Un Monti che non può permettersi di tirare la corda fino a spezzarla, rischia di venire trascinato se Bersani la tira troppo a sinistra
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Che cosa succede quando un'alleanza già squilibrata a sinistra si sposta ancora più a sinistra? Rischia di restarci schiacciata e di trascinare con sé un'operazione centrista che si finge equidistante, ma sa che il suo unico sbocco è proprio a sinistra. L'ossessione del Pd di non avere nessuno alla propria sinistra, se non un alleato (vedi Di Pietro nel 2008, Vendola oggi), sembra dura a morire e in passato è stata causa di pesanti debàcle elettorali o di mezze vittorie. La storia si sta ripetendo. Manifestando l'intenzione di rivedere, per limitarla ulteriormente (è stata già ridotta del 30%), la spesa per gli F-35, Bersani dice una cosa molto "di sinistra", di vecchia sinistra, per tentare di fronteggiare su quel fronte la concorrenza del movimento vetero-comunista di Ingroia, che potrebbe essere determinante in negativo nelle regioni in bilico per il Senato (Lombardia, Campania e Sicilia). Anche perché l'ex magistrato, insieme a Grillo, sta erodendo consensi a Vendola, al quale il Pd aveva "appaltato" il traino degli elettori più a sinistra.
Ma se Bersani può spostarsi a sinistra è perché al centro si sente coperto: da Renzi, la cui presenza in questa fase della campagna dovrebbe ricordare agli elettori che il Pd è anche il partito del giovane e moderno sindaco di Firenze, non solo quindi un covo di ex comunisti costretti a inseguire Ingroia e Ferrero; e da Monti, che non dovrebbe infierire troppo sullo spostamento a sinistra del Pd, limitandosi a polemizzare sul conservatorismo di Vendola e Camusso.
Tutto lascia intendere, infatti, che tra il segretario del Pd e il premier uscente ci sia davvero, se non un accordo di massima per un'alleanza di governo post-voto, almeno una sorta di divisione dei compiti in campagna elettorale: il primo può dedicarsi tranquillamente al suo fronte sinistro, anche perché sa che dal centro non arriveranno bordate tali sfondare lo scafo, al massimo qualche pizzicotto.
Lo sforzo di Monti è quello di presentarsi come alternativo sia alla destra che alla sinistra. Tutti i suoi discorsi sulle riforme ostacolate in Parlamento sia dal Pd che dal Pdl, da cui la necessità di «federare i riformatori», la sua teoria sul superamento delle categorie di destra e sinistra, vanno in questa direzione. Si sta sforzando di non dare l'impressione di essere già pronto ad un accordo con Bersani, insomma di scrollarsi di dosso l'immagine di "stampella" della sinistra. Ma non ci sta riuscendo, i sondaggi mostrano che la sua lista stenta a decollare a destra. Non sorprende, dal momento che un po' per simpatie personali, un po' per realismo politico - perché si rende conto che centro e sinistra sono obbligati ad accordarsi dopo il voto per il governo del paese - non può permettersi strappi né toni troppo aggressivi nei confronti del Pd. Se contro Berlusconi e il centrodestra impugna la roncola, nei confronti del centrosinistra il fioretto: schermaglie con Vendola e sulla Cgil, ma più che conciliante con Bersani. Emblematica la sua ultima intervista a Ballarò: da una parte, Berlusconi è un «manipolatore della realtà», se vince «tanto di cappello, ma sarebbe un disastro per noi italiani»; dall'altra, «il pericolo comunista nel Pd non esiste», Bersani è una «persona seria», sbaglia solo a «immaginare di poter governare con Vendola e Camusso».
L'uscita sugli F-35 è solo un primo passo, la svolta a sinistra del Pd sarà completata, e suggellata, venerdì e sabato a Roma, al Palalottomatica dell'Eur, dove si terrà la presentazione del "Piano del lavoro", il contributo programmatico della Cgil alle forze di sinistra, di cui appare sempre più azionista di maggioranza. Facile immaginare che da quella kermesse uscirà una nuova foto di gruppo dopo quella ormai superata di Vasto. Una foto Bersani-Vendola-Camusso.
L'evento della Cgil si annuncia quindi come un crocevia della campagna elettorale: da come ne usciranno Bersani, e Monti, dipendono gli sviluppi successivi. Con i suoi 40 miliardi di tasse in più all'anno per il finanziamento di un pacchetto di investimenti del tutto dirigistico e il ritorno delle nazionalizzazioni (poste e trasporto pubblico locale), il piano che la Camusso si appresta a lanciare è puro socialismo reale. Bersani non potrà far finta di nulla per mero calcolo elettorale, si dovrà pronunciare su quel programma. E a cascata anche Monti, la cui prospettiva è quella di governare con Bersani, dovrà pronunciarsi sulla relazione speciale Pd-Cgil.
Se si accentua lo sbilanciamento a sinistra, già piuttosto marcato, del Pd e se Monti non riesce a presentarsi come inequivocabile alternativa alla sinistra, dovendo per realismo mantenere buoni rapporti con essa in previsione di un'intesa di governo, si apre per il centrodestra una vera e propria prateria di voti, da cui lo separerebbero solo la delusione, la rabbia e il disgusto del proprio elettorato per la recente fallimentare esperienza di governo, ma nessun concorrente politico.
La riforma del lavoro è un tema sul quale Monti può distinguersi dalla sinistra, ma la polemica può spingersi solo fino ad un certo punto. La flexsecurity di Ichino, infatti, implica la riapertura del conflitto sull'articolo 18, su cui a sinistra la chiusura è totale, e il superamento della riforma Fornero nella direzione esattamente opposta a quella auspicata da Pd e Cgil. Se Bersani si sposta un po' a sinistra, dunque, solo apparentemente il compito del professore diventa più facile, come scrive Stefano Folli sul Sole. Dovrebbe comunque mantenere una certa opacità nella sua proposta politica, per non far esplodere già in campagna elettorale le contraddizioni, probabilmente insanabili, con la sinistra.
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