Pubblicato su L'Intraprendente
Una delle certezze spacciate dai mainstream media americani (e copiate dai nostri anche al di qua dell'Atlantico) durante questa campagna per la Casa Bianca è che in ogni caso Trump avrebbe irrimediabilmente fatto a pezzi il Gop. Il suo populismo, le volgarità, l'impreparazione inconciliabili con la serietà e la rispettabilità dei candidati del partito. I suoi messaggi antitetici ai principi conservatori, e lui definito addirittura un pericoloso fascista. Molte le defezioni dell'establishment repubblicano, dai neoconservatori alla famiglia Bush. Tra gaffe e approssimazione, la sua campagna è stata ridicolizzata dai commentatori. Eppure, in poche ore quella che doveva essere una crisi esistenziale del Gop si è trasformata in una irresistibile ondata repubblicana.
Una delle certezze spacciate dai mainstream media americani (e copiate dai nostri anche al di qua dell'Atlantico) durante questa campagna per la Casa Bianca è che in ogni caso Trump avrebbe irrimediabilmente fatto a pezzi il Gop. Il suo populismo, le volgarità, l'impreparazione inconciliabili con la serietà e la rispettabilità dei candidati del partito. I suoi messaggi antitetici ai principi conservatori, e lui definito addirittura un pericoloso fascista. Molte le defezioni dell'establishment repubblicano, dai neoconservatori alla famiglia Bush. Tra gaffe e approssimazione, la sua campagna è stata ridicolizzata dai commentatori. Eppure, in poche ore quella che doveva essere una crisi esistenziale del Gop si è trasformata in una irresistibile ondata repubblicana.
Come è stato possibile? Innanzitutto,
mettendo in secondo piano il problema del suo carattere, gli elettori
repubblicani (al 90%) e la maggioranza del partito hanno
riconosciuto che l'agenda Trump era essenzialmente conservatrice su
quasi tutti i temi (immigrazione, tasse, law and order, aborto,
secondo emendamento, Corte suprema, spesa militare, sanità,
energia), discostandosi dalle posizioni tradizionali degli ultimi
decenni solo su politica estera, commercio internazionale e Wall
Street. I primi dati sui flussi elettorali mostrano che Trump ha
conquistato una percentuale maggiore di voti rispetto a Romney nel
2012 tra gli elettori afroamericani, latini, asiatici, e anche tra le
donne bianche, nonostante le sue uscite, bollate come razziste e
sessiste, avrebbero dovuto danneggiarlo in modo irreparabile proprio
presso questi gruppi di elettori. Dunque, si è rivelato "unamedicina piuttosto che un veleno" per il Gop.
Ma ciò che è stato più sottovalutato
è lo straordinario valore aggiunto che Trump ha portato alla
campagna con il suo appello ad un elettorato trasversale, in
particolare alla working class bianca delusa, che ha gli ha permesso
di strappare ai democratici gli stati della "Rust Belt",
operazione non riuscita quattro anni prima a Mitt Romney e
impensabile senza il coraggio di messaggi "eretici"
rispetto alle tradizionali posizioni repubblicane sul commercio
internazionale, sui posti di lavoro persi nell'industria e su Wall
Street. Non si è verificato il pronosticato esodo di elettori
repubblicani "never Trump" verso Hillary (solo il 7%). Al
contrario, secondo gli exit poll della Cnn Trump ha conquistato il 9%
del voto democratico.
E' così scandaloso alla luce di questi
dati un paragone fra Donald Trump e Ronald Reagan? Anche Reagan nel
1980 ha vinto a sorpresa, ribaltando i pronostici della vigilia che
vedevano favorito il democratico Carter. Anche Reagan era accusato
dagli avversari e dai commentatori di essere rozzo, impreparato e
pericoloso, nonostante fosse stato per due mandati governatore della
California. Anche Reagan era un ex democratico ed era poco amato da
importanti settori dell'establishment del partito che infatti
contrastarono la sua candidatura. Sembrano fermarsi qui le analogie
fra Trump e Reagan, ma in realtà ciò che più li avvicina,
politicamente, è il voto dei "Reagan Democrats".
Grazie alla sua insistenza su un
commercio internazionale che sia giusto oltre che libero, sul
rispetto delle leggi sull'immigrazione, e alla promessa di riportare
negli Usa i posti di lavoro persi a favore di Messico e Cina, Trump
ha riportato a casa i "Reagan Democrats", vincendo i grandi
stati (ex) industriali (Pennsylvania, Michigan, Wisconsin e Ohio),
che tutti insieme non votavano per un presidente repubblicano dal
1984, cioè proprio l'anno della rielezione "landslide" di
Ronald Reagan.
Chi sono i "Reagan Democrats"?
Sono elettori della working class, bianchi non laureati, si
definiscono cristiani ma distanti dalla destra religiosa. Elettori
che avevano abbandonato il Partito democratico per votare Reagan nel
1980, e ancora di più nel 1984. Oggi sono in gran parte elettori
indipendenti, che si sentono liberal sui temi sociali e conservatori
in campo economico e fiscale. Trump ha conquistato il 48% dei loro
voti contro il 42% della Clinton, secondo gli exit poll della Cnn,
mentre il sondaggio finale IBD/TIPP attribuiva a Trump un vantaggio
addirittura di 10 punti (48% a 38%) sulla Clinton negli stati del
Midwest. E il Washington Post ha calcolato che su 700 contee che
hanno votato per due volte Obama, un terzo (molte delle quali proprio
nel Midwest) è passato a Trump. Tra gli elettori bianchi non
laureati Trump ha prevalso di 41 punti percentuali, contro i 26 di
Romney quattro anni prima. Nel 2012 Obama aveva vinto la rurale
Monroe County, nella "coal belt" dell'Ohio, con 8 punti di
vantaggio, ha ricordato Laura Meckler del WSJ, mentre Trump
quest'anno l'ha fatta sua per 47 punti. Nella Luzerne County delle
"tute blu", in Pennsylvania, Obama aveva prevalso di 5
punti, Trump l'ha vinta con 19 punti di distacco.
Insomma, con le sue incursioni a
sinistra su industria e commercio Trump potrebbe aver ricostituito (o
almeno posto le basi per ricostituire) la "Reagan Majority",
la coalizione che ha garantito a Ronald Reagan due mandati, seguiti
dal mandato di Bush senior.
La somma di elettori repubblicani,
working class bianca e indipendenti ha portato il Gop alla conquista
della Casa Bianca e alla conferma delle maggioranze sia alla Camera
che al Senato per la prima volta dagli anni '20 del secolo scorso.
Lungi dall'affondare il Partito repubblicano, pare che Trump l'abbia
salvato. Difficile immaginare come un diverso candidato, che sarebbe
rimasto nella "comfort zone" del partito, probabilmente
scontrandosi con il problema della coperta troppo corta come Mitt
Romney quattro anni prima, avrebbe potuto battere la Clinton e
garantire ai Repubblicani una posizione più forte. Posizione di
forza che ora rappresenta una grande opportunità. Sarebbe un errore
imperdonabile sprecarla in guerre intestine e incomprensioni tra la
presidenza e la leadership del partito che controlla Camera e Senato.
Alcune iniziative chiave, come sanità e riforma fiscale, in grado di
rilanciare l'economia, potrebbero consolidare il consenso e porre le
basi per una più solida maggioranza nel Paese. Come Reagan, Trump
verrà giudicato non sulle pretestuose polemiche della sinistra, ma
sulla capacità di rendere l'America di nuovo grande.
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