Pubblicato su The Right Nation
La buona performance di Trump al secondo dibattito tv non è bastata a placare lo scontro interno al partito repubblicano sulla sua candidatura. Eppure, la vitalità mostrata da The Donald domenica sera aveva convinto il suo vice Mike Pence a postare subito dopo il confronto un tweet di congratulazioni, rinnovando l'impegno al suo fianco e archiviando così l'incidente del video diffuso dal WaPo. Tutto lasciava supporre che Trump fosse riuscito ad arrestare l'emorragia di defezioni e allontanare dalla leadership del partito la tentazione di revocargli l'appoggio. Tuttavia, all'indomani del dibattito lo speaker alla Camera Paul Ryan ha annunciato ai deputati che non difenderà più Trump ma si concentrerà sulla difesa dei seggi al Congresso, ricevendo da Trump una risposta piccata via twitter: "si occupi di ripianare il bilancio, di posti di lavoro e immigrazione illegale, invece di perdere tempo ad attaccare il candidato repubblicano". E ancora oggi: "difficile far meglio con zero aiuto da parte di Ryan e gli altri". E via con una serie di tweet sempre più velenosi all'indirizzo dei "traditori". Sempre lo speaker della Camera ha poi lasciato trapelare che è ancora possibile da qui al giorno del voto il ritiro ufficiale del suo appoggio a Trump.
La buona performance di Trump al secondo dibattito tv non è bastata a placare lo scontro interno al partito repubblicano sulla sua candidatura. Eppure, la vitalità mostrata da The Donald domenica sera aveva convinto il suo vice Mike Pence a postare subito dopo il confronto un tweet di congratulazioni, rinnovando l'impegno al suo fianco e archiviando così l'incidente del video diffuso dal WaPo. Tutto lasciava supporre che Trump fosse riuscito ad arrestare l'emorragia di defezioni e allontanare dalla leadership del partito la tentazione di revocargli l'appoggio. Tuttavia, all'indomani del dibattito lo speaker alla Camera Paul Ryan ha annunciato ai deputati che non difenderà più Trump ma si concentrerà sulla difesa dei seggi al Congresso, ricevendo da Trump una risposta piccata via twitter: "si occupi di ripianare il bilancio, di posti di lavoro e immigrazione illegale, invece di perdere tempo ad attaccare il candidato repubblicano". E ancora oggi: "difficile far meglio con zero aiuto da parte di Ryan e gli altri". E via con una serie di tweet sempre più velenosi all'indirizzo dei "traditori". Sempre lo speaker della Camera ha poi lasciato trapelare che è ancora possibile da qui al giorno del voto il ritiro ufficiale del suo appoggio a Trump.
Insomma, lo scontro Trump-leadership
Gop ha oltrepassato i livelli di guardia e ad un mese dal voto non
sembra favorire nessuno. Ma se Trump può sempre tornare alla sua
vita da miliardario più o meno annoiato, a rischiare grosso sembra
essere proprio il Partito repubblicano. Che prima non è riuscito a
costruire una valida alternativa interna a Trump, poi l'ha incoronato
senza convinzione. E ora, a un mese dal voto, dopo un colpo basso
confezionato dai suoi avversari, è ad un passo dallo scaricarlo
disorientando molti elettori. Molti big del partito l'hanno già
scomunicato e altri esponenti sarebbero pronti ad abbandonarlo,
pensando alle loro poltrone di deputato o di senatore. Anche lo
speaker Ryan preferisce concentrarsi sulla difesa dei seggi al
Congresso. Ma mollare Trump è davvero la migliore strategia per
difenderli? Con il 74% degli elettori repubblicani secondo cui il
partito dovrebbe continuare a sostenerlo anche dopo le volgarità
sentite nel video, una sconfitta di Trump può rivelarsi costosissima
per il partito.
"The Gop Meltdown" è il
titolo di un editoriale di James Taranto sul WSJ, nel quale
sottolinea che i leader del partito non sono in contrasto solo con
Trump, "sono in contrasto con i loro elettori". "Il
comportamento di Trump - osserva l'editorialista del WSJ - ha spesso
esacerbato le divisioni, ma la sua nomination è soprattutto un
effetto di tali divisioni. Un gran numero di elettori repubblicani ha
bocciato i tradizionali candidati Gop - una maggioranza se si
considera Cruz un candidato non convenzionale. Alcuni commentatori
'Nevertrump' sono stati espliciti nel prendersela con gli elettori
per le attuali difficoltà del partito. Ma se i politici adottano
questo approccio, non avranno un partito per lungo tempo". Lo
stesso Taranto, sempre sul WSJ, alla fine di agosto si era chiesto
"se Trump perde, il Gop può sopravvivere?", sollevando la
questione della lealtà di partito. Il venir meno del sostegno al
candidato ufficiale del partito, a colui che è uscito vincitore dal
processo delle primarie, in palese violazione del "pledge"
che fu giustamente imposto a Trump, rappresenta un pericoloso
precedente, una minaccia di lungo termine per il Gop: in futuro, sia
i candidati sconfitti alle primarie sia gli elettori potrebbero
sentirsi svincolati dall'impegno a sostenere la nomination del
partito, premessa perché tutto il meccanismo funzioni. Insomma, il
partito rischia di fallire nella sua funzione fondamentale, quella di
unire i propri elettori su una candidatura, anche alle prossime
presidenziali.
Ma non c'è solo questo. Se Trump
perde, il Gop si libera di lui all'istante, ma rischia di perdere
anche il 74 per cento della base. E un partito che da 12 anni non
conquista la Casa Bianca, che perde anche le maggioranze al Congresso
(perché il mancato appoggio a Trump può fare la differenza tra una
sconfitta di misura e una disfatta), non risulta proprio attraente,
rischia di liquefarsi.
Poi c'è la Corte Suprema, un tema
cruciale emerso finalmente anche nel dibattito dell'altra notte ma
che la leadership del Gop sembra sorprendentemente sottovalutare. Con
Hillary alla Casa Bianca sarebbe lei a nominare il giudice mancante
dopo la morte di Antonin Scalia e per la prima volta dai tempi di
Nixon (1971) la Corte avrebbe una maggioranza progressista che
potrebbe restare tale per decenni. La Clinton ha confermato i
peggiori timori dei conservatori. Senza mai menzionare le parole
"rispetto della Costituzione", ha ammesso di voler cambiare
"direzione" alla Corte, scegliendo una figura più vicina a
un attivista politico che a un rispettato giurista. Fondamentalmente
ha lasciato intendere di volere una Corte "legislativa". E'
in gioco quindi l'identità stessa dell'America dei prossimi 30 anni.
Comunque vada Trump sarà una parentesi, ci sono equilibri politici
(nel partito e nel Paese) che si possono modificare, ma non la
maggioranza della Corte Suprema una volta messa nelle mani della
Clinton. Gli elettori repubblicani sono determinati ad impedirlo ad
ogni costo, anche se si chiama Trump. In gran parte quindi non
perdonerebbero al partito una sconfitta determinata o aggravata da un
tradimento ai suoi danni. E lasciare a Trump l'alibi del mancato
appoggio del partito per giustificare una sconfitta sarebbe un
autogol.
L'establishment Gop mostra di non
essere ancora in sintonia con la rabbia profonda che percorre i suoi
elettori, non tanto per come va l'economia o il tasso di
disoccupazione, ma per la deriva socialdemocratica che sta mutando il
dna del Paese. Su temi come il possesso di armi, sulle politiche
socio-economiche, sull'immigrazione, con Hillary alla Casa Bianca,
dopo otto anni di Obama, temono un'ulteriore "europeizzazione"
degli Stati Uniti. Per molti va fermata a qualsiasi costo, anche
assumendosi il rischio di eleggere un candidato controverso e
impreparato come Trump. Dalle colonne del Washington Post, lo
scrittore Jim Ruth avverte che c'è una "nuova maggioranza
silenziosa", una fetta importante della classe media americana,
a cui Trump non piace ma che è pronta a votarlo lo stesso, perché
"ha una sola qualità redimente: non è Hillary Clinton. Non
vuole trasformare gli Stati Uniti in una democrazia sociale sul
modello europeo, basata sul politically correct". E' un bullo,
un demagogo, ma anche l'unico in grado di "preservare l'American
way of life come la conosciamo. Per noi, il pensiero di altri quattro
o otto anni di agenda progressista che inquini il sogno americano è
anche più pericoloso per la sopravvivenza del Paese di quanto lo sia
Trump".
No comments:
Post a Comment