Ebbene sì, lo ammetto, ero prevenuto. Avevo già capito che mi sarei dovuto sorbire le solite e ritrite tesi sociologiche sulla corruzione morale e politica del Paese e i soliti e ritriti teoremi antiberlusconiani sull'oscura nascita di Forza Italia. Ciò che invece non avevo preventivato è che potesse non essere, dal punto di vista tecnico, un prodotto ben riuscito, di qualità, avvincente. In una parola: "figo". Al contrario, "1992" è un pianto, un disastro estetico e narrativo. Gli attori sono così scarsi che per sembrare intensi bisbigliano e si mangiano le parole. Personaggi piatti e stereotipati. Sceneggiatura sciatta e a tratti ridicola. Trama banale e prevedibile. L'intreccio tra realtà, la cronaca giudiziaria, e fiction è talmente mal riuscito che trasforma in barzelletta la prima e svilisce la seconda.
E' ridicolo che un ferramenta si convinca che le sue inserzioni pubblicitarie vengano trasmesse durante "Non è la Rai" perché il programma verrebbe visto da padri cripto-pedofili con la bava alla bocca (che tra l'altro all'ora in cui andava in onda dovevano essere a lavoro) più che dalle figlie. E poi anche basta con questo moralismo...
E in tutto questo non mancano, subdolamente inseriti qua e là, slogan e primi piani che, come sentenze inappellabili, emettono il giudizio storico su una stagione e i suoi protagonisti. Insomma, gli autori non pretendono di raccontare in modo fedele gli eventi e i personaggi, che sono romanzati, ma non rinunciano a emettere sentenze sommarie su quelli reali.
La scena più subdola (almeno dei primi due episodi) è quando Dell'Utri passando davanti a uno schermo nei corridoi di Publitalia si sofferma sulla notizia dell'assassinio di Salvo Lima con lo sguardo di chi la sa lunga. L'allusione, breve ma incisiva, dà per scontata l'origine mafiosa di Forza Italia. Ma poi, di cosa stiamo parlando? Siamo nel 1992 e si allude a Forza Italia? Una serie tv sugli anni di Mani pulite in cui metà del tempo si parla di Publitalia e di come un Dell'Utri che si atteggia a boss mafioso si preparasse a "salvare la Repubblica delle banane", cioè a preservare quel sistema corrotto dagli attacchi della magistratura, non è fiction. E' una farsa, un'operazione scadente, conformista e subdola, ad uso e consumo dei soliti noti.
Si salva la colonna sonora, quella sì, ti riporta al 1992. Per il resto, non c'è niente da fare: tutta la serie gira intorno a Silvio Berlusconi, grande ossessione di cui la sinistra - compresa la compagnia di giro di attorucoli, registucoli, sceneggiatorucoli italiani che campano di sussidi pubblici - non riesce a liberarsi. Non si vede mai Berlusconi (tranne un tacco rialzato degno del Bagaglino che spunta da una toilette), ma è il vero convitato di pietra della serie (insieme, ovviamente, a Craxi). Lo spaccato decadente dell'Italia di quegli anni sembra ridursi al suo mondo, tutto ricostruito per evocare il bunga-bunga di vent'anni dopo: le sue tv che hanno irrimediabilmente corrotto la società e la politica; la soubrette mignotta raccomandata, un'olgettina ante litteram; la sua prossima ascesa al potere inevitabilmente legata alla corruzione e alla mafia. Da Berlusconi e da Publitalia sembra scaturire, e promette di perpetuarsi, tutto il marcio.
Del vero 1992 cosa resta? I magistrati buoni e i corrotti cattivi? Non solo semplicistico, anche un po' truffaldino... E che fine hanno fatto i grandi gruppi industriali, anche e soprattutto pubblici, coinvolti in Tangentopoli? E gli altri partiti della Prima Repubblica? I suicidi in carcere e i metodi di Mani pulite? La gogna a mezzo stampa? Il 1992 è stato anche, se non soprattutto, tutto questo. Le tv di Berlusconi fanno parte di quell'epoca, come fenomeno di massa, economico e culturale, ma non spiegano la corruzione morale e politica dilagante come questa serie lascia banalmente intendere.
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