Anche su Notapolitica e L'Opinione
Raramente in una campagna elettorale le accuse reciproche sono così azzeccate come quelle che si sono scambiati il premier uscente Monti e il suo predecessore Berlusconi. Di solito gli avversari ricorrono gli uni contro gli altri ad ogni tipo di esagerazioni e forzature, se non a vere e proprie mistificazioni. Stavolta, invece, c'è molto di vero. Se Berlusconi ricorda un «pifferaio magico» per le promesse non mantenute, eppure disinvoltamente reiterate senza analizzare a fondo e con onestà le cause dei suoi precedenti fallimenti, Monti si è senz'altro rivelato un «bluff». L'abbiamo scritto prima di tutti su questo giornale e anche autorevoli osservatori hanno espresso la loro delusione per la sua precoce perdita di slancio riformatore.
Berlusconi non può scaricare tutto su Monti. L'inasprimento fiscale e la lotta all'evasione condotta con metodi illiberali, ampliando a dismisura i poteri repressivi di Equitalia, in particolare l'inversione dell'onere della prova a carico del contribuente, erano già stati avviati, con esiti recessivi sull'economia, dal ministro Tremonti durante il suo ultimo governo. D'altra parte, Monti non può cavarsela scaricando tutte le colpe sul suo predecessore. Se è vero che ha governato solo un anno, tuttavia era sostenuto da una maggioranza parlamentare senza precedenti, letteralmente annichilita dal proprio discredito, e in ragione dell'emergenza ha potuto operare con un potere pressoché assoluto, anch'esso senza precedenti nella storia repubblicana, sulle scelte di politica economica.
Ci si aspettava quindi che avrebbe rivoltato l'Italia come un calzino, resistendo ai veti dei partiti e delle lobby. Poteva farlo, perché almeno nei primi sei mesi nessuno si sarebbe potuto permettere di farlo cadere. E invece, dopo la riforma delle pensioni e l'introduzione dell'Imu, nel novembre 2011, non ha portato a casa molto altro: liberalizzazioni timide, finte privatizzazioni e una riforma del mercato del lavoro addirittura controproducente, come hanno riconosciuto osservatori internazionali nient'affatto ostili al professore. La via al risanamento di quasi solo tasse non è stata una necessità, come Monti ripete oggi, ma una scelta deliberata. Persino il presidente della Bce Draghi in un'intervista al WSJ l'ha bocciata come «cattivo consolidamento», in opposizione ad una via «buona», perché meno recessiva, basata principalmente su tasse più basse e riduzioni di spesa.
Ma ammesso e non concesso che Monti non abbia potuto fare a meno di cedere ai veti contrapposti delle forze politiche, dopo le sue dimissioni e la sua "salita" in campo ha avuto finalmente l'occasione di presentare la sua "agenda", senza condizionamenti di sorta, eppure non ha saputo offrire che un programma generico, privo di proposte concrete, corredate di numeri, che ci saremmo aspettati da chi conosce in profondità la finanza pubblica.
Le marce indietro delle sue ultime apparizioni televisive sono tardive e poco credibili. «Fosse per me non l'avrei messo, bisogna valutare seriamente se toglierlo», osserva sul redditometro, ideato sotto il governo Berlusconi-Tremonti ma elaborato nel corso di tutto il 2012. In 13 mesi Monti avrebbe potuto bloccarlo con una telefonata, almeno dire una parola, invece di mostrarsi pappa e ciccia con Befera. Guarda caso proprio in campagna elettorale, quando non può più fermarlo, cambia idea. Adesso una riduzione delle tasse sarebbe possibile addirittura in «molto poco tempo», e «voglio anch'io che l'Imu sia ridotta», confessa Monti, quando nella conferenza stampa del 23 dicembre era «da pazzi» solo pensare di abolirla sulla prima casa. Dice di non aver «mai pensato ad una patrimoniale» e di voler evitare il punto in più di Iva previsto a luglio, mentre l'aumento del carico fiscale sui «grandi patrimoni» e i consumi è scritto nero su bianco sulla sua agenda. Diceva di essere sceso in campo per «difendere il lavoro fatto», ma oggi ammette che «molte cose devono essere oggetto di una revisione». Non solo la politica fiscale, ma anche la riforma delle pensioni: non ha «preclusioni» a modificarla, fa sapere al Pd.
Monti, infine, sostiene di non aver accettato l'offerta di Berlusconi di federare i "moderati" «perché all'Italia serve unire i riformatori», ma poi ha imbarcato Fini e Casini (con famiglia al seguito), non riuscendo quindi a rimodulare l'offerta politica sull'asse riformatori/conservatori anziché sul logoro asse destra-sinistra. E piacerà la sua nuova veste di candidato combattivo, che lascia il fioretto e impugna la roncola contro Berlusconi, ai cittadini che ne avevano apprezzato lo stile sobrio e la distanza dalla mischia politica?
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