La storia che la Russia avrebbe "hackerato" le elezioni presidenziali per far vincere Trump, con la sua complicità, sta evaporando. Ciò che resta sono le trame di Obama contro il suo successore
Si tratta di un caso tipico di conseguenze non intenzionali. Continuare ad alimentare, a forza di leaks, il sospetto che Trump fosse in combutta con i russi per "hackerare" le elezioni presidenziali, senza poter ancora, dopo mesi, esibire una prova, porta prima o poi a chiedersi chi, perché e come ha raccolto tutte queste informazioni, che possono, appunto, alimentare un sospetto, ma non costituire una prova.
Allora la serie di tweet di Trump di sabato mattina sembra aver avuto l'effetto di un colpo d'avvertimento: attenzione, perché se questa campagna continua, qualcuno si dovrà assumere la responsabilità di un'indagine politicamente scandalosa, che non ha prodotto alcuna prova, e di fughe di notizie illegali. E così, improvvisamente, sono gli stessi media ad aver costruito quella narrazione, corredata di indagini e intercettazioni riferite da fonti di intelligence e governative, a chiedere a Trump "le prove" di qualcosa che viene scritto da settimane nei loro stessi resoconti (a meno che non siano disposti ad ammettere che si sono inventati tutto di sana pianta).
Per mesi, infatti, i grandi media e i Democratici hanno spacciato la storia che la Russia avrebbe "hackerato" le elezioni presidenziali. Una vera e propria "fake news", dal momento che il processo di voto è stato perfettamente regolare, nessuno lo ha manomesso. L'azione più rilevante attribuita al governo russo sarebbe stata l'hackeraggio degli account e-mail di alcuni esponenti del Partito democratico alcuni mesi prima del voto. All'interno di questa narrazione, è stata inserita quella secondo cui la campagna Trump era complice della Russia nell'"hackerare" le elezioni. Il tutto con l'evidente obiettivo di delegittimare l'esito del voto dell'8 novembre e bollare Trump come un usurpatore.
A sostegno di questa duplice narrazione, che oggi sta letteralmente
evaporando, la presunta complicità di Trump nel presunto complotto della Russia per "truccare" le elezioni, per aiutarlo a vincere, giornali come il New York Times, con articoli come quello del 19 gennaio, hanno riportato dettagli di attività investigative di "counterintelligence" da parte dell'FBI e delle agenzie di intelligence, lasciando intendere che per il solo fatto che se ne siano occupate così intensamente ci dovessero essere serie ragioni per crederci. L'indagine, hanno riportato, è "ampia", include mandati FISA, "comunicazioni intercettate", in rapporti forniti dalla Casa Bianca. Per mesi, hanno suggestionato il loro pubblico con questa teoria cospiratoria.
Se a un certo punto, come osserva Andrew C. McCarthy su National Review, "prove convincenti di una collusione tra la campagna Trump e la Russia per rubare l'elezione non si materializzano, la questione molto più interessante diventa 'come il governo ha ottenuto tutte queste informazioni passate ai media per mettere in piedi questa storia?'. E la risposta più plausibile - osserva McCarthy - è che l'amministrazione Obama, tramite il Dipartimento di giustizia e l'FBI, stava investigando sui collaboratori del candidato alle presidenziali del partito di opposizione, e forse sul candidato stesso, durante la campagna. Come spiegare altrimenti tutti i dettagli di indagine, molti classificati, quindi diffusi illegalmente, passati alla stampa? In breve - conclude McCarthy - i media e i Democratici hanno giocato col fuoco per mesi. L'uso di risorse di sicurezza nazionale e della giustizia per condurre un'indagine sull'avversario politico durante una campagna elettorale è sempre stata una storia potenzialmente esplosiva. E a parti invertite, un'amministrazione repubblicana che avesse investigato su esponenti legati alla campagna di un candidato democratico, ci saremmo trovati nel mezzo di una copertura tipo Watergate 2.0".
Ora che la condotta dell'amministrazione Obama, e dell'ex presidente in persona, è stata chiamata in causa dai tweet del presidente Trump, pur non essendoci ragioni al momento per credere che sia stato personalmente intercettato, gli stessi media sembrano cadere dalle nuvole e battere in ritirata rispetto all'indagine che loro stessi hanno riportato a sostegno della teoria cospiratoria. Ma quale sorveglianza? Quale FISA? Quali intercettazioni? Che prove avete?
Ora che, improvvisamente, sembra quasi si voglia far credere che non ci sia stata alcuna reale indagine su Trump e la sua campagna, è ancora più evidente che non c'è alcuna reale prova di una collusione tra il neo presidente e la Russia, e che l'elezione non è stata "hackerata" dai russi. Si tratta di un'invenzione basata sul fiume di "leaks" arrivati selettivamente alla stampa dalla sorveglianza della campagna prima, e del transition team di Trump poi, da parte dell'amministrazione Obama.
La sinistra ha inventato il termine "fake news" per denunciare la propaganda e la disinformazione usate da Trump e dai populisti in generale, e ora il termine calza alla perfezione agli sforzi dei media di sinistra per delegittimare e demonizzare l'amministrazione Trump. "I media e i repubblicani anti-Trump - osserva Victor Davis Hanson su National Review - hanno denunciato come inappropriate ad un presidente le sconsiderate e puerili buffonate di Trump. Forse, ma possono aver dimenticato l'astuzia e l'istinto animale di Trump: ogni volta che Trump solleva impulsivamente questioni controverse in modo rozzo... il sistema mediatico insegue e conferma l'essenza degli allarmi altrimenti avventati di Trump. Stiamo imparando che Trump è impreciso e maldestro, ma spesso preveggente; i suoi avversari, di solito ponderati e precisi, ma in malafede".
Il paradosso da cui non si scappa è che le agenzie di intelligence e l'FBI dell'amministrazione Obama hanno indagato su Trump, i suoi collaboratori, il transition team, per i legami con la Russia, ricorrendo anche a intercettazioni, per motivi di sicurezza nazionale, senza trovare "evidence" di una collusione, mentre hanno deciso di non incriminare la candidata "amica" Hillary Clinton, pur essendoci prova di un comportamento illecito che ha messo certamente a rischio proprio la sicurezza nazionale, con probabilità altissima di hackeraggio di migliaia di email contenenti anche conversazioni e informazioni classificate, da parte di potenze straniere (Russia inclusa). E nonostante le "no evidence" del complotto Trump-Russia, i giornali hanno perseverato con la loro campagna proprio grazie allo stesso tipo di leaks che qui da noi condanniamo perché illegali (e perché oggi colpiscono Renzi e non più Berlusconi...).
Un altro paradosso riguarda i rapporti con la Russia. Per le sue aperture nei confronti di Mosca, per una normalizzazione dei rapporti, Trump è stato accusato di essere una marionetta di Putin. Bizzarro, dal momento che proprio Hillary Clinton per conto di Obama è andata a Mosca per premere il pulsante di "reset" nei rapporti fra le due potenze. Per non parlare dell'accantonamento dello scudo antimissile in Europa Orientale, del fuori-onda di Obama in cui raccomanda all'allora presidente russo Medvedev di riferire a "Vladimir" che dopo la rielezione del 2012 sarebbe stato ancora più "flessibile". E' lo stesso Obama che in campagna elettorale ridicolizzava gli avversari repubblicani, prima McCain poi Romney, perché consideravano la Russia il principale avversario degli Stati Uniti. Ed è durante gli otto anni di Obama che gli Stati Uniti non hanno praticamente reagito all'annessione della Crimea da parte russa e alla guerra per procura in Ucraina orientale. E ancora, che Mosca sta ottenendo successi militari e geopolitici impensabili in Medio Oriente, dalla Siria alla Libia. Al contrario, Trump ha in programma di incrementare la produzione petrolifera interna, aumentare la spesa militare e rinnovare l'arsenale nucleare, non esattamente dei "favori" alla Russia... Come ha osservato Walter Russell Mead, "se Trump è davvero una marionetta di Putin, la sua politica estera comincerà a somigliare molto più a quella di Obama".
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