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Thursday, December 30, 2004

Una Coalition dei soccorsi

Bush telefona al presidente dello Sri LankaStati Uniti, Australia, India e Giappone ci stanno per «prevalere sulla devastazione» come sul terrorismo. Dopo la sicurezza, via dalle mani dell'Onu anche i compiti umanitari. Nuove leadership globali
C'erano già poche cose da salvare di queste Nazioni Unite. Le agenzie umanitarie erano una di queste. Erano. Ora, spinto anche dalle ridicole accuse di "tirchieria" rivolte agli americani addirittura da un vicesegretario dell'Onu, Bush ha deciso di scavalcare nuovamente l'Onu, mettendo su una nuova Coalition of Willings («Prevarremo sulla distruzione», ha dichiarato). Stavolta l'obiettivo non è l'uso della forza di fronte alle minacce, ma il soccorso umanitario delle popolazioni del sud-est asiatico colpite dallo tsunami. Due Coalition dunque, per un doppio impegno volto a superare la doppia inefficienza del Palazzo di vetro, a garantire da un lato la sicurezza e la pace nella libertà e nei diritti, dall'altro il soccorso umanitario senza sprechi e corruzione.
«L'inefficienza è stata rilevata anche in occasione di questa catastrofe naturale. Bush ha ribadito ieri la necessità di "sviluppare un nuovo sistema di prevenzione e d'allarme disponibile per tutti gli Stati", ma le Nazioni Unite, impegnate a fare una distinzione tra paesi ricchi dal braccino corto e paesi poveri non in grado di dotarsi di boe acustiche, sensori, satelliti, dinamiche computerizzate che potessero prevedere, minuto per minuto, l'evoluzione dello tsunami, hanno dimenticato di sottolineare che i prodigi della tecnica non erano necessari domenica scorsa per prevenire, almeno in parte, il disastro nell'Oceano Indiano». Segue >>
I centri preposti alla rilevazione e a lanciare l'allarme sono entrati in azione, e nonostante l'era delle telecomunicazioni e della rete globale di internet ai paesi colpiti non erano indispensabili elaboratori e satelliti, ma sarebbero bastati anche messaggi alla televisione e alla radio, un sistema di altoparlanti nelle città e un piano prestabilito.

Ciò che invece fino ad oggi ha funzionato delle agenzie umanitarie dell'Onu, come ricorda Christian Rocca oggi sul Foglio, lo si deve alla generosità degli Stati Uniti d'America, che nell'Onu hanno sempre investito con convinzione montagne di denaro. Pare che l'Unicef da Fondo per l'infanzia sia stato trasformato «in un collettivo femminista che si occupa di salvaguardare i diritti delle bambine invece di aiutarle a sopravvivere», per non parlare del «più grande scandalo di corruzione di tutti i tempi: i 21 miliardi di dollari di aiuti ai bimbi iracheni scomparsi sotto gli occhi degli uomini (e del figlio) del segretario generale, Kofi Annan».
Nonostante tutto ciò, il grande sistema degli aiuti targato Onu è il più conveniente che ci sia ed è molto più che utile: sfama 100 milioni di persone l'anno, previene l'Aids, cura le malattie e affronta le calamità della Terra. Il motivo? L'impegno degli Stati Uniti d'America. Il 22 per cento del budget dell'Onu, due miliardi e 900 milioni di dollari l'anno, è pagato da Washington (la Russia 1,2 per cento, la Cina 1,5). L'America paga il 57 per cento del bilancio del World Food Programme, il 33 per cento dei costi dell'Agenzia per i profughi, il 27 per cento delle spese di peacekeeping e più di metà dell'attività della Croce rossa. Quest'anno il governo americano ha donato 2 miliardi e 400 milioni di dollari in aiuti umanitari. Negli ultimi quattro anni, ha detto Colin Powell, gli Stati Uniti hanno donato più di tutti gli altri paesi del mondo messi insieme. Dal 1945 nessun paese ha mai donato più degli Usa dentro l'Onu. Nelle prime ore successive al maremoto in Asia, Washington ha finanziato i soccorsi e gli aiuti con una prima e doppia tranche da 35 milioni di dollari, mettendo a disposizione aerei e le navi della marina militare. Nessuno s'è esposto tanto (Francia e Cina 34 volte di meno, la Russia 30).

Eppure un burocrate norvegese dell'Onu, Jan Egeland, ha criticato la scarsa generosità, anzi l'avarizia, di quei leader americani (ed europei) che avrebbero il braccino corto perché impegnati a ridurre le tasse. Il funzionaricchio scandinavo annoti che, anche grazie a quelle politiche fiscali, i cittadini americani, privatamente, donano ogni anno al mondo 34 miliardi di dollari. Una decina di volte l'intero budget annuale delle Nazioni Unite».
Leggi anche: «Onu needs regime change», di Claudia Rosett (Wall Street Journal); traduzione Il Foglio.

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