Pubblicato su Ofcs Report
Hillary Clinton è la prima candidata donna alla Casa Bianca, ma riuscirà anche ad essere la prima donna a varcarne la soglia da presidente? Sì, stando ai sondaggi e alle analisi che circolavano solo tre mesi fa, secondo cui Donald Trump sarebbe stato l’unico candidato, tra i molti repubblicani, contro cui la Clinton avrebbe vinto facilmente a novembre. Oggi questo scenario, evocato soprattutto dagli sfidanti di Trump alle primarie repubblicane, sembra appartenere ad un’altra era politica. Certo, dopo il quasi sorpasso di fine maggio, la media dei sondaggi dà Hillary in vantaggio di 4,5 punti percentuali (44,8% a 40,3%) e saldamente in testa nella mappa dei grandi elettori dei singoli Stati (210 contro 164, con 164 ancora in bilico), ma il margine di sicurezza di 10 punti e più degli inizi è un lontano ricordo. E il sondaggio Rasmussen di fine giugno che attribuisce a Trump un vantaggio di 4 punti a livello nazionale è un campanello d’allarme. Come lo sono il sondaggio Gravis che registra un testa-a-testa (49 pari) in uno stato chiave come la Florida e quello SurveyUSA secondo cui l’elettorato di origini cubane sarebbe in maggioranza per Trump (45 a 34).
Almeno tre elementi indicano che la strada verso la Casa Bianca, per l’ex first lady, è ancora in salita e piena di incognite. Primo, il cosiddetto “emailgate“, l’inchiesta sull’utilizzo che Hillary ha fatto di account e-mail e server privati durante il suo mandato da segretario di Stato, su cui sabato scorso è stata interrogata per tre ore e mezza dall’FBI. Proprio ieri il direttore dell’FBI, James Comey, ha annunciato alla stampa la decisione di non incriminare la Clinton, ma le polemiche sul caso sono destinate ad accompagnarla per il resto della campagna elettorale. Comey ha parlato di “estrema negligenza” da parte della Clinton e del suo staff, che “avrebbero dovuto sapere che l’uso dei server privati era improprio”. Innanzitutto, è confermato che almeno 30mila e-mail sono passate su quei server, anche durante la drammatica crisi dell’attacco terroristico al consolato Usa di Bengasi, in cui ha perso la vita l’ambasciatore in Libia. Di queste, 110 contenevano informazioni classificate (8 top secret) e la Clinton non le ha consegnate spontaneamente, le ha dovute recuperare l’FBI in questo ultimo anno, anche se “non ci sono prove che le abbia cancellate volontariamente”. Inoltre, nel pieno dell’indagine l’inopportuno incontro tra Loretta Linch, capo del Dipartimento della giustizia (il ministro della giustizia Usa) e il marito di Hillary, l’ex presidente Bill Clinton. La Lynch si è vista costretta a fare mea culpa per un incontro che “comprensibilmente”, ha ammesso lei stessa, ha alimentato dubbi e polemiche che l’hanno indotta ad assicurare che accetterà “qualsiasi conclusione a cui giungerà l’FBI”. Non si sono fatti attendere gli attacchi di Trump: “Il direttore dell’FBI dice che la corrotta Hillary ha compromesso la sicurezza nazionale, ma nessuna incriminazione. Wow”, ha tuonato su Twitter. “Il sistema è corrotto. Petraeus ha avuto problemi per molto meno”, ha aggiunto.
Secondo, la forte resistenza dei sostenitori di Sanders a ricompattarsi dietro la Clinton. Trump ha persino fatto esplicito appello agli ex elettori del senatore del Vermont, facendo leva su importanti temi comuni, come la lotta anti-sistema e l’impoverimento della classe media causato dalla deindustrializzazione e dalla globalizzazione. Potrebbe essere più facile per Donald pescare voti a sinistra di Hillary di quanto lo sia per Hillary pescare a destra di Donald. Quel “Hillary Clinton non mi rappresenta” detto da una star della sinistra hollywoodiana come Susan Sarandon non è certo un bel segnale. Insomma, la Clinton potrebbe incontrare qualche problema a mobilitare la base, soprattutto più di sinistra, del suo partito. E nonostante Trump stia facendo di tutto per alienarsi il voto femminile, Hillary non sembra ancora sfondare proprio nel voto delle donne: le più anziane sono tra le sue più entusiaste sostenitrici, ma le più giovani alle primarie erano per Sanders e convincerle non sarà una passeggiata.
Ma la vera incognita che potrebbe decidere queste presidenziali è il possibile ritorno alle urne di milioni di americani che non votano da decenni per l’assenza di una vera alternativa all’establishment rappresentato dai due partiti tradizionali. E la Clinton rappresenta la quintessenza dello status quo a Washington, mentre Trump l’anti-sistema per eccellenza.
I media europei e americani dipingono Hillary Clinton come il candidato ragionevole e civilizzato in opposizione al folle demagogo Trump, ma rischiano di sottovalutare l’impopolarità di Hillary. Una delle tendenze che emerge con più forza dai sondaggi infatti è che sia Trump sia la Clinton fanno registrare gli indici di impopolarità più alti (circa il 60%) di qualsiasi altro candidato mai presentato dai due principali partiti. Tanto che per qualche analista ci sarebbe ancora lo spazio politico per un terzo candidato. Oltre il 30% dei loro sostenitori dichiara che la loro principale motivazione è l’avversione per l’altro candidato. La scelta, insomma, è per “il male minore”. Saranno di più gli americani motivati a votare contro Trump o contro Clinton?
Dalle colonne del Washington Post, lo scrittore Jim Ruth avverte che c’è una “nuova maggioranza silenziosa”, una fetta importante della classe media americana, a cui Trump non piace ma che è pronta a votarlo lo stesso, perché “ha una sola qualità redimente: non è Hillary Clinton. Non vuole trasformare gli Stati Uniti in una democrazia sociale sul modello europeo, basata sul politically correct”. E’ un bullo, un demagogo, ma anche l’unico in grado di “preservare l’American way of life come la conosciamo. Per noi, il pensiero di altri quattro o otto anni di agenda progressista che inquini il sogno americano è anche più pericoloso per la sopravvivenza del Paese di quanto lo sia Trump”.
L’appello di Trump alla working class bianca, poco istruita e impoverita, potrebbe far presa in stati dove la delocalizzazione ha fatto più strage di posti di lavoro e di “identità industriale“, come Pennsylvania, Ohio e Michigan, tradizionalmente democratici e decisivi per la conquista dei grandi elettori. In questi stati il margine di vantaggio che i sondaggi attribuiscono a Hillary è già risicato.
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