La «nuova alba», come l'ha chiamata Obama, della politica estera americana, getta la propria luce su vecchi volti: come previsto, Hillary Clinton segretario di Stato; Robert Gates rimane alla Difesa (per portare a termine la strategia che sta dando ottimi risultati in Iraq); l'ex generale dei marine James Jones al Consiglio per la sicurezza nazionale. Dunque, nei posti chiave troviamo la Clinton, il ministro della Difesa dell'amministrazione Bush figlio ma più in sintonia con Bush padre, e un generale dei marine. Semplificando, si potrebbe dire (e vale anche per lo staff economico) che Obama riparte da Clinton-Bush, le due famiglie politiche che hanno "dominato" negli ultimi vent'anni. Non proprio ciò che si direbbe un cambiamento, somiglia piuttosto ad una continuità.
La "verità", naturalmente, come spesso accade, sta nel mezzo. Ci saranno dei cambiamenti sia in economia che in politica estera, ma non la rivoluzione che molti si aspettano. In attesa di capire chi guiderà l'intelligence, pedina fondamentale, c'è una frase che meglio di altre lascia intendere quale sarà l'approccio di politica estera di Obama: «Il terrorismo non può essere contenuto dai confini, né la sicurezza può essere garantita soltanto dagli oceani».
Non sarà una politica estera pacifista, né isolazionista. La visione neocon è stata già abbandonata da Bush nel suo secondo mandato e ciò che più si avvicina ad essa da sinistra è l'interventismo liberal (cui si ispirò Clinton), che sarà presente, ma non prevalente. Probabilmente, dietro un ostentato multilateralismo e alla retorica dei diritti umani all'Onu, a condurre i giochi sarà un realismo muscolare. Senza alcun complesso sull'uso della forza, ma senza neanche peli sullo stomaco nell'uso della diplomazia anche con i peggiori nemici.
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