere fine a uno stato di incertezza e di inquietudine in Iraq». «E' importante anche sul piano simbolico, perché non è la giustizia dei vincitori, ma quella degli iracheni. Non sappiamo se gli iracheni saranno in grado di giudicare convenientemente Saddam, ma è comunque necessario che siano loro a processare l'ex dittatore».
«Nel caso di Saddam Hussein sono gli iracheni a processare il loro ex dittatore e questo fa certamente una grossa differenza» con il processo di Norimberga, sottolinea lo storico Giovanni Sabbatucci. Al contrario di quanto avvenne a Mussolini o a Ceausescu, «è stato messo in piedi qualcosa che assomiglia a un processo: siamo di fronte a un gradino di civiltà superiore. Questa procedura crea una grande quantità di problemi politici e giuridici ma è l'unica strada».
Il re di Giordania disponibile all'invio di truppe? Censored
Thursday, July 01, 2004
C'è Saddam in Tv... e tutto si ferma
Fonte Ansa
Chissà come andrà a finire, intanto però c'è dibattito, e questo è un bel pezzo del nuovo Iraq. Poi torneremo a discutere dell'opportunità di questi processi, che possono rappresentare una grande "arma di attrazione di massa" per lo stato di diritto, ma che si possono rivelare boomerang se si ha la pretesa di processare la storia. Ci sarà tempo per discuterne, il dibattito è appena aperto, e importante.
A novembre le presidenziali Usa. Riparte il dialogo tra i Democratici di Kerry e la sinistra europea
RadioRadicale.it
Sarebbe bello però che i due moschiettieri del c.d. "riformismo" italiano, oltre che andare a fare i professorini british-liberal ai seminari, si impegnino per creare consenso sulle loro posizioni e forgiare la nuova cultura politica di cui la sinistra ha bisogno. Se non ne hanno il coraggio, perché costa fatica e voti, alla fine si ritroveranno sempre sotto scacco di Bertinotti e non è detto che vincano le elezioni.