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Friday, February 27, 2009

Nella morsa di due statalismi

Ho avuto la sfortuna di passare su Annozero proprio mentre Tremonti esibiva il suo campionario di enormità vetero-stataliste. Da moralizzatore, come un Travaglio della finanza. Mentre è proprio di questi tempi di crisi di cui l'Italia dovrebbe approfittare per fare quelle riforme strutturali di cui ha bisogno per afferrare con dinamismo la ripresa, Tremonti ha sostenuto invece che «se in un momento di incertezza e paura ti metti a fare le riforme a caso, non fai le riforme sociali, fai la recessione sociale». Sostituite il termine «recessione» con «macelleria», e vedrete che la retorica con cui Tremonti respinge l'ipotesi delle riforme non è così dissimile da quella che userebbe Bertinotti.

Tremonti saluta con entusiasmo il mondo che a suo avviso si aprirà all'indomani della crisi. Un mondo in cui le opere pubbliche, le opere di utilità collettiva, assumeranno la centralità che oggi hanno i beni di consumo. Basta con tutto questo consumismo frivolo! Basta televisori lcd, più case del popolo!

E' contrario a una riforma delle pensioni come patto intergenerazionale per finanziare un sistema di sussidi di disoccupazione universale. Nonostante la spesa previdenziale in Italia sia una delle più elevate in occidente e impedisca di destinare risorse adeguate ad altre spese sociali altrettanto importanti - come gli ammortizzatori sociali e una politica di sostegno al lavoro femminile - per Tremonti il nostro sistema è «uno dei più solidi, il migliore rispetto a tutti questi sistemi "americanoidi"... che ci hanno raccontato in giro». Cito a memoria, ma il senso è questo: «Per fortuna in Italia c'è ancora l'Inps. In America se Wall Street va male, vai a finire in una roulotte a mangiare KitKat».
«Non dobbiamo ragionare stile Goldman Sachs, per cui la riforma la fai con i numeri. I numeri della matematica sono una cosa, quelli della vita sono diversi. Il sistema delle pensioni non lo cambi come i prodotti finanziari, come questi "schizzati" che ti dicono che si fa con i modelli matematici».
Queste banalità dice Tremonti in tv, le stesse che ti direbbe un qualsiasi militante comunista parlando di modello americano al pub. E non ci si può aspettare nulla di diverso da chi è convinto che questo sia il momento della «verità», quindi non il momento «per leggere i libri d'economia, ma la Bibbia».

Se le stesse cose avesse osato pronunciarle un ministro dell'economia di centrosinistra si sarebbe aperta una polemica politica lunga una settimana. Tremonti dice queste cose quasi tutti i giorni ma in pochi si scandalizzano. Ed è questa una delle ragioni per cui sebbene la sua politica economica sia ben poco market-oriented, gli elettori continuano a vedere in Berlusconi il male minore.

Nel centrodestra in pochi si scandalizzano, perché Tremonti è pur sempre un autorevole esponente della compagine governativa che sostengono. Per il Ministero dell'economia purtroppo non ha rivali interni. Per ora. Ma perché quelle cose non suscitano scandalo nel Pd e nei suoi referenti economico-finanziari, mediatici e intellettuali? Semplice. Perché in fondo condividono le cose che dice il ministro, il loro stomaco se ne è nutrito per decenni. Il massimo del sentimento che provano nel sentire Tremonti è invidia: "Perché noi, dicendo le stesse cose, perdiamo le elezioni?" Per necessità devono fingersi "libero-mercatisti", anche se non ne sono convinti e non ne sono nemmeno capaci. E gli elettori se ne sono accorti.

Dunque ecco la situazione in cui siamo. Immaginatevi uno spettro che va da un massimo di libero mercato (100%) ad un massimo di statalismo (0%). Se il Pd non sa andare oltre un 30%, a Berlusconi basta fermarsi ad un misero 40% per coprire tutto il mercato politico-elettorale. Avrà con sé i voti dei più liberisti, dei moderati, e grazie alle sparate di Tremonti anche dei nostalgici dello statalismo socialdemocratico. Non c'è competizione.

Diciamo che una differenza c'è tra l'approccio statalista di Tremonti e quello dei governi di centrosinistra. Diciamo che Tremonti è appena un po' più pragmatico. Un po' più attento a non aggredire il ceto medio e la piccola impresa; non abbassa le tasse ma nemmeno le alza; non taglia la spesa, ma la contiene. Quello dell'attuale governo è uno statalismo più rigoroso e decisionista, che interpreta in tre ambiti fondamentali dello stato le aspettative dei cittadini: basta opere pubbliche bloccate da veti ambientali e da interessi particolaristici; basta fannulloni nella pubblica amministrazione; basta cittadini ostaggi degli scioperi. E qualcosa di buono si vede: la riforma Brunetta; l'approccio della Gelmini sull'università; la regolamentazione degli scioperi; il nucleare comunque la si pensi.

Quello dei governi di centrosinistra invece si è rivelato finora uno statalismo lassista, rissoso e inconcludente. Sembra che il compito della politica sia spendere. Non importa come vengono utilizzati i soldi pubblici, o che i servizi funzionino, l'importante è poter dire di aver aumentato il budget a questo o a quel programma. Vivi e lascia vivere. A rimetterci siamo tutti, stretti nella morsa di due statalismi.

UPDATE: A proposito, da leggere questo magnifico articolo di Alberto Mingardi: «Sembrava essersi compiuta un'evoluzione, a sinistra: ora abbiamo davanti un'involuzione della destra».

1 comment:

Anonymous said...

La destra non ha da preoccuparsi, ho letto sul Riformista di oggi che sulla spinta di Obama la sinistra sta preparando un bel programma di rilancio basato su.... tasse e nazionalizzazioni !!!! sigh ....non è una barzelletta... e dato che da noi la ricchezza non si produce più e il paese è fermo da un decennio sapete la "nuova" sinistra cosa vuole proporre ? una bella PATRIMONIALE. Qualcuno spieghi a questi fuori di cervello che negli USA la pressione fiscale è al 25%, dai noi supera il 43%, da noi lo Stato nell'economia è radicato e rappresenta spesso il problema, negli USA è da decenni visto come la peste... sono situazioni assolutamente imparagonabili, là alzano le tasse a chi guadagna più di 200 mila dollari, da noi si torlgono le briciole ai poveracci per mantenere le province. Tra l'altro temo che la politica economica di Obama si rivelerà ben presto fallimentare e peserà per generazioni sulle spalle degli americani produttivi. Tremonti è un conservatore che difende gli interessi di chi il benessere lo ha già raggiunto dalle legittime pretese di chi vorrebbe riuscire a fare altrettanto, vedrai che i soldi per le opere pubbliche che gli piacciono tanto non li chiederà certo ai professionisti e alle lobbies che difende distruggendo le (poche) liberalizzazioni che si erano avviate.