Il libro di Gian Antonio Stella e Sergio Rizzo, "La casta. Così i politici italiani sono diventati intoccabili", appartiene senz'altro alla categoria dei libri utili. Raccoglie le loro inchieste per il Corriere della Sera sull'espansione incontrollabile dei costi delle istituzioni. Quirinale, Camera e Senato, Corte costituzionale, regioni, province, comuni e municipi, e migliaia di enti inutili eppure costosissimi. Finanziamenti pubblici ai partiti quadruplicati rispetto a quando furono aboliti dal referendum e "rimborsi" elettorali 180 volte più alti delle spese sostenute. Organici che si moltiplicano, spese di rappresentanza, indennità, autoblu. Una «oligarchia insaziabile» e «intoccabile». Un dossier ricchissimo di dati e impressionante sui costi della politica o, meglio, della non-democrazia.
Tuttavia, queste inchieste, queste denunce, lasciano spesso perplessi per l'incapacità che gli autori dimostrano a compiere il passettino in più, quello di una consapevolezza più politica. Se si vogliono davvero eliminare gli sprechi, i clientelismi, la "casta" dei politici che spremono il paese, allora non bisogna limitarsi a inseguire i furbi - praticamente tutti - a sperare che rinsaviscano, o che arrivi il salvatore della patria a porre limiti, argini o tetti, ma occorre avere il coraggio di individuare il nodo del problema. La soluzione non è mai moralistica, ma di sistema.
Non c'è il politico "buono" e quello "cattivo", c'è un sistema che genera certe pratiche di malaffare. Se il politico ha in mano molti soldi è fisiologico che li spenda per consolidare il proprio potere, per servire le clientele grazie alle quali è stato eletto, per circondarsi di comodità e privilegi. Se manca la trasparenza, se la responsabilità dei singoli non è individuabile, se la competizione elettorale è priva di rischi per gli insider, allora diventa difficile per gli elettori sanzionare i comportamenti più scorretti.
Ci si lamenta che la Rai è lottizzata dai partiti? E' persino ragionevole che lo sia, se la proprietà continua ad essere dello Stato. Ci si lamenta che i consigli di amministrazione di enti e aziende di Stato sono occupati da funzionari di partito riciclati? Ci si lamenta che i politici trombati ricompaiono nei posti di sottogoverno? Invece di aspettare i "moralizzatori", i politici migliori e più "buoni" che metteranno le cose a posto, cominciamo a chiederci se è il sistema che produce gli sprechi.
Privatizziamo la Rai; lo Stato si ritiri dall'economia; i Comuni privatizzino le municipalizzate; adottiamo una legge elettorale uninominale, in cui chi perde non ha modo di essere ripescato o riciclato; fissiamo l'incompatibilità tra Esecutivo e Legislativo, in modo che chi si candida alle elezioni politiche, e perde, non lo vedremo entrare al governo da sottosegretario.
L'errore di Stella è anche il limite di Ichino. Non ci si può limitare a individuare e scartare le mele marce. Se è l'albero che le produce bisogna sradicare il vecchio e piantarne uno nuovo. I "fannulloni" nel pubblico impiego sono tali perché il sistema glielo permette, sanno che non vanno incontro ad alcuna sanzione. Invece di perdere tempo a dargli la caccia, basterebbe che la gestione del personale fosse più elastica, ammettendo licenziamenti a seconda delle necessità delle strutture e delle valutazioni dei responsabili (a loro volta passibili di licenziamento se non garantissero adeguati standard di efficienza e produttività), per vedere da un giorno all'altro dimezzato il numero dei furbi.
In generale, se riscontriamo sprechi e privilegi abnormi nell'amministrazione pubblica e nelle istituzioni, negli enti locali, dalle regioni ai municipi, nelle università, smettiamola di prendere sul serio chi piange per i tagli in Finanziaria.
Bisogna cambiare mentalità. Smettere di credere che lo Stato sappia spendere più oculatamente dei cittadini i soldi dei cittadini stessi. Mano a mano lo Stato tende ad espandere le sue competenze, aumentano gli sprechi e diminuisce l'efficienza. Perché lo Stato non è un ente animato da una moralità superiore, è gestito da gruppi di persone con i loro interessi, primo fra tutti quello di sopravvivere al potere. E' fisiologico, quindi, che pretendano di gestire sempre maggiori somme di denaro per consolidare la propria influenza. Finisce che per voler occuparsi di tutto, lo Stato vampirizza la società e si occupa poco e male delle cose di cui solo lui può occuparsi: la sicurezza, la giustizia, la difesa, l'amministrazione, al limite la sanità, l'istruzione e il welfare.
Persino negli Stati Uniti, dove c'è la massima attenzione su come il denaro dei contribuenti viene speso, studi autorevoli hanno dimostrato che dopo otto anni consecutivi in cui il Congresso è nelle mani della stessa maggioranza la spesa pubblica tende a impennarsi, chi è al potere prende confidenza con l'interventismo governativo ed emergono espisodi di corruzione.
Per quanto siano dati emblematici di una vasta realtà di spreco e privilegi, quelli relativi all'abuso di autoblu, agli stipendi d'oro e alle indennità, o il numero dei dipendenti del Quirinale, doppio rispetto a quello dell'Eliseo o di Buckingham Palace, eccetera, sono poco rilevanti se inseriti negli ordini di grandezza della spesa pubblica. Sono le pensioni dei cinquantenni a pesare, la spesa sanitaria, i milioni di dipendenti pubblici, le velleità redistributive, i mille rivoli dei programmi assistenzialisti, le regalie alle corporazioni sindacali e confindustriali. Ma per ridurre la spesa pubblica non si può partire dai tagli sulle varie voci di spesa, perché quando ci si siede a tavolino tutto sembra indispensabile ai governi che non vogliono scontentare nessuno per non perdere quote di consenso. Si deve partire "affamando la bestia". Tagliando radicalmente le aliquote fiscali.
Dunque, se da queste inchieste non si trae la semplice conclusione di ridurre il peso dello Stato riducendo la quantità di ricchezza prodotta dalla nazione in mano ai politici, allora si scade nel moralistico indicare questo o quello come capro espiatorio di un sistema che alimenta se stesso indipendentemente o quasi dalla moralità dei singoli.
7 comments:
Applausi!
Post perfetto.
Molto tomboliniano (la parafrasi di Blair).
Da ex radicale vorrei aggiungere e proporre una piccola rivoluzione copernicana.
Abbiamo sempre detto che, per il vero liberale, libertà è sinonimo di responsabilità.
Ebbene, cominciamo a dire, pensare e scrivere che responsabilità è sinonimo di libertà. Sempre!
E che "se non c'è responsabilità non c'è libertà"...
Con tutte, ma proprio tutte, le conseguenze che ne derivano dai diritti economici ai diritti politici, alla vita personale di ciascuno e di tutti.
Comunque, si resta sempre nell'ambito delle quattro frustrate chiacchiere sul web...
Se puoi scrivere il CHE FARE... (meno Stato)
non mi pare possibile, col sistema chiuso che ci pervade, scrivere il nome di CHI POTRA' FARE...
E perciò...
Io ho stampato il tuo post e l'ho messo nel libro di Stella, che mia mamma s'è appena messa sul comodino. Essendo la mamma un alto quadro della Provincia (e catto-comunista), il gesto ha chiari intenti provocatori.
;-)
Declino ogni responsabilità per eventuali litigi famigliari...
:-))
"negli Stati Uniti, dove c'è la massima attenzione su come il denaro dei contribuenti viene speso, studi autorevoli hanno dimostrato che dopo otto anni consecutivi in cui il Congresso è nelle mani della stessa maggioranza la spesa pubblica tende a impennarsi, chi è al potere prende confidenza con l'interventismo governativo ed emergono espisodi di corruzione".
Sì, ma con la non trascurabile differenza (rispetto all'Italia), che negli USA, non appena avverte l'insorgere di infrazioni all'etica politica, l'elettorato boccia spontaneamente il partito al potere. Cioè rifiuta, astenendosi dal voto o cambiando bandiera, l'abbraccio clientelare tra politica e comunità.
Da un elemento culturale di assoluto rilievo, quindi, emerge un dato di sistema. Non viceversa, come sembri voler sostenere tu (sempre se non ho capito male).
Non ti illudere: anche pantografando il "sistema" americano, da noi si riuscirebbe comunque a gabbare lo santo.
Il motivo risiede nella percezione collettiva delle proprie potenzialità: in America si sentono forti (e rifiutano il biberon di stato), in Europa ci sentiamo deboli (e lo invochiamo).
Si tratta di una generalizzazione, probabilmente; ma aiuta molto a comprendere le difficoltà del liberalismo nei vari contesti storico-culturali in l'idea di affrancarsi dal potere ha avuto problemi ad affermarsi.
Libro utile forse, "furbetto" sicuro. Siccome a quello che scrive il Corriere non credo più da vari lustri - e mi stupisco che qualcuno lo faccia - non sarebbe il caso di ritirare fuori, una volta tanto a ragione, il famigerato aggettivo "qualunquista"? Visto che questa è l'ennesima cartuccia ipocrita sparata dal Corrierone contro la politica, finalizzata alla costruzione di un governo di tecnici eterodiretto dalla "Grande casta": la loro!
E' la stessa storia delle liberalizzazioni alla Bersani: demonizzare alcune corporazioni, speice le più miserabili e indifese, e non toccare e anzi favorire le grandi. Con per di più un tocco di insopportabile moralismo.
Cosa faceva ai tempi dell'assolutismo il re per rafforzare il potere centrale? Indeboliva l'aristocrazia, magari in nome del popolo.
Quindi lottiamo pure contro le caste, ma abbattiamo anche la Bastiglia del Corsera. Anche perché questo lorsignori magari non se l'aspettano!
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