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Friday, June 27, 2003

Black out. Una cosa seria
Quando i nostri politici si decideranno ad affrontare la questione energetica? Invece di romperci i coglioni quotidianamente con le loro vanità, perché non si discute, e non si dividono, sulla politica energetica, o sulla non-politica fatta per anni? La situazione gravissima, che si ripercuote sull'industria, ma anche sui singoli cittadini, e che ostacola la crescita economica e il nostro benessere, ben rappresentata oggi in prima pagina su 'il Riformista'.
  • «Un paese senza energia, senza nucleare né carbone»

  • «Non solo il black out, ma anche le tariffe più salate d'Europa»

  • il Riformista
    Il 9 luglio per l'Iran libero
    Questo blog aderisce alla manifestazione indetta dal quotidiano 'il Riformista' di sostegno agli studenti iraniani che protestano contro il regime degli ayatollah.
  • L'Iniziativa del quotidiano 'il Riformista'
  • L'adesione di Piero Fassino, "Basta relativismi, sempre per la libertà"

  • Ben detto, era ora. Già, perché è questa la sinistra che vorremmo, quella vincente. La mobilitazione lanciata da 'il Riformista' è lodevole e aderisco volentieri, riuscirà bene, ma saremo in pochi. Dubito che folle oceaniche si scomodino per la pace, la libertà e la democrazia se non sono chiamate a raccolta contro gli Stati Uniti. La pace per cui di solito i più manifestano è la loro, non quella degli altri: 'l'Iran non è attaccato dagli Usa? Lasciateci in pace'.
    Affirmative action
    Un bel dibattito da seguire - al di là dell'oceano, ovviamente - ha ragione 1972, che qui tratteggia al meglio i termini della questione.
    1972

    Thursday, June 26, 2003

    "E' l'ora degli ayatollah, passeranno indenni l'estate di Teheran?"
    «E' l'ora dei mullah! Ci? che adesso dobbiamo chiederci è se l'Iran degli ayatollah e la originaria "Repubblica islamica" riusciranno a superare indenni l'estate o se invece il presidente Bush celebrerà il secondo anniversario dell'11 settembre con i due terzi del suo asse del male buttati nella spazzatura della storia.» Articolo di Mark Steyn tradotto da Il Foglio. Leggi tutto. Nella stessa pagina i messaggi dei ragazzi iraniani a Radio voce dell'Iran.
    Intanto, in Iran il regime teo-clerico-fascista ha proibito le manifestazioni da tempo previste per il 9 luglio, l'anniversario della prima grande manifestazione degli studenti iraniani, duramente repressa nel 1999, ma i dimostranti hanno deciso di scendere in strada lo stesso anche per i loro compagni che si trovano da giorni in carcere (Vai alla notizia). In Italia, già annunciata una manifestazione di sostegno dal quotidiano 'il Riformista', ma anche i Radicali si muoveranno, l'8, il 9, o il 10.
    Chicago Sun Times - Il Foglio

    Tuesday, June 24, 2003

    Per Michael Leeden supportare gli studenti iraniani è un dovere per tutti quelli che amano la libertà. E invita l'amministrazione Bush a sostenere apertamente le manifestazioni. Anche se ciò presenta dei rischi considerevoli.
    «We were told that it would be counterproductive to denounce the gulag system and support the Soviet dissidents, that the Jackson-Vanik law (linking trade with the Soviet Union to freedom to emigrate for Soviet Jews) would be counterproductive, and that we must at all costs refrain from calling for greater human rights in the People's Republic of China. Yet every time another tyrant falls, his surviving victims invariably tell us that our words of support gave hope and strength to the freedom fighters and weakened the resolve of their oppressors. Bukovsky, Sharansky, Ginsburg, Walesa and Havel know the power of American support, as do Gorbachev, Jaruzelski, Milosevic and Marcos.» Tutto l'articolo
    WP

    Thomas Friedman. Il successo del processo di democratizzazione in Iraq sarà determinante anche per l'Iran provocando effetti a catena nell'intero Medio Oriente. Puntare sulla maggioranza sciita in Iraq sarebbe una spinta decisiva per il regime change in Iran.
    «... there is one huge tool we do control that will certainly have an impact on Iran: It's called Iraq. Iraq, like Iran, is a majority Shiite country, with myriad religious links with Iran. If the Bush team could make a psychological and political breakthrough with Iraqi Shiites, and be seen as helping them build a progressive, pluralistic state in Iraq, it would have a big impact on Iran — much bigger than anything America alone could say or do. No one should have any illusions that Iran's Islamic theocracy is about to fold tomorrow. Iran's clerical rulers are tough and ruthless and have a monopoly of power. But many of their people detest them. And while Iran will play out by its own logic, there is no question that if the other big, predominantly Shiite state in the region, the one right next door, the one called Iraq, were to become a reasonably decent, democratizing polity of the sort Iranians are demanding for themselves, it would pressure Iran's clerics to open up.
    We do not want the story in Iran to be America versus the Ayatollahs. We want the story to be the Iranian people versus the Ayatollahs, and the best way to foster that is by showing Iranians that there is another way and it's happening right next door. In short, America's intervention in Iraq is a two-for-one sale: improve Iraq, improve Iran. Buy one, get one free. Mess up one, mess up the other».

    Tutto l'articolo
    NYT

    Analisi sulla storia e sulle prospettive del ruolo degli sciiti iracheni su Foreign Affairs. Le posizioni radicali non prevarranno.
    «How the Bush administration handles the Iraqi Shi'ites, therefore, will be crucial not only for the future of Iraq but also for the future of the entire region.» Leggi
    Foreign Affairs

    Studioaperto
    Il nuovo sito di Studio aperto. Per ora non c'è niente, ma promette bene, vediamo se saranno bravi bloggers.
    Il dibattito, quello vero, sulle armi di distruzione di massa di Saddam
    In Italia ormai ci hanno convinto che Bush ha mentito ed è un fascista. Negli Stati Uniti il dibattito è ancora aperto, le posizioni e le analisi si confrontano. Leggi l'articolo
    Il Foglio

    Sunday, June 22, 2003

    Massimo FinoiaMassimo Finoia, le sue due fedi: «Continuando così potrò morire da vivo!»
    «Credo che abbia seminato intorno a sé, soprattutto in questi ultimi mesi, molta più vita di quanto non ne consumasse la sua malattia. Massimo se ne va lasciandoci un pieno: di vita, di memoria, di amore, di lotta». Due anni fa moriva Massimo Finoia, professore ordinario di Economia politica, preside della Facoltà di Scienze Politiche all'Università 'Roma Tre' durante gli anni dei miei studi, collaboratore del 'Sole 24 ore'. Era affetto da una grave forma di cancro e si era candidato, da cattolico praticante, con la 'Lista Bonino', nei suoi ultimi mesi di vita. Qui lo speciale di RadioRadicale.it
    Lontananze
    Venerdì a Letterature. C'era Paul Auster. I magici tocchi calibrati ed essenziali di Danilo Rea e Roberto Gatto riempivano di veli invisibili la basilica di Massenzio. I brani letti da Auster, il passato, il presente, il futuro. Per un istante la mia mente è tornata a due persone che non ci sono più, che non si conoscevano ed erano lontane anni luce tra loro, ma che hanno avuto un gran peso su di me in momenti molto diversi della mia esistenza. In quell'istante le note vibrarono una calda serata estiva nella basilica e li ho ricordati insieme, Massimo e Rino, entrambi morti in giugno, 2001 e 2003. Semplicemente, vi ricordo... e vi ricordo bene.
    Camillo a RR
    Il "regime culturale italiano", e poi Bush, la sinistra americana e quella italiana, i Radicali, i new conservative, che "non esistono", regime change in Iran. Christian Rocca ai microfoni di Radio Radicale. Riascoltalo
    Radioradicale.it

    Friday, June 20, 2003

    Sweet home Teheran
    Anche JimMomo aderisce all'appello di sinistro a sostegno di quanti, da veri antifascisti, stanno lottando in Iran contro il regime teo-clerico-fascista degli ayatollah. Idealmente vicino alla loro voglia di libertà, democrazia e progresso. Il testo dell'appello
    sinistro

    Thursday, June 19, 2003

    Iran. Il Riformista se ne accorge
    «Solo il rombo dei B52 riesce a svegliare i progressisti italiani?», si chiede un editoriale di oggi de il Riformista. «Gli studenti di Teheran (...) non infiammano i cuori della sinistra. Non solo quella pronta a scendere in piazza sventolando la bandiera dell'Iraq di Saddam Hussein, ma nemmeno quella sensibile da sempre ai cambiamenti democratici che nascono dall'interno e vedono protagoniste le masse. Eppoi ci si lamenta se le manifestazioni pacifiste vengono chiamate manifestazioni anti-americane. In Iran non c'è la guerra. E, per quanto venga qua e là ventilata, nemmeno i neo-cons come Richard Perle la auspicano. Tanto meglio». «Proprio chi non vuole che si arrivi a un regime change a stelle e strisce, deve far sentire oggi la propria voce». Leggi tutto
    il Riformista

    Wednesday, June 18, 2003

    Iran. Un'altra lezione dello stesso corso. Ma in troppi 'fanno sega'
    Senza dubbio le manifestazioni di protesta che si stanno verificando in questi giorni in Iran contro il regime teo-clerico-fascista degli ayatollah potrebbero rappresentare l'inizio, o meglio, l'accelerazione, la spinta determinante, per un evento di portata storica. Dipenderà dagli sviluppi che potrà prendere la situazione, dall'attenzione che potranno e vorranno prestargli quella 'comunità delle democrazie' ancora troppo virtuale e il sistema dei media. I disordini e la conseguente repressione a Teheran e nelle altre città iraniane, la lotta degli studenti, la stessa di ampi settori della società iraniana per la libertà e la democrazia, per la moderazione e la partecipazione, sono l'evento cruciale di questi giorni, soprattutto alla luce del nuovo contesto internazionale prodottosi in Medio Oriente e non solo dopo la sconfitta del regime di Saddam in Iraq.
    Tuttavia questi eventi, preceduti e in qualche modo di certo provocati dalle sconfitte di terribili regimi in Afghanistan e Iraq, e che potrebbero precipitare verso qualcosa di buono quanto per adesso insperato, non stanno ricevendo affatto l'attenzione e la preoccupazione che meriterebbero. Né dai media, né dalla politica. E' lecito e opportuno non fare dichiarazioni fuori luogo o passi affrettati, ma la distrazione si vede ad occhio nudo. Mancano il sostegno, la considerazione, la riflessione che le lotte per la libertà dovrebbero sempre meritare, soprattutto da parte di chi, ed io sono tra questi, si definisce, certo spesso con troppa superficialità, 'di sinistra'. Eppure tutti gli elementi che così spesso demagogicamente farciscono la retorica 'di sinistra' sembrano esserci: le grandi manifestazioni popolari, la generazione di giovani studenti come motore degli accadimenti, la repressione violenta della polizia e dei 'guardiani' fedeli al regime. Invece, nessuna indignazione, né mobilitazioni per la pace e il 'progresso', né bandiere colorate, né girotondi o marce. Silenzio, imbarazzante, ma non imbarazzato.
    La verità preoccupante è che i danni prodotti dalla per-niente-nuova e reazionaria ideologia no global, dalla per-niente-nuova propaganda anti-americana, da telesantoro e televespa, in questi anni stanno pian piano riciclando una per-niente-nuova antropologia (l'uomo "nuovo" direbbe Bertinotti - facendoci rabbrividire -). La stessa che, pur sapendo, proprio come oggi sappiamo dell'Iran, volle ignorare la rivolta di 50 anni fa esatti a Berlino Est contro il regime comunista della DDR, le lotte per la libertà in Ungheria nel '56 e a Praga nel '68, per fermarsi solo al nostro continente. Oggi Il Foglio ricorda come 25 anni fa la sinistra europea volle vedere nelle bombe nei cinema iraniani il carattere anti-capitalistico e anti-occidentale della rivoluzione contro lo Scià, contro il capitalismo, soprattutto nella sua espressione di imperialismo americano. Ebbene oggi vengono arrestati i dirigenti di un istituto demografico: avevano computato una stragrande maggioranza di iraniani favorevoli a riprendere i rapporti diplomatici con gli Stati Uniti. Il "grande diavolo" degli ayatollah è considerato dalla popolazione iraniana, invece, un esempio di libertà per i popoli, e questo nonostante 25 anni di indottrinamento religioso. Un tipo di libertà che però evidentemente dalle parti nostre piace sempre meno.
    Movimento degli studenti iraniani
    "Il momento delle opportunità per il liberalismo arabo"
    Stavolta, raramente accade, Capperi non è fazioso e ci segnala dal Middle East Media Research Institute qualcosa che ci fa bene leggere. Interessante ciò che scrive il giornalista Taufiq Abu Bakr in un articolo pubblicato sul quotidiano dell'Autorità nazionale palestinese Al-Ayyam: sostegno all'intervento straniero nei paesi in cui governano i regimi dittatoriali, e il cambiamento dall'interno non è possibile, e sfruttamento delle conseguenze della guerra in Iraq per rianimare il movimento liberale del mondo arabo. Titolo: "La tendenza liberale araba e il suo momento di opportunità". E scrive: «In molti decenni, i movimenti nazionalisti, socialisti e islamici non hanno portato alla democrazia, alla libertà o alla giustizia sociale nel mondo arabo»; «Il Movimento Liberale Arabo è stato seppellito quando era ancora nella culla»; «L'idea dell'intervento umanitario internazionale deve essere sviluppata»; «Abbiamo bisogno di un risveglio culturale nel mondo arabo». Leggi tutto (tradotto in italiano dal Memri).

    Altri articoli segnalati:
    "Sostenendo i suoi carnefici, molti arabi hanno peccato contro il popolo iracheno"
    "I Media arabi sono riusciti a ingannare la gente"
    Infine, il "Progetto di documentazione sull'antisemitismo arabo"
    Memri
    "Il paradosso del nazionalismo americano"
    «As befits a nation of immigrants, American nationalism is defined not by notions of ethnic superiority, but by a belief in the supremacy of U.S. democratic ideals. This disdain for Old World nationalism creates a dual paradox in the American psyche: First, although the United States is highly nationalistic, it doesn’t see itself as such. Second, despite this nationalistic fervor, U.S. policymakers generally fail to appreciate the power of nationalism abroad.»
    Interessante articolo di Minxin Pei su Foreign Policy sulle caratteristiche peculiari del nazionalismo Usa e sulle sue ripercussioni nei rapporti con il resto del mondo. E' basato su ideali democratici e istituzioni universali, non su criteri etinici, religiosi, linguistici o geografici, su un'adesione volontaristica e non indottrinata, sulle vittorie militari e i successi in pace, non sulle umiliazioni nazionali, su una memoria breve, ed è rivolto al futuro, non alle glorie passate. Leggi tutto
    Foreign Policy
    La "fantasia neoconservative"
    Avevano davvero ragione loro? La "fantasia neoconservative" si sta avverando? Robert Lane Greene crede di sì e spiega perché su The New Republic. «It's a neoconservative's fantasy. In the past 18 months, two of the world's vilest regimes, Saddam Hussein's and the Taliban, have fallen. Now the Islamic Republic in Iran is trembling, shaken by almost a week of anti-government protests. It's tempting to conclude that those who predicted toppling Saddam would start a wave of democratization across the Middle East will be proven right after all.» Leggi tutto
    The New Republic

    Tuesday, June 17, 2003

    Regime change in Iran?
    Editoriale di Michael Leeden: analisi delle manifestazioni contro il regime degli Ayatollah, critiche a Bush perché non si decide ad aiutare i rivoltosi. Leggi qui
    National Review

    Monday, June 16, 2003

    Effetti ritardati: L'Europa dice sì alla guerra preventiva
    «When these measures (including political dialogue and diplomatic pressure) have failed, coercive measures under Chapter VII of the U.N. Charter and international law (sanctions, selective or global, interceptions of shipments and, as appropriate, the use of force) could be envisioned.» Questa la parte di un documento approvato oggi dai ministri degli Esteri dell'Unione europea contro la proliferazione delle armi di distruzione di massa.
    Dunque, osserva 1972, "dopo mesi di retorica anti-Usa sembra ci siano arrivati anche i buoni e giusti (per chi non lo sapesse sono gli europei - usiamo sembra perchè magari domani smentiscono tutto -). Cosa è successo? Nulla. In Europa si sono solo letti il combinato disposto degli articoli del Capitolo VII Carta Onu nel quale si prevede appunto la possibilità dell'intervento militare per far fronte alle minacce alla pace e alla sicurezza internazionale. Vale a dire la difesa preventiva nell'epoca delle armi di distruzione di massa in mano a stati-canaglia o a gruppi terroristi".
    1972