Con Israele, paese aggredito, non più oppressore
Sembra che la risoluzione di condanna del raid israliano di domenica, sottoposta al Consiglio di Sicurezza dell'Onu dalla Siria, sia affondata, nel cestino, senza bisogno del veto Usa. Nazioni Unite e Unione europea, amiche del vecchio e compromesso leader Arafat e sensibili alla causa palestinese (anche se di fatto la danneggiano), ma indifferenti al dolore di Israele, potrebbero aver compreso il messaggio lanciato con il raid. Segnale diretto, e recepito (con le dichiarazioni di Bush per ribadire il diritto all'autodifesa), anche dagli alleati americani, che negli ultimi tempi avevano preteso troppo. La Siria nella lotta al terrorismo «sta dalla parte sbagliata. Dalla parte del terrorismo». Per tenere alzata la guardia nella lotta contro il terrorismo non c'è altro modo. Ed eliminare il terrorismo, gli Stati terroristi, è condizione non sufficiente, ma necessaria per dare ai palestinesi una pace e una patria. Dopo l'11 settembre, l'America, non Israele, ha sancito il metodo di difesa dell'Occidente dal terrorismo: colpire i terroristi dovunque si nascondano, qualunque Stato li ospiti.
Road map morta e sepolta? Probabile, il primo adempimento è stato, per l'ennesima volta, rigettato dal nuovo premier palestinese Abu Ala, che si è subito affrettato a dichiarare di non avere alcuna intenzione di disarmare e smantellare le organizzazioni terroristiche.
L'Onu? Il suo ruolo, il suo fallimento, tutto nella domanda dell'ambasciatore israeliano al segretario generale Kofi Annan: come mai riunite il Consiglio di sicurezza per condannare un raid aereo contro postazioni armate, che non ha fatto vittime, e avete dormito quando si trattava di un raid suicida che ha fatto fuori una ventina di persone in un ristorante di Haifa?
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