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Wednesday, October 27, 2004

Sharon volpe e leone

«La domanda che s'impone è se sia Sharon che ha cambiato repentinamente politica o se sono i commentatori che hanno tardato a capirla».
Il premier israeliano Ariel Sharon esce vincitore dalla Knesset, il Parlamento israeliano. E' stato approvato, non senza la decisa ostilità delle formazioni dell'estrema destra religiosa e profonde lacerazioni all'interno dello stesso partito del premier, il Likud, il suo piano di disimpegno e di ritiro dalla striscia di Gaza entro il 2005. Impassibile, lucido, determinato è rimasto di fronte alla ribellione di parte del suo partito e di alcuni suoi ministri, poi licenziati. Un passo strategico che il premier ritiene fondamentale per la definizione dei confini israeliani, per una gestione più praticabile della sicurezza, inevitabilmente verso uno Stato palestinese. Su questo piano, Sharon ha ottenuto il sostegno del leader laburista e Premio Nobel per la pace Shimon Peres, nonché l'apprezzamento del quotidiano laburista Ha'aretz:
«As a strategist, he understood the limits of power, the damage caused to us in the world, the demographic risks, and most important of all to him, the danger of a rupture in relations with the U.S.» Leggi
Un progetto ambizioso e coraggioso che fa di Sharon un grande statista, ma un percorso anche pieno di rischi e incognite per Israele e per il premier stesso, sul quale pesa la minaccia del fanatismo israeliano, che già fece fuori Rabin e che già progetta violenze, boicottaggi ed intimidazioni per far fallire il piano. L'ipotesi di sottoporre il piano a referendum popolare è insieme opportunità e trappola: opportunità di una legittimazione definitiva, rischio di un esito ostaggio del terrore. L'Europa, la Russia stanno cominciando ad apprezzare la portata del piano unilaterale di ritiro. I palestinesi sono cauti, ma è a loro che adesso la comunità internazionale guarda con importanti aspettative. Hamas - e questo è un altro dei rischi della scelta - festeggia quella che ritiene una vittoria militare, vede vicini i giorni della vittoria finale per annientamento di Israele, e si sente incoraggiata nei suoi piani di distruzione indiscriminata della vita.
«Nell'articolo, di Fulvio Scaglione, si contrappone uno Sharon realista e coraggioso, che sfida l'opposizione interna al suo partito per dare una chance alla pace, a un Arafat incapace "di garantire un minimo di buon governo all'entità amministrativa palestinese e di farla uscire dalla spirale attentati-repressione".
La domanda che s'impone è se sia Sharon che ha cambiato repentinamente politica o se sono i commentatori che hanno tardato a capirla. Sharon, fin dal primo giorno del suo governo, ha sostenuto che Israele avrebbe dovuto compiere "dolorosi sacrifici" per ottenere una stabilizzazione delle relazioni con i suoi vicini, e che avrebbe fatto tutto il necessario, purché non fosse messa in pericolo la sua sicurezza e la sua esistenza. Se il ritiro da Gaza è unilaterale (ma in realtà concordato con l'Egitto) è perché i palestinesi non vogliono o non possono frenare i terroristi che lo vogliono far apparire come la ritirata di un esercito sconfitto».
Giuliano Ferrara, Il Foglio
Pochi giorni fa, sul Foglio, l'analisi di Emanuele Ottolenghi.

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