Le miserie di un mondo no global
Gianni Riotta pensa giustamente che il problema della globalizzazione è che ce n'è troppo poca: se «'I Grandi' non riescono a prendere alcuna decisione, dalla loro impasse scaturisce male, non bene, per i poveri. La famigerata globalizzazione, che i cortei insultano lungo i bonari boulevard svizzeri, s'è fermata, e a farne le spese sono proprio i paria del pianeta. Deflazione, guerra in Iraq, gerontoeconomia in Germania e Giappone, Sars e dollaro anemico non diffondono i commerci e gli scambi di quello che Luttwak chiamava il 'turbocapitalismo': li frenano. Il dialogo all'Organizzazione Mondiale del Commercio, il 'round Doha', per tagliare le tariffe va in panne e c'è pessimismo per il prossimo incontro a Cancun, in Messico, a settembre. Gli europei combattono contro i cibi genetici, gli americani per il loro acciaio e tutti gli occidentali in difesa dei sussidi all'agricoltura, muro dorato di 300 miliardi di dollari l'anno che isola i poveri, battuti dalla concorrenza sleale a banane, riso, zucchero»
«Circolano meno merci, la globalizzazione è in quarantena, anche se non lo leggerete sui pamphlet di denuncia tanto in voga, dove la verità cede il passo alla propaganda».
Ma «Lula ha compreso quel che i ragazzi dei cortei farebbero bene a comprendere, a loro volta, in fretta: la fine della globalizzazione non creerà la stagione del latte e del miele, ma nuova miseria e chiede la fine "dei sussidi dei Paesi ricchi, protezionismo nascosto che ci deruba del frutto del nostro lavoro". Se il mondo torna a isolarsi, per guerre e crisi economica, non sarà più giusto ed equo, ma più tetro e affamato». Con lui anche il presidente messicano Vicente Fox che chiede «un'alleanza per la prosperità», il segretario dell'Onu Kofi Annan che invoca «maggiore accesso dei Paesi arretrati ai mercati globali» e il leader cinese Hu Jintao, che auspica «un ordine economico globale equilibrato e razionale». «Le superpotenze saranno credibili con i poveri solo quando apriranno i propri mercati», riconosce il quotidiano francese Le Monde.
«Da Evian esce l'immagine di un pianeta frenato e spaventato, dove i rischi non vengono più dal 'turbocapitalismo', ma dal 'nanocapitalismo', i leader, paralizzati dalle difficoltà, si chiudono in se stessi, gli scambi scemano, la cooperazione langue, 700 milioni di giovani dovranno scegliere tra salario e rivolta. E guerra e terrorismo minacciano di rivelarsi l'unico dialogo globale». Leggi tutto
Corriere della Sera
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