Pagine

Saturday, January 15, 2005

La Corte che abroga il referendum abrogativo

TogheAl Corriere i giudici tradiscono la propria incompetenza e ammettono di aver dato via libera a referendum "propositivi", bocciando l'unico costituzionalmente previsto

In un post di ieri avevo avanzato l'ipotesi che il principio usato dalla Corte per bocciare il quesito di abrogazione totale della legge 40 sarebbe potuto essere quello dell'horror vacui legislativo. Mi sembra di per sé evidente che se la Corte allarga la sua discrezionalità fino a poter bocciare sia un quesito di abrogazione totale, perché appunto crea un «vuoto legislativo», sia, come accaduto in passato, uno di abrogazione parziale, perché "manipolativo", quindi surrettiziamente "propositivo" e non previsto dalla Costituzione, allora ci troviamo ad un uso "politico" del giudizio di ammissibilità referendaria.

Al Corriere uno dei giudici «viola il segreto (illiberale, n.d.r.) della camera di consiglio» e spiega che «non si è entrati nel merito, perché in questo caso non bisognava stabilire se i principi violino la Carta, ma soltanto se si tratti di una legge "costituzionalmente obbligata" e dunque impossibile da abrogare completamente per non creare un vuoto normativo». Un obbligo costituzionale che i 15 giudici non hanno mai ritenuto di denunciare in tutti questi anni trascorsi senza una legge, ma andiamo avanti.

Il giudice che parla al Corriere, protetto dall'anonimato, non lo ammetterebbe mai, ma i suoi virgolettati tradiscono il criterio politico, non giuridico, utilizzato dalla Corte nel giudizio di ammissibilità. Ammettere il quesito bocciato «non equivaleva a chiedere al popolo "Vuoi questa legge?", ma più semplicemente "Vuoi una legge sulla procreazione assistita?". Non era questo lo spirito giusto e dunque si è ritenuto che fosse più opportuno accettare le altre quattro proposte referendarie». I giudici si sono attribuiti la facoltà di interpretare - sbagliando - quale fosse lo "spirito" del quesito. Opportunità dunque... non legittimità, la prima una parola che appartiene all'ambito della politica, la seconda che appartiene al campo del diritto.

Il criterio del «vuoto legislativo» da evitare può essere applicato nella piena discrezionalità della Corte a tutti i quesiti che le si propongono. E' infatti ovvio che a tutte le leggi approvate si possa attribuire una rispondenza ai principi costituzionali - se così non fosse sarebbero forse leggi incostituzionali. Procedendo in questo modo si può arrivare a teorizzare l'obbligatorietà, e non la facoltà, del Parlamento a legiferare...

Infine, e viene da sorridere, il giudice coperto da anonimato ammette candidamente che la Corte ha ritenuto ammissibili dei referendum "propositivi", quando alla giornalista del Corriere suggerisce che «alla fine potremmo avere una legge che, proposta dall'Udc, diventa proprio come la volevano i Ds».

Un criterio politico dunque, ma non si accusa la Corte di essere entrata nel merito delle norme sulla fecondazione assistita, piuttosto di esprimere un giudizio di opportunità politica sull'istituto del referendum abrogativo, di fatto abrogato dalla giurisprudenza della Corte. Almeno - dico, almeno - la Corte accetti di giudicare l'ammissibilità prima, o nel corso, della raccolta delle firme.

Berlusconi e Prodi: astensione dalla coscienza

Come spiega stamani Francesco Verderami sul Corriere della Sera, i due leader del centrodestra e del centrosinistra puntano sull'astensionismo per aggirare e sabotare referendum scomodi. Una convergenza "antropologica" più che politica, che offre un altro elemento ai Radicali per sostenere la piena sovrapponibilità dei due Poli di questo regime partitocratico.

C'è un però. Se l'informazione - stampa e tv (il Corriere di questi giorni ci fa sperare) - faranno il loro dovere, sarà impossibile per alcuni esponenti, soprattutto gli ultra cattolici della maggioranza, non difendere la legge, contribuendo loro malgrado a mobilitare il popolo dei Sì.

E i Ds, co-promotori dei quesiti rimasti? Fassino sta alla finestra: da una parte dice che è «illuso chi scommette sulle astensioni», dall'altra non vuole l’abbinamento fra voto regionale e referendario (!), chiedendo di votare prima del 12 giugno. Per fare pressioni sul segretario tenteranno la carta dell'accusa di zapaterismo.

Le gerarchie ecclesiastiche si preprarano a fare campagna per l'astensione. E' questa la tendenza di cui riferisce Luigi Accattoli sul Corriere: meglio votare che cambiare in Parlamento, meglio l'astensione - suggerita, mai esplicita - che la campagna per il no. Ma il vaticanista del Corriere apre uno spiraglio ai referendari: se l'informazione farà il suo mestiere, «la Cei non si limiterà a far parlare associazioni, forum e comitati. Parlerà in prima persona e troverà il modo di avere in appoggio la voce del Papa». Ci sono spazi per aprire un confronto.

Friday, January 14, 2005

La Corte in-costituzionale. La prova che la decisione è politica

Il criterio politico, e non giuridico, utilizzato dalla Corte Costituzionale nel giudicare l'ammissibilità dei quesiti referendari è presto dimostrato, e con argomenti giuridici. La sentenza di ieri, ampiamente prevista, è sì in linea con la giurisprudenza della Corte in tema di referendum. Ma è proprio quella giurisprudenza (così contraddittoria in sé da far rientrare ogni tipo di decisione - fosse stato deciso l'esatto contrario sempre "in linea" sarebbe stata) a non corrispondere alla lettera della Costituzione.

In passato hanno bocciato i quesiti di abrogazione "parziale" perché sono "manipolativi", dicevano, fanno uscire fuori una legge altra, quindi perché sono surrettiziamente "propositivi" (non previsti dalla Costituzione)... ma solo quando gli è convenuto; li hanno bocciati perché sono anche poco chiari e difficili da comprendere dagli elettori... ma solo quando gli è convenuto. Allo stesso tempo però la Corte ha usato respingere, come in questo caso, referendum di abrogazione "totale" nel timore di un horror vacui legislativo. Due motivazioni con le quali la Corte ha allargato all'infinito la propria discrezionalità, che nient'altro diventa se non politica.

Oggi, scrive Michele Ainis su La Stampa, hanno bocciato il «modello costituzionale di referendum, dell'abrogazione secca d'una legge nel suo insieme (come avvenne nel 1974 per il divorzio)... il più limpido, quello maggiormente comprensibile per ciascun elettore. (...) Nella patria del diritto vanno di moda gli arzigogoli, le leggi con 593 commi per articolo e i referendum tagliati con le forbici, una parola di qua, un capoverso di là».

Ainis contesta tutti e tre i possibili motivi per i quali la Consulta avrebbe respinto il referendum di abrogazione totale della legge. Quello del legame alla Convenzione di Oviedo, perché sarebbero dovuti essere bocciati anche gli altri referendum; la questione delle leggi "costituzionalmente necessarie", ma anche in questo caso i referendum parziali avrebbero dovuto subire la stessa sorte; il difetto di omogeneità, perché è nella logica del referendum abrogativo una scelta netta e binaria sì/no.

Il fatto è, conclude Ainis, che «i nostri governanti, e in questo caso il nostro più alto tribunale, ci tengono sotto tutela. Per loro, siamo sempre un popolo bambino». Leggi tutto

Referendum: cosa possono fare gli scienziati

Su la Repubblica di oggi è l'ex ministro della Sanità Umberto Veronesi che individua a mio avviso una delle chiavi che aprono le porte della vittoria dei referendum: «Non ci può essere progresso se c'è una spaccatura fra la scienza e la sua percezione da parte della gente».
«La paura di perdere la propria individualità e con essa quelle caratteristiche umane e sentimentali che ci fanno sentire unici, per andare incontro ad una cruda e piatta omologazione. La paura di perdere la capacità di illuderci, di sognare segretamente la propria immortalità, di sperare ancora nell'impossibile e di lasciarsi affascinare dal mistero. Così gli psicologi spiegano l'istintiva riluttanza della gente a vivere positivamente i progressi della scienza». Leggi tutto
Superare o almeno attenuare queste paure è il contributo che deve venire, con uno sforzo evidente di dialogo comune, da parte del mondo della scienza, per una preziosa vittoria referendaria.

Veronesi individua «tre campi nei quali l'impatto della scienza sulla qualità della vita sarà evidente: la genetica applicata all'uomo, la genetica applicata all'agricoltura e l'utilizzo di nuove fonti di energia». Tre campi per sperare di per superare le malattie più infami, il flagello della fame nel mondo, l'inquinamento planetario. La scienza è la chiave del vero ambientalismo, la soluzione cristiana e compassionevole di chi non teme di usare le abilità e il libero arbitrio che Dio ci ha dato.

L'endorsement del Corriere: SI', SI', SI' e SI'

L'editoriale di oggi sul Corriere della Sera, attribuibile al direttore Paolo Mieli, schiera in modo intelligente il quotidiano per i referendum di abrogazione parziale della legge 40 sulla fecondazione assistita.
Piuttosto che attaccare la Corte Costituzionale per la bocciatura del quesito di abrogazione totale, sottolinea il vantaggio che per i referendum rappresenta la decisione in tempi brevi (avvantaggiamocene). Da quotidiano americano, promette un'informazione corretta e completa, in «un clima di civile» di confronto, «nel rispetto per le motivazioni di chi difende la legge attuale», ma anche impegnandosi «perché vinca il sì», «soprattutto in difesa della libertà di ricerca scientifica».
«I referendum, come abbiamo scritto più volte, non dividono se la battaglia è condotta in modo civile. Anzi, le grandi iniziative referendarie (è accaduto in Italia negli ultimi trent'anni ma anche negli Stati Uniti) hanno unificato il Paese. Può accadere anche questa volta. Deve accadere».
Forse la nostra lettura sul nuovo volto (o del ritorno del volto più nobile) del giornale di via Solferino risulta valida. E a questo punto, dopo l'editoriale di oggi, rimane valido anche l'interrogativo: possiamo escludere che la Corte Costituzionale abbia preso una decisione in tempi così ristretti (solo 3 giorni è davvero insolito) per evitare che si aprisse un dibattito che il Corriere, il quotidiano più letto, intendeva aprire con l'editoriale di ieri di Piero Ostellino, dibattito che avrebbe messo in seria difficoltà i rapporti tra sinistra e Vaticano e le varie tesi anti-referendarie?

Thursday, January 13, 2005

L'editoriale di Ostellino & la decisione della Consulta. Pura coincidenza?

Proprio di stamani un post sul "Corriere che cambia volto". Da tempo direttore di Rcs, non c'è dubbio che Paolo Mieli è un maestro nel saper trasformare in linea editoriale gli interessi dei "poteri forti". Un'abilità alla quale non sono abituato a guardare con sospetto, ma come normale "gioco" tra interessi in una società liberale.

La mia riflessione, dietrologica ai limiti del patologico, è questa.
Da tempo non si vedeva un'editoriale come quello di stamani in prima pagina - dove viene dettata la linea del giornale - per di più di Piero Ostellino, spesso sbattuto oltre la decima. Di fatto un sostegno, ragionevole ed equilibrato come sempre, ai referendum contro la legge 40 sulla fecondazione assistita.

Di più: si sottolinea come tenere il referendum - che poche ore dopo sarà invece ritenuto «inammissibile» dalla Corte - si ritenga opportuno e «auspicabile», lungi dall'«alzare nuovi e anacronistici "steccati" fra cattolici e laici». Al contrario di quanto da più parti si sostiene sui rischi di "spaccare" il Paese (per paura di confrontarsi con il potere vaticano), il referendum rappresenta «un momento "alto" di confronto democratico» e non mette affatto in contraddizione cristianesimo e liberalismo.

Mi viene un sospetto irrefrenabile che voglio condividere con voi: possiamo escludere che la Corte Costituzionale abbia preso una decisione in tempi così ristretti (solo 3 giorni è davvero insolito) per evitare che si aprisse tale dibattito sul Corriere, il quotidiano più letto, che avrebbe messo in seria difficoltà i rapporti tra sinistra e Vaticano e le varie tesi anti-referendarie? Oppure, volendo essere maliziosi dalla parte opposta, non è che Mieli ha voluto lanciare il sasso sapendo che ormai i giochi erano fatti?

Il casellismo ci fa orrore

Il casellismo consiste in «una lunga serie di processi di mafia sistematicamente smontati in sede dibattimentale e, dunque, l'ex procuratore di Palermo non è adatto a guidare la Direzione nazionale antimafia».
Tutto succede - leggiamo sul Corriere della Sera di oggi - mentre il governo proroga con decreto legge il mandato del procuratore nazionale Antimafia, Piero Luigi Vigna, e di fatto blocca al Csm il concorso per quella poltrona cui hanno partecipato anche Giancarlo Caselli e il suo successore, Piero Grasso.

Adesso Emanuele Macaluso, coscienza storica della sinistra per quanto riguarda le dinamiche della lotta alla mafia, dice di preferire Vigna per la Dna anche se «questo non significa che Caselli non sia un magistrato che ha servito con lealtà e dedizione la giustizia e lo Stato: a mio avviso, egli lo ha fatto con una cultura e con metodi che non condivido».

Più pesante il giudizio di Pietro Milio, ex parlamentare radicale nonché avvocato del super poliziotto Bruno Contrada ancora sotto processo per mafia a Palermo: «La cifra di quegli anni è negativa sotto il profilo processuale perché i grandi dibattimenti messi in piedi non hanno portato alcun risultato. Anche quando sono finiti con l'assoluzione che viene impropriamente paragonata alla vecchia insufficienza di prove».

No. Nessun rinvio

Thomas Friedman non sposa la linea del suo giornale, il New York Times, sull'ipotesi di rinvio delle elezioni irachene fissate per il 30 gennaio. Ecco perché:

«It is on the basis of these rules that I totally disagree with those who argue that the Jan. 30 Iraqi elections should be postponed. Their main argument is that an Iraqi election that ensconces the Shiite majority in power, without any participation of the Sunni minority, will sow the seeds of civil war.

That is probably true - but we are already in a civil war in Iraq. That civil war was started by the Sunni Baathists, and their Islamist fascist allies from around the region, the minute the U.S. toppled Saddam. And they started that war not because they felt the Iraqi elections were going to be rigged, but because they knew they weren't going to be rigged.

They started the war not to get their fair share of Iraqi power, but in hopes of retaining their unfair share. Under Saddam, Iraq's Sunni minority, with only 20 percent of the population, ruled everyone. These fascist insurgents have never given politics a chance to work in Iraq because they don't want it to work. That's why they have never issued a list of demands. They don't want people to see what they are really after, which is continued minority rule, Saddamism without Saddam. If that was my politics, I'd be wearing a ski mask over my head, too.

The notion that delaying the elections for a few months would somehow give time for the "Sunni moderates" to persuade the extremists to come around is dead wrong - literally. Any delay would simply embolden the guys with the guns to kill more Iraqi police officers and to intimidate more Sunnis. It could only convince them that with just a little more violence, they could scuttle the whole project of rebuilding Iraq». Leggi tutto

Golpisti! Così fanno fuori il diritto di voto

La «camera di compensazione politica» ne ha combinata un'altra, bocciando un referendum a norma di legge firmato da oltre un milione di cittadini. Nonostante la nuova bastonata ricevuta dalla sinistra, i Radicali sono ancora in piedi e vincono

Guarda caso, la Corte Costituzionale ha ritenuto «inammissibile» proprio il quesito di abrogazione totale della legge 40 sulla fecondazione assistita, del quale erano unici promotori i Radicali. Uno sgambetto politico mirato, giunto da 15 giudici dei quali non sapremo mai (per un'altra stranezza giuridica illiberale del nostro sistema) i pareri personali.

Io però scommetto sul dolo dei giudici di sinistra, credo la maggioranza di una Corte degna della Repubblica Popolare Cinese. Un'ulteriore conferma di quanto ricorda Pannella, sull'odio viscerale che la cultura PCIsta nutre e alimenta nei confronti dei Radicali «peggio dei fascisti», con le loro battaglie "borghesi".

Dei segnali ci sono. Dopo soli 23 minuti netti le agenzie battono la dichiarazione di Giuliano Amato che invita la maggioranza di governo a prendere atto di dover cambiare la legge. Chissà, da giurista, come ha tramato in questi giorni per ottenere la bocciatura del quesito di abrogazione totale, quello "cattivo" che "spacca" il Paese e obbliga la sinistra ad inimicarsi il Vaticano. Ma non finisce qui. Non è affatto scontato che ai cittadini sia concesso il diritto alla scheda referendaria sui 4 quesiti passati. I Ds, anziché prepararsi a sostenre i referendum anche loro, dichiarano per prima cosa che «non c'è un minuto da perdere», si può ancora cambiare la legge in Parlamento e scongiurare il "pericoloso" referendum.

Ma la dichiarazione che sottoscriviamo giunge dall'ex presidente della Repubblica Francesco Cossiga:
«Da tempo ho smesso di dare una valutazione giuridica alle sempre più contraddittorie sentenze della Corte Costituzionale, che sempre più si conferma in una sua funzione anomala di camera di compensazione politica. L'unica valutazione possibile sarà quindi esclusivamente politica; ma per far questo occorrerà valutare le reazioni ad essa e ad chi ad essa convenga dal punto di vista del referendum e delle prossime elezioni regionali e politiche.

A chi mi accuserà di faziosità nei confronti della Consulta ricordo che negli Usa è in corso una dura polemica da parte dei "neocon" e degli ambienti cattolici ebraici e luterani contro la Corte suprema, accusata di manomettere la Costituzione americana. E nessuno si meraviglia di questa polemica, perché tutti sono d'accordo con quanto diceva Guizot, un grande politico e giurista francese dell'800, secondo il quale i giudici sono costituiti solo per giudicare le controversie di piccoli uomini su piccole cose; il resto è giustizia politica».
Vittoria dei Radicali. Agenzie e giornali on line già calcano sulla sconfitta dei Radicali, ma quello che si prepara è un falso storico. Occorre far finta di niente e cantar vittoria lo stesso! Altrimenti, dopo milioni di firme raccolte, faranno passare i Radicali per sconfitti e la sinistra si approprierà dei quesiti rimasti, quelli buoni, quelli che non "spaccano" l'Italia, e che servono da stimolo per cambiare la legge in Parlamento.

Si può dire, il Corriere cambia volto

Da alcuni giorni è sempre più evidente il nuovo corso che il Corriere della Sera sta prendendo sotto la direzione di Paolo Mieli. Nei giorni scorsi sono usciti in prima pagina o in grande evidenza: il no dell'Islam in Egitto all'infibulazione; il vescovo Andrea Gemma che difende il diritto alla scheda referendaria («illiberale» non permettere ai cittadini di esrpimersi); le ampie cronache dal Comitato dei Radicali all'Ergife; la polemica su Papa Pacelli e l'antisemitismo, il cui «valore politico» ho sottolineato in questo post - anche se ieri, sul Foglio, lo storico Gian Maria Vian ha gettato pesanti ombre sugli articoli di Alberto Melloni.

Oggi, in grande evidenza a pagina due un articolo sul dialogo tra Radicali e centrodestra. Ma soprattutto dobbiamo segnalare in prima pagina l'editoriale di Piero Ostellino, che sostiene, con equilibrio e ragionevolezza, le ragioni del referendum per l'abrogazione della legge 40 sulla fecondazione assistita, riconoscendo - ed è cosa davvero insolita - il punto di vista genuinamente laico e liberale di Marco pannella.
«Coloro i quali, come i radicali, associano al concetto di cittadinanza una qualche forma di obbligazione sociale ritengono sia moralmente illegittimo approvare (o respingere), unicamente con motivazioni religiose, una legge che vada a detrimento della libertà di scelta di altri cittadini. Sarebbe difficile, dal punto di vista liberale, dar loro torto. D'altra parte, questa sorta di laicismo estremizzato di matrice giacobina finisce con sottovalutare due principi che sono, a loro volta, a fondamento dello stesso liberalismo e dello Stato democratico.
(...)
Primo: l'individualismo come presidio della soggettiva libertà di coscienza. Che, se deve valere per tutti, non si vede perché mai non dovrebbe valere anche per i credenti. I quali non sono né una categoria storica, né sociologica, né, tanto meno, politica, bensì sono una pluralistica «federazione» di individui ciascuno dei quali vive la propria fede e la propria condizione di cittadino come detta la propria coscienza.
Secondo: l'individualismo come presidio dell'autonoma libertà di scelta rispetto al carattere oggettivo e «necessario» delle scelte umane teorizzato dalle dottrine deterministe, storiche e culturali; scelte che sarebbero sempre prevedibili solo che si conoscessero le influenze esterne che agiscono sulla mente degli uomini».
Non si tratta infatti di «alzare nuovi e anacronistici "steccati" fra cattolici e laici», ma - e Pannella in questo crede - di sottolineare «quanto cristianesimo e liberalismo si incontrino qui felicemente»:
«"I metafisici religiosi che hanno asserito l'esistenza del libero arbitrio - ha scritto John Stuart Mill ("La logica delle scienze morali", in Economia e scienze sociali) - hanno sempre sostenuto che esso è compatibile con la prescienza, da parte di Dio, delle nostre azioni: e se è compatibile con la prescienza divina, allora sarà compatibile con qualsiasi altra prescienza". I referendum sono sempre un momento "alto" di confronto democratico, ma anche e inevitabilmente di "logica binaria" (sì/no). È, dunque, successivamente, sul terreno pragmatico, che il Parlamento deve dimostrare di saper trovare la soluzione che meglio rifletta l’interesse generale. Poiché dovere delle forze politiche è rispettare tutti i propri cittadini, esse dovrebbero approvare, in circostanze come questa, solo leggi dotate di un principio di razionalità pubblicamente giustificabile agli occhi di ogni membro della collettività».
Insomma, il Corriere sta cambiando volto, assumendo un'attenzione nuova e maggiore nei confronti dei temi "radicali", ma, cosa più importante, palesando - in modo più convinto e senza timori reverenziali - un'anima liberale in senso classico.

Registriamo nel frattempo - è passato il tempo adeguato per esprimere una valutazione - il disastro che Carlo Rossella ha provocato al Tg5, peggiorando ulteriormente la linea a-politica già impressa da Mentana. Ma di questo parleremo in un post specifico.

Silenzio, il "nemico" è là fuori e ci ascolta

Critica il capo nel suo blog: licenziato. Un libraio di Edimburgo cacciato dal superiore per aver sbeffeggiato lui e l'azienda sul proprio diario telematico.
Fonte: Corriere

La prendiamo come una lezione: non sottovalutare la potenza di diffusione di internet e prendere i giusti accorgimenti. Una cosa è sicura. Non rinunceremo, quando lo riterremo necessario, a prenderci ironicamente gioco dei vizi di chi comanda e delle piccole/grandi "bizzarrie" che rendono insopportabile e improduttivo un posto di lavoro.

Tuesday, January 11, 2005

Palestina avanti adagio, la bussola sulle libertà

Gli scenari incoraggianti e i lati oscuri, a tratti inquietanti, della vittoria di Abu Mazen. Ci affidiamo all'analisi di Emanuele Ottolenghi, Il Foglio. Oggi il nuovo quasi-leader gode della stima, o della disperante speranza, da parte dell'Europa, di Bush, persino di Sharon, ma dovremo avere il coraggio di giudicarlo sui fatti, che sono fatti anche di parole.

Sul Wall Street Journal di oggi, Natan Sharansky inchioda il nuovo presidente dell'Anp alle sue responsabilità e individua criteri chiari ed evidenti a tutti sui quali giudicare la sua azione di governo, sempre partendo dal presupposto che la pace è possibile solo dove c'è libertà. Non basta il pragmatismo, che nasconde le ambiguità, ma va sotterrata la pergamena di Oslo, dalla quale uscimmo credendo che «un dittatore forte avrebbe fatto una pace forte».

Meno summit quindi, e più libertà per i palestinesi, attraverso 4 obiettivi discriminanti cui su questo blog guarderò, appunto per valutare Abu Mazen: l'espressione del dissenso, l'educazione dei giovani, il miglioramento delle condizioni nei campi profughi, la creazione di una classe media economicamente indipendente. Palestinesi e israeliani possono fare molto, ma il mondo libero, guidato dall'America, sarà determinante:
«By linking its policies toward the PA to the expansion of freedom within Palestinian society, it can encourage Abu Mazen to make the only choice that will give peace a chance». Leggi tutto
Due vincitori: Bush e Sharon. Innegabile, in Medio Oriente spira un vento nuovo con tutte queste elezioni. I "disastri" della politica americana hanno messo il fondamentalismo sulla difensiva. Eppure, lo sottolinea Magdi Allam sul Corriere della Sera, non si auspica il successo delle elezioni irachene del 30 gennaio come si è salutata la regolarità di quelle palestinesi, possibili anche grazie alla criticata politica di Sharon contro il terrorismo (muro ed esecuzioni mirate).

Popoli ignorati. Al solito, i popoli, i loro destini, i loro diritti, rimangono sullo sfondo dell'odio ideologico antiamericano che l'occidente continua a coltivare al proprio interno. Molti qui da noi per l'Iraq parlano del terrorismo come di «"resistenza" nazionale contro l'occupazione».
«Indifferenti al fatto che la gran parte degli iracheni sostengono il governo Allawi e il processo di democratizzazione, e che la gran parte delle vittime del terrorismo sono irachene. Immaginando che gli iracheni sarebbero felici di essere sottomessi alla mercé del terrorista Bin Laden e del tagliagole Zarkawi, o alla tirannia degli ex agenti segreti di Saddam.

La verità è che nella valutazione della vicenda irachena non si considera il vissuto della maggioranza delle persone, la comune aspirazione della gente semplice a una vita pacifica, sicura e prospera, ma prevale bensì l'ideologismo antiamericano». Leggi tutto

Editoria & interessi. Felice binomio nelle società liberali

Ci prova il Riformista a spiegarsi lo zelo con il quale il nuovo Corriere di Paolo Mieli ha aperto un capitolo storiografico, non privo di polemiche, sulle ambiguità di Pio XII riguardo il nazismo e l'Olocausto, e sulla svolta del Concilio Vaticano II. Certo, ogni scelta editoriale così importante e ricca di effetti, non nasconde, bensì mostra gli interessi in gioco dell'editore. Così dev'essere. In questo caso sembra che «i poteri» abbiano «voglia di tornare forti», ma l'editoriale di Polito non cade su accenti moralistici, tutt'altro. Chiama "liberale" quel manifestarsi di interessi, linfa vitale per la "stampa libera" (Qui l'opinione del Foglio).

E in questo caso, gli effetti che vedo nascere dal dibattito aperto dal Corriere mi convincono in modo particolare:
«Nel mostrare quanto sia difficile nel nostro paese, forse impossibile, costruire su basi politico-ideologiche una Christian coalition.
(...)
Il valore politico della polemica storiografica accesa dal Corriere... sta tutto qui. Nel ricordarci che in Italia il cristianesimo è segnato indelebilmente dall’esperienza storica della Chiesa cattolica; non solo in quanto magistero di fede, ma come potere reale e statuale che nel corso dei secoli ha fatto le sue scelte e i suoi errori, non ultimo la coltivazione di un robusto antisemitismo, anche più radicato e motivato di quello più recente, e di origine territoriale, che anima il mondo arabo. E non appena dai uno sguardo a questa storia, sei costretto a scorgervi tutte le strozzature che rendono da noi impraticabile il fluido scorrimento della miscela giudaico-cristiana che fa andare la macchina dei teo-con americani». Leggi tutto
E' questa realtà della Chiesa cattolica come «potere reale e statuale» che impedisce ai cattolici in Italia di vivere la politica senza mettere a repentaglio la laicità dello Stato ed è la mancanza di una storia simile che invece permette al cristianesimo americano di partecipare alla vita politica e civile del Paese avendo rispetto per la separazione tra Stato e Chiesa.

E' ora che in Europa il mondo cattolico possa esprimersi nella sua complessità, con l'emersione della componente teologica del consensus fidelium, riportata alla luce con tutta la sua forza dall'abate Pohier al convegno organizzato da Marco Pannella a Bruxelles, al quale, ci auguriamo, seguirà un "secondo tempo".

Monday, January 10, 2005

Pannella vuole l’accordo: serio tentativo di recupero della legalità

Euforia e scoramento. Due sentimenti fuori posto all'Ergife, ma così comuni.

E' un Marco Pannella in versione «traghettatore» quello che si è presentato alla tre giorni dell'hotel Ergife per proporre «a se stesso e al Comitato» la ricerca di un accordo politico con uno dei poli, «come atto necessario per la conquista di segmenti di legalità nella vita e nell'attività delle stesse istituzioni, e, insieme, per il recupero alle istituzioni della presenza e dell'apporto radicale».

Alla base dell'apertura – per ora l'unica offerta giunge dalla Casa delle Libertà - c'è una premessa, un'analisi: l'illegalità della vita istituzionale e politica del nostro Paese è ormai un fatto compiuto, non più solo in fieri. Un giudizio grave che si fa anche obiettivo e condizione nella richiesta di un «intervento di modifica formale delle regole vigenti», per superare il contesto di illegalità nel quale si stanno per tenere le elezioni regionali 2005 e nel quale si sono svolte quelle del 2000.

Premessa tale analisi, non è sulla base di esigenze di "posizione", identitarie, che i Radicali tenterebbero la strada dell'accordo con il centrodestra, ma rispondendo a un vero e proprio «stato di necessità». Anni di lotte nonviolente e referendarie per impedire che lo Stato italiano assumesse il carattere di illegalità permanente che oggi lo contraddistingue hanno prodotto risultati impensabili, ma ora non avrebbe più senso continuare a "resistere" affinché questo stato d'illegalità non si incardini, non diventi un «connotato storico, sociale, antropologico». Esso ormai è un fatto compiuto.

Se questa è l'analisi, allora sorge la «necessità morale» di comprendere come sia possibile «inserire un principio di contraddizione, di legalità, in questa realtà». In un "regime" - «uno stesso sistema politico articolato in due poli antropologicamente uniti» - costantemente fuori-legge, in una realtà «che sta oggi alla Costituzione repubblicana come il fascismo allo Statuto albertino», è solo dall'interno di uno dei due poli che si può sperare di assicurare alle istituzioni l'apporto dei radicali.

Sussistono e si aggravano infatti, le condizioni al di là delle quali non è possibile alcuna lotta politica. Occorre allora «pagare i prezzi necessari, anche nobili», cercare «di farci accettare da questo sistema in modo da riprendere forza», senza sottovalutare un sistema in cui i principi di legalità non valgono. In questa chiave andranno lette eventuali future intese dei Radicali: non per acquisire "posizioni" o visibilità, ma per assicurare alla realtà istituzionale e politica del nostro Paese un serio tentativo di recupero della legalità costituzionale, dello stato di diritto e della democrazia.

Il dilemma. Quanti tra i radicali all'Ergife hanno reagito a questa "svolta" con euforia, vedendovi finalmente accettata la propria aspirazione a un'alleanza, e quanti invece con scoramento, vedendovi l'abbandono dell'anima nonviolenta e movimentista, hanno mostrato i primi di non ritrovarsi nell'analisi di Pannella della realtà italiana, i secondi di essere legati ad un approccio identitario, specularmente e quanto i primi.

Pannella è consapevole che la sua analisi dell'illegalità in cui versa la vita politica e istituzionale del nostro Paese, premessa dell'apertura a Berlusconi, «non appartiene al vissuto e al pensiero di molti» che pure spingono per un'intesa, ha detto. Che da parte dei "molti" prendere per buona questa premessa conviene per prenderne le sue conseguenze pratiche: «In modo maggioritario qui da noi si coglie quel tanto di strumentalizzabile nella mia posizione... "così si fa questo accordo"».

Credo dunque che sia una presenza in fondo minoritaria, all'interno del movimento radicale, quella di coloro intimamente convinti dell'approccio laico e "pragmatico" pannelliano, quello del "vogliamo tutto il possibile per realizzare segmenti di intesa", quello dei "tratti di strada insieme" con "chi ci sta", sia pure con destinazioni finali diverse, ma senza pregiudiziali identitarie e ideologiche.

Il Comitato dei Radicali italiani si è chiuso con una vittoria solo tattica, se non con una vera e propria sconfitta, o superamento, della linea dellavedoviana. Interessi diversi portano oggi a tentativi di soluzione convergenti per il partito. Ma, ha avvertito lo stesso Pannella, quando i radicali, in conseguenza di eventuali accordi, ottenessero posti in assemblee, o di governo, dopo non molto con alcuni di questi «non ci si troverebbe più insieme». Il prevedere «è anche un modo per esorcizzare e combattere l'affermarsi» della previsione. «So che fra dieci anni non saremo insieme», fu la conclusione di uno scambio di quindici anni fa con Francesco Rutelli, ha ricordato Pannella.

E quando accadrà, non sarà una storia di "tradimenti", ma la dimostrazione della forza delle idee, del fatto che a «idee diverse», corrispondono «forze diverse», ha fatto capire il leader radicale. Sgombrando il campo da ogni equivoco, Pannella ha chiarito che si definisce "radicale" «chiunque compia l'atto del tesseramento», non ci sono né "veri" radicali, né radicali "traditori".

Perché con Berlusconi... e non con il centrosinistra? Nel ricordare come tra le mille chiacchiere giornaliere che si fanno nel centrosinistra non ce ne sia stata neanche una sui radicali, come non ci siano state dichiarazioni, telefonate, incontri che alludessero ad un possibile accordo, e come invece auspici siano giunti dal centrodestra e da Berlusconi in persona, Pannella ha richiamato alla memoria dei radicali il «vecchio riflesso PCIsta» che ancora oggi «domina sovrano».

Con i radicali non si deve parlare, "non esiste", sono da eliminare, peggio dei fascisti, traditori. Prosegue tuttora, fin dagli anni '60, da parte dei vertici comunisti, «l'azione fascista di annientamento feroce dell'immagine e della conoscenza dei radicali», proprio per la sintonia potenziale che avrebbero con il popolo della sinistra. Un concetto ben preciso è stato invece trasmesso nel Dna di quel popolo: «Se ce la fanno i liberali, gli Einaudi, gli Ernesto Rossi, e la rivoluzione liberale, allora siamo morti».
Sintomatica di questo atteggiamento fu la risposta che Pannella ricevette da Togliatti alla lettera aperta che nel '59 scrisse su Paese Sera rivolgendosi al leader comunista.

Io sto con i turchi

Marco Pannella (conversazione settimanale, 9 gennaio 2005):
«Sempre con i turchi, perché sono stati con noi quando se non ci fossero stati non ce l'avremmo fatta. E se devo scegliere a chi affidare la vita o la crescita dell'Europa, confido che sia prudente scegliere coloro che naturalmente hanno salvato questa possibilità di Europa che c'è oggi, mentre qui quasi tutti coloro che ci vogliono insegnare l'europeismo, se dipendeva da loro sarebbe stata l'Europa nazi-comunista della fine».

Sunday, January 09, 2005

Cronache marziane dall'Ergife

Quante possibilità, Marco?Un'"apertura" sopra-valutata. L'esegesi produce i soliti miraggi? Ancora 10-15 giorni

Calcio d'inizio. Freschi dopo la breve pausa, i membri del comitato riprendono rapidamente posto sul rettangolo di gioco. All'estremità della sala Marco Pannella è chiamato al calcio d'inizio del suo atteso intervento. La partenza è fulminea, ma presto il gioco si chiude in una melina a centrocampo che disorienta un po' tutti, lui compreso. Niente calcioni però, la palla gira alla Liedholm con brevi accelerazioni di classe. Con il passare dei minuti la manovra si dipana... uno-due-tre, e il risultato è assicurato.

Dopo-partita. Il pubblico si riversa all'esterno per i primi frenetici commenti. Quali gli obiettivi, i possibili contro i probabili, della stagione appena all'inizio? Fuor di metafora, la solita squinternata esegesi sul pensiero del lider maximo ("cosa avrà voluto dire?") produce voci incontrollate, filmissimi su Retequattro. Il longilineo Waldorf un po' assonnato ci lancia un sorriso amaro e fuggitivo, "si va con Berlusconi". I piemontesi a guardarli non si direbbe abbiano afferrato, ma erano al quanto distratti e rassegnati, "se non altro un battente resta aperto". Quanto a BdV, con quella cravatta è difficile ogni accordo. La stampa abbandona a fine primo tempo e domani chissà, forse rideremo dei titoli.

Con il mio collega cerchiamo lumi, l'"apertura" non ci convince. Eppure c'è. Avviamo un modesto sondaggio. Ad alcuni gli occhi già brillano, nelle pupille rose e fiori di Arcore, mentre altri già si fasciano la testa. Il professore è scuro in volto e non ha voglia di passare tra i banchi. La comitiva dei belli non sa che pesci pigliare. Tutti corrono troppo di fantasia, la strada è in salita, l'ossigeno poco e il fiato corto. Il cervello annebbiato.

Bittertooth se lo sentiva, "caspita che apertura", "a chi se non a colui che è al Governo?". Sommario delle mosse in tre passi: legalità sulle firme-rinvio del voto-abbinamento, e il gioco è fatto, a gonfie vele fino alle politiche del 2006... sempre se il Cav. "non si è rincoglionito". Don Antonio danza da par suo e conferma.

"Non mi frega un cazzo". Mic va alla fonte e in definitiva è come pensavamo: cosa sono 10-15 giorni? Un bluff. Anzi no. Il segretario assicura che è cosa seria: "vi state forse divertendo?". La sa lunga: cautela e alzare la posta. L'"apertura" c'è, non una svolta, un percorso doveroso sì, possibile ma non probabile, comunque "onorevole".

La direzione. Nel frattempo si trascinano gli ultimi interventi della serata, ma gli occhi sono ormai tutti puntati sui tempi supplementari, la direzione è alle porte e lì quel che bolle in pentola sarà servito, messo nero su bianco. Chi dormirà sonni tranquilli? Tutti lentamente si siedono, chi pronto a gettare il cuore oltre l'ostacolo, chi arriccia occhi e naso in attesa del botto, la riunione comincia. Attenuato l'effetto sorpresa, lavoro di cesello per Pannella: c'è da raffreddare entusiasmi, togliere spine dal q, qualche complice smorfia al compagno di "conversazione". E' parlando che le idee gli si fanno più chiare e intellegibili. Piano piano passa la paura, si ragiona, si tenta la strada. Ancora 10-15 giorni è un mantra nelle orecchie di tutti. Le speranze rimangono poche... e vuoi vedere che neanche lui in fondo ci crede?

Punzispia

Friday, January 07, 2005

Quelli «capaci di tutto»

Nel sottolineare come la decisione del governo di costituirsi presso la Consulta contro i referendum sulla fecondazione assistita e la libertà di ricerca scientifica sia atto non dovuto, come pretende di spiegare Gianni Letta a Il Foglio (leggi), ma «voluto» dal governo, come dichiarato da Daniele Capezzone, il commento/scenario più interessante sui quotidiani di oggi mi sembra quello in prima pagina su il Riformista.

Premessa:
a) «la strategia berlusconiana in vista delle regionali» è quella di «occupare tutti, ma proprio tutti, gli spazi mediatici possibili»; b) «il Cavaliere tenterà di promuovere iniziative non solo visibili ma anche concrete, mentre il centrosinistra discute di faccende che - ha spiegato il premier ai suoi collaboratori - "sono aria fitta per la gente comune che vota e non gliene frega niente della Fed o della Gad o della Fegad. Ma proprio perché loro stanno suicidandosi, noi non dobbiamo mollare. Anzi, bisogna portarli per mano all'eutanasia"».
Così «si inquadra» la scelta contro i referendum.

Certi l'irritazione dei laici e il respingimento delle tesi dell'avvocatura da parte della Consulta, anche se a rischiare è il quesito voluto dai radicali, quello per l'abrogazione totale della legge 40. Ma i risultati, secondo lo schema del premier, dovrebbero essere altrettanto assicurati:
«Intanto, fissiamo un paletto che dice: noi stiamo e staremo con la Chiesa. Inoltre, quando il referendum non raggiungerà il quorum, potremo dire che avevamo ragione noi». Infine, «è vero che dalle nostre parti c'è qualcuno che si lamenta, però aspettate qualche giorno e anche sulla fecondazione ne vedrete delle belle nel centrosinistra. Fassino è a favore del referendum e tutta la sinistra estrema pure. Urlano mentre Rutelli e Prodi stanno zitti, perché loro due sono contro il referendum. Ma prima o poi nella Fegad si scanneranno anche su questo».
«Giù le tasse, su i valori». Ho commentato qualche giorno fa lo slogan, anticipato da Berlusconi nella conferenza stampa di fine anno, che segnerà la lunga campagna elettorale. Il primo atto è stato sulla fecondazione assistita. Una linea «di scontro netto con la coalizione referendaria, non sui contenuti, ma sui principi».

Vi trovo innanzitutto il fraintendimento, nel tentativo di imitarlo, di ciò che è il movimento conservatore americano che ha portato alla rielezione dell'amico Bush: dobbiamo aspettarci forse un Bush nostrano, all'amatriciana, che si appresta ad introdurre in Italia un conservatorismo non alla Bush, ossia rifondato sulle orme di Reagan, ma che non fa che riprendere la linea Fanfani-Almirante. Un pericolo avvistato per tempo solo da Marco Pannella.

Vi è, inoltre, l'accettazione della "battaglia culturale" a lungo invocata da Giuliano Ferrara, senza cura però di quali compagni di ventura si ha al proprio fianco e senza ben ponderare il peso dell'assenza, nel nostro Paese, di anticorpi autenticamente liberali e laici, presenti invece oltreoceano. In due parole, Buttiglione non è Bush.

Ma c'è anche «un'interpretazione meno dottrinaria, più machiavellica», avanzata da il Riformista:
«Il governo sa che la Consulta boccerà il suo ricorso. Però avrà comunque mostrato il volto dell'armi che verrà apprezzato Oltretevere. E siccome siamo in tempo di elezioni, tenere i voti cattolici e fare il pieno di quelli "militanti" è una scelta che paga. Oltretutto, trincerandosi dietro i valori, si evita di entrare nel merito che rischia di farsi troppo complicato, con il rischio che nel ginepraio pezzi importanti finiscano intrappolati dai rovi. Può darsi che la tattica abbia prevalso e la strategia sia, in effetti, solo propaganda».
Di certo c'è solo la conclusione: «I fatti, per ora, ci dicono che di liberale, in una coalizione che voleva "liberalizzare" l'italia, è rimasto ormai davvero poco». Intanto, quelli «buoni a nulla»... (il Riformista).

Verso società multi-fondamentaliste?

I dubbi sulla tenuta del multiculturalismo europeo che espressi nel post Multiculturalismo addio vengono ripresi da un approfondito post di I love America. Parte con la denuncia delle frasi politically correct «funzionali a creare associazioni mentali fra Islam, immigrati e comunanza di valori». «L'esperimento multiculturale europeo è un esperimento unico», prosegue. In cosa consiste la sua «unicità»?
«Partendo dal presupposto di un relativismo culturale (se non addirittura da una condanna della propria cultura priva di riferimenti alternativi concreti), si sta cercando di assemblare una società in cui alla compenetrazione e all'assimilazione si sostituisce la convivenza nella più assolutà eterogeneità. Lingua propria, scuole proprie, propri obiettivi religiosi e culturali insegnati nelle proprie enclave, finanche propri obiettivi territoriali esterni (nel caso specifico il medio-oriente privo di stati non-islamici).
Una società multi-fondamentalista di elementi eterogenei che prepara, ognuno per conto proprio, una propria gioventù, cosa implica?». Continua a leggere >>
Letto? Si tratta di una riflessione che soffre di un carattere un po' troppo sistemico, ma indubbiamente interessante.

Le libertà economiche non abitano in Italia

Avevo già segnalato martedì la pubblicazione dell'Indice 2005 della libertà economica nel mondo elaborato da Heritage Foundation e Wall Street Journal. Esito che ci riguarda: le libertà economiche non abitano in Italia. Oggi ci è tornato Piero Ostellino con un editoriale perfetto in prima pagina sul Corriere della Sera: «L'Italia arretra, pesano gli interessi organizzati».

«I Paesi con la maggiore libertà economica - si legge sul rapporto - hanno anche un più alto tasso di sviluppo economico di lungo termine e sono più prosperi di quelli che ne hanno meno». Non è, pertanto, un caso che l'economia italiana, negli ultimi cinque anni, sia cresciuta meno, nota Ostellino. L'osservazione più illuminante:
E' «fuorviante e ingiusto attribuire la responsabilità della nostra arretratezza in tema di libertà economica "solo" alla classe politica. C'è un rapporto diretto fra politiche pubbliche e società civile che, in democrazia, si chiama "consenso". Se, dunque, tutti i governi che si sono succeduti alla guida del Paese - compreso quest'ultimo che si è presentato come "il più liberale" - non sono riusciti a farlo progredire anche sul piano economico, la ragione a me pare una sola: la scarsa autonomia della Politica rispetto agli interessi organizzati, che continuano a farla da padroni.
(...)
Pesano sulla libertà economica del nostro Paese l'ancora eccessivo interventismo pubblico (punteggio 2), il carico fiscale "pesantissimo" (4,3), un sistema bancario e finanziario poco efficiente (2), diritti di proprietà non sufficientemente tutelati (2), il sistema pensionistico, la rigidità del mercato del lavoro, la corruzione, una burocrazia pletorica (regole che variano da regione a regione rendono il sistema poco trasparente, punteggio 3, ingolfano il mercato, 2,5, e, con l'elevato tasso di criminalità locale, scoraggiano gli investimenti esteri, punteggio 2). Dei nove parametri utilizzati, solo la politica monetaria raggiunge il punteggio pieno (1), a conferma dei benefici indotti dal "vincolo europeo"».

Perché "multilaterale" non significa per forza "Onu"

Come spiegare il dietrofront dell'amministrazione Bush, che ha deciso di sciogliere la sua terza Coalition of Willings in due anni, consegnando all'Onu la gestione delle ingenti somme per il soccorso e la ricostruzione delle zone del sud-est asiatico colpite dallo tsunami? Per Powell il gruppo aveva lo scopo di fungere da "catalizzatore" per uno sforzo internazionale e quindi, una volta concretizzatolo, non ha più ragione di sussistere.

Che l'Onu veniva "spazzata via" anche da uno dei compiti che aveva saputo svolgere meglio mi era parso chiaro fin dalle prime dichiarazioni, con le quali si annunciava il terzo degli sforzi multilaterali extra-Onu messi in atto dagli Usa, volti a superare la doppia inefficienza del Palazzo di vetro, a garantire da un lato la sicurezza e la pace nella libertà e nei diritti, dall'altro il soccorso umanitario senza sprechi e corruzione.

Resta da capire perché gli Stati Uniti abbiano rinunciato a ridurre ulteriormente il raggio d'azione dell'Onu, sottoponendo le popolazioni bisognose ad un alto rischio di corruzione e sprechi. Possibile che Bush consegni nelle mani di Annan altri milioni di dollari? Se fosse, quello tra Usa e Onu, un accordo di facciata come quello sull'Iraq?