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Saturday, April 30, 2005

Ora Mubarak non torni sui suoi passi

Il 26 febbraio scorso l'annuncio del presidente egiziano Hosni Mubarak: «L'elezione del presidente avverrà attraverso uno scrutinio diretto e segreto, per dare la possibilità ai partiti politici di candidarsi e garantire la presenza di più di un candidato, perché il popolo possa scegliere secondo la sua volontà». Il presidente si diceva convinto «della necessità di consolidare gli sforzi per più libertà e democrazia».

Dopo il ritiro delle truppe siriane a fine maggio si vota in Libano con elezioni aperte a osservatori stranieri. Il regime di Assad in Siria comincia a scricchiolare, a Baghdad c'è un nuovo governo legittimato dalle urne che già subisce i primi attacchi. Non poteva mancare l'Egitto, il paese più importante del mondo arabo, l'ago della bilancia in Medio Oriente. Oggi il terrorismo torna a colpirlo al cuore della sua economia: il turismo.

Due attentati al Cairo hanno provocato oggi la morte dei tre attentatori - un uomo, sua moglie e sua sorella - e il ferimento di almeno otto persone, tra cui una cittadina italiana di 26 anni. Difficile che si sia trattato di un gesto folle, molto più probabile che il paese stia per essere investito da una nuova ondata terroristica allo scopo di indurre il presidente Mubarak a tornare sui suoi piccoli passi di apertura democratica e a un nuovo giro di vite in senso autoritario del regime. Già l'ondata di attacchi armati compiuti da militanti della Jamaa Islamiya tra il 1992 ed il 1997 ebbe infatti l'effetto di consolidare il regime di leggi speciali.

Doccia fredda dal rapporto Usa

Strana e confusa reazione italiana: emotiva, ma nessuno se la sente di negare la veridicità della ricostruzione Usa. Atteso per lunedì alle ore 18 il rapporto italiano

L'errore, il «tragico incidente» causato da "fuoco amico", era già nelle cose ed è il massimo che le autorità militari americane hanno voluto concedere nel rapporto impietoso diffuso oggi sull'uccisione a un check point Usa dell'agente Nicola Calipari, che stava portando all'aereoporto di Baghdad Giuliana Sgrena dopo averla liberata dai suoi rapitori. Il comando della forza multinazionale esprime la sua più «profonda solidarietà ai familiari di Calipari», riconoscendo che «le forze italiane stanno dando un contributo significativo al futuro dell'Iraq, e siamo fieri di servire a fianco dei militari italiani».

Il risultato dell'inchiesta che i rappresentanti italiani non hanno voluto firmare è univoco e smonta uno per uno tutti i punti di forza della ricostruzione italiana. La percezione della velocità dell'auto fu superiore a 50 miglia orarie. Il veicolo che si stava dirigendo verso il check point non ha ridotto la velocità neanche una volta superata l'alert line, fino a quando non è stato raggiunto dal fuoco. Due, quattro colpi a terra per intimare l'alt, ma «fu inutile». Quindi gli undici colpi che hanno colpito l'auto. I soldati hanno agito «secondo le regole d'ingaggio» e dunque nei loro confronti non vi sarà alcun provvedimento disciplinare.

L'agente del Sismi alla guida della Toyota riferì ai militari americani accorsi sul luogo «chi era la signora Sgrena» e che dopo «aver udito spari provenienti da qualche parte» si era «spaventato e aveva iniziato ad accelerare, cercando di raggiungere l'aeroporto il più velocemente possibile». A bordo dell'auto, aggiunge il rapporto di oggi, un «misto di eccitazione e tensione» ed «entrambi gli agenti italiani telefonarono dall'auto».

«E' chiaro che un maggior coordinamento avrebbe potuto prevenire questa tragedia», è la conclusione del rapporto, che in un paragrafo intitolato "Coordinamento" ribadisce che «nessuno», da parte americana, era stato messo al corrente dell'operazione di trasferimento all'aereoporto «fino a incidente accaduto». Neanche all'ambasciata ne erano al corrente. Non deve stupire o essere strumentalizzato il fatto che il rapporto di 45 pagine del comando americano a sia pieno di omissis: nomi, frasi e, in alcuni casi, intere pagine, sono annerite. E' la procedura normale per proteggere l'identità dei soldati coinvolti e la segretezza delle misure di sicurezza.

Ieri il Pentagono, irritato dalle dichiarazioni del premier, aveva rivelato tramite la tv Cbs l'esistenza di una registrazione della scena della sparatoria filmata da un satellite militare: la pattuglia al check point vide l'auto quando si trovava a 137 yards di distanza (130 metri) e aprì il fuoco quando l'auto era a 46 yards (a soli 42 metri). L'intervallo di tempo tra i due momenti è risultato minore di tre secondi, il che equivale a una velocità dell'auto - secondo questa ricostruzione - pari a oltre 96 chilometri orari.

In attesa di conoscere gli argomenti di merito contenuti nel rapporto italiano di lunedì, fino ad ora mi sembrano inutili e strumentali, oltre che dannose per i rapporti con Washington, tutte le polemiche e le reazioni affannate, quelle del Sismi per le immagini dal satellite, e quelle all'insegna di un provinciale orgoglio nazionale ferito. Ferito da cosa? O si contestano i risultati del rapporto nel merito e con delle prove (il Sismi che dice?), o non vedo quali altri argomenti possano essere usati (le testimonianze della Sgrena e dell'agente superstite?). Sembrò subito la classica tragica fatalità del fuoco amico di cui non si sarebbe mai venuti a capo, eppure bisognava dimostrare un'unica cosa: l'Italia era ferma nell'inchiodare quei "grilletti facili" degli americani alle loro responsabilità. Nessuno ebbe il coraggio, forse frenati da un falso e malintesto sentimento patriottico, di ipotizzare un pasticcio tutto, o quasi, italiano.
Il post di ieri: «Grilletto facile da una parte, pasticci facili dall'altra».

Vi segnalo la lucida analisi di Gianandrea Gaiani.
«La soluzione della vicenda sarebbe stata a portata di mano se il governo italiano non avesse implicitamente sottointeso alla richiesta d'istituire la commissione d'inchiesta congiunta l'individuazione di "colpevoli", cioè di uno o più militari americani da processare e punire. Un esito impossibile per il sistema statunitense che considera gli errori in guerra "tragiche fatalità" giustificate dalla minaccia e dal contesto, eventi per i quali scusarsi, ma non punire i militari esposti alle azioni di guerriglieri e terroristi, specie se le regole d'ingaggio sono state rispettate... In Italia sembra essere sfuggito il fatto che gli Stati Uniti non sono pronti a sacrificare due o tre soldati come capri espiatori per dare una soddisfazione all'alleato, minando così la fiducia dei militari nel sistema paese».
Specie se si tratta di coprire pasticci tutti italiani. E' strano come la stampa italiana, anche di sinistra, non rivolga invece pressanti domande su tutta la gestione dell'operazione al nostro governo e al Sismi, che finora hanno eluso tutti i principali e più pesanti interrogativi. «La verità, ma non tutta la verità», reclamava Il Foglio l'11 marzo, esigenza che torna a sottolineare l'editoriale di oggi:
«Ci sono fatti, sul terreno della politica internazionale in situazione bellica, e il caso di Sigonella fu tra questi, in cui la verità come accertamento puntuale di tipo giudiziario si scontra con le necessità della guerra e della diplomazia, due terreni infidi sui quali bisogna camminare con cautela».
L'unica cosa che sappiamo è che «la "condanna preventiva" dei soldati americani è in pasto all'opinione pubblica fin dal primo momento».
«Può essere che i nostri procedessero al di fuori di un normale protocollo di sicurezza, può essere che i soldati Usa abbiano sparato troppo presto, può essere che ci sia stato un concorso di responsabilità o che sia stata una tragica fatalità. Chi doveva certificare la parziale verità possibile... era una commissione che ha fallito il suo compito per ragioni politiche. Restano i satelliti americani e le perizie della polizia scientifica romana, cioè due semi-verità che finiranno in pasto alla piazza politico-mediatica, con riserva di demagogia. Un capolavoro di trasparenza e di responsabilità: chiunque ne sia l'autore, a lui vanno i nostri più sentiti complimenti».

Friday, April 29, 2005

Trent'anni di "PACE" in Vietnam

Ce li ricorda Alessandro Tapparini per Notizie Radicali:
«Che cos'è la pace?
Se si ritiene che la pace è solo la fine della guerra, sabato prossimo si festeggia il trentennale della pace in Vietnam. Il 30 aprile 1975 il governo di Saigon (presto ribattezzata Ho Chi Minh City) annunciò ufficialmente la resa incondizionata ai Vietcong con un comunicato del presidente Duong Van Minh. Per la stragrande maggioranza dell'opinione pubblica mondiale, fu una festa: la "sporca guerra" per antonomasia era la capolinea.

Sono passati trent'anni. Trent'anni di quella "PACE" che lungamente ed energicamente era stata invocata nelle piazze e nelle università di tutto il mondo (tant'è che gli americani, sotto la pressione montante di quel dissenso, avevano alla fine "rinunciato a vincere" quella guerra, abbandonando i sudvietnamiti al loro destino)... Di Vietnam si era tanto parlato, cantato, gridato, fino alla "liberazione" del 1975. Da lì in poi, basta».
Poi rimasero solo gli orrori, «ma per la maggioranza dei benpensanti, preoccupava le denuncie di quella fuga erano ubbie da reazionari. In Vietnam nel 1975 era arrivata la pace, cioè la sconfitta degli americani. Tanto bastava. E tanto basta».

Grilletto facile da una parte, pasticci facili dall'altra

Spesso laddove in un avvenimento tragico tutti negano ogni responsabilità di responsabilità ce ne sono da ogni parte. Sembra questo il caso dell'uccisione di Nicola Calipari, l'agente dei servizi segreti ucciso a Baghdad a un check point Usa mentre stava portando all'aereoporto la giornalista de il manifesto Giuliana Sgrena appena liberata dai suoi rapitori. Sembrò subito la classica tragica fatalità di cui non si sarebbe mai venuti a capo, eppure bisognava dimostrare un'unica cosa: l'Italia era ferma nell'inchiodare quei "grilletti facili" degli americani alle loro responsabilità, aver ucciso un eroe italiano che era riuscito nell'impresa di liberare la compagna Sgrena. Grande vittoria del governo, ottenere un'inchiesta congiunta italo-americana, garanzia di trasparenza.

Ma le cose sembrano subito non andare come si vorrebbe. No, i fatti sono più complicati di quelli che sembrano, le ricostruzioni discordanti. Gli italiani fano trapelare indiscrezioni sul rapporto finale per screditarne la conclusione sulla quale, assicurano, non apporranno le loro firme. D'altra parte il Pentagono ha fretta di mettere la parola fine alla vicenda scagionando i "suoi ragazzi", ma al Dipartimento di Stato, interessati a tutelare i rapporti con l'importante alleato italiano, spingono per una conclusione più vaga e per posticipare la pubblicazione del rapporto a dopo il voto di fiducia del Berlusconi-bis.

Nei giorni scorsi lo strappo, Berlusconi punta i piedi: «Non firmeremo mai cose che non ci convincono... se le versioni dovessero rimanere discordanti andremo verso conclusioni discordanti». E accenna a dei contrasti anche interni all'amminisrazione Usa. Di là non sono contenti delle dichiarazioni del premier e oggi il Pentagono perde la pazienza e fa trapelare le sue di ricostruzioni, affidate alla Cbs. Smontando uno dei punti di forza della ricostruzione italiana, viene fuori che un satellite militare ha registrato la scena della sparatoria: la pattuglia al checkpoint vide l'auto quando si trovava a 137 yards di distanza (130 metri) e aprì il fuoco quando l'auto era a 46 yards (a soli 42 metri). L'intervallo di tempo tra i due momenti è risultato minore di tre secondi, il che equivale a una velocità dell'auto - secondo questa ricostruzione - pari a oltre 96 chilometri orari. Leggi

La reazione di Giuliana Sgrena è davvero imbecille e penosa: «Non andavamo a cento all'ora anche perché c'era una curva. E comunque il problema non è la velocità dato che non ci sono limiti di velocità su quelle strade...».

Insomma, gli stereotipi sembrano confermati: americani "grilletti facili", italiani pasticcioni come sempre, su tutto. Già stamani sulla stampa italiana alcuni articoli hanno avanzato alcuni dubbi sulla ricostruzione sostenuta dalle autorità italiane e osservato che gli americani, sicuri della propria ricostruzione, accelerano i tempi. Gli interrogativi riguardano la gestione italiana del sequestro e della liberazione della Sgrena: perché usare un'auto "normale" e non blindata come tutte quelle in possesso della coalizione? Perché non si pianificò una scorta armata fino all'aereoporto? Perché far ripartire subito l'ostaggio percorrendo nel buio la strada fino all'aereoporto e non passare la notte in ambasciata?

Carlo Bonini su la Repubblica riportava la voce di una fonte interna al Pentagono: gli italiani vogliono tempo per coprire i loro errori, «Berlusconi dovrebbe solo rispondere a una domanda: accetta o no i fatti», perché in America pensiamo che «i fatti sono fatti». La stessa fonte definisce «torbidi» i dettagli della vicenda, tornando alla scelta italiana di tenere gli alleati all'insaputa dell'operazione perché si era pagato un riscatto, scelta che avrebbe ritardato troppo la comunicazione ai Comandi Usa dell'avvenuta liberazione dell'ostaggio. E' stato un errore, fanno sapere al Pentagono, e «se venissero svelati tutti i dettagli di quel che è accaduto a Baghdad il vostro presidente del Consiglio avrebbe grossi problemi e con lui l'intelligence. Non è nel nostro interesse, perché il sostegno italiano ci serve», ma non mettete in mezzo i «nostri ragazzi».

Maurizio Molinari, sempre su La Stampa, avanza l'ipotesi, citando fonti americane, che a causare la sparatoria sia stata la decisione italiana di patteggiare con i rapitori informando gli americani solo a consegna avvenuta e lungo la strada per l'aereoporto. Questa scelta avrebbe causato i «problemi di comunicazione» che impedirono alla pattuglia di essere informata su chi fosse a bordo dell'auto. Così stando le cose, ritiene Molinari, il Dipartimento di Stato, interessato a tutelare i rapporti con l'importante alleato italiano è entrato in conflitto con il Pentagono che rifiuta qualsiasi conclusione vaga dell'inchiesta. Sullo sfondo le divergenze sul pagamento dei riscatti, «svariati milioni di dollari» che il Pentagono ritiene rafforzino la guerriglia. Un altro dibattito che bisognerà affrontare senza pudori e ipocrisie.

In difesa di Fabio Cannavaro

Gogna mediatica ieri sera su Raidue. Il penoso Masotti (quota CdL) ha costruito un processo mediatico a Fabio Cannavaro (calciatore della Juventus), usando come corpo contundente un rivitalizzato Antionio Di Pietro (il pretore che tutti vorremmo tornasse alle medie) e come prova del reato un filmato amatoriale girato dallo stesso Cannavaro mentre si iniettava una flebo di neoton, un integratore a base di fosfo-creatina assolutamente permesso.

Non è dunque un caso di doping. Ma la trasmissione andava pur lanciata in qualche modo. Vi risparmio ogni commento sulle atroci banalità che in quella sede sono state dette. La cosa grave è che si manda in onda un filmato ad alta "impressionabilità" sul pubblico non per documentare un reato, o quanto meno la prova, l'indizio di una possibile violazione, ma al solo scopo di screditare l'immmagine del calciatore e farne carne da macello per lo spettacolo mediatico. Stupefacente.

Per la CdL un "salto" nel blairismo

Con grande chiarezza Paolo della Sala propone oggi su L'opinione uno «scenario ardito: spostare il confine della CdL più a sinistra», con Tony Blair come modello! Faccio il tifo per una soluzione simile anche se resta il classico problema della coperta troppo corta (i voti cattolici), risolvibile solo con un'area cattolica davvero liberale e non clerico-statalista.
Premessa. Se vuole sperare di uscire dalla crisi in cui versa, la CdL deve «cambiare la stessa direzione, non solo la forma dell'alleanza... entro il prossimo autunno, permettendo di spiazzare l'opposizione, costringendola a rivedere lessico e strategia. Ci vorrebbe un salto culturale e un coraggio politico pari a quelli dimostrati nel 1994...»

Il problema:
«La CdL viene definita – e si autodefinisce - come "centro-destra", il che la fa percepire dagli elettori come uno schieramento "conservatore", appannandone le istanze profonde, che sono liberal-riformatrici. Forza Italia è partita con la prospettiva del riformismo liberale, l'insuccesso elettorale è iniziato quando gli elettori hanno percepito che nella coalizione vi erano tendenze opposte che agivano come freno».
La proposta:
«... Connotarsi come socialisti-liberali. Proporre come modello, non una via di mezzo tra Kohl e Chirac, ma Tony Blair... In Italia i prodiani sono più illiberali dei democratici americani, dal momento che difendono i diritti dei lavoratori garantiti e mortificano in nome di questi l'economia di mercato, l'unica capace di dinamizzare il ciclo lavoro-capitale offrendo nuovo sviluppo e opportunità... Per vincere bisogna definirsi e qualificarsi come riformisti strappando questa bandiera all'esercito avversario. Perché dunque suicidarsi regalando ai catto-comunisti l'intera area laica e riformatrice? Strapparne la proprietà esclusiva agli avversari sarebbe già metà della vittoria... Spostare il confine della CdL più a sinistra, se davvero si vogliono sottrarre voti e costringere Prodi ad appiattirsi su uno zapaterismo destinato alla sconfitta, avvicinandolo ulteriormente ai neocomunisti e obbligandolo a inventarsi ex novo un ruolo e una missione».
Il punto debole:
«Una coalizione caratterizzata da una dominante socialista e liberale potrebbe garantire ai cattolici la difesa dei valori fondanti della religione e della famiglia».
Qui, confesso, non vedo come, visto che o si fanno rientrare dalla finestra le cose che si sono volute far uscire dalla porta, o ci si scontra inevitabilmente con il disegno egemonico dei neodemocristiani dell'Udc. Il rilancio del Cav. per il partito unico è stato accolto con freddezza non per un'ostilità nei confronti dell'idea, ma perché l'Udc mira a logorare la leadership di Berlusconi e assumere la guida di quel progetto. Non è pensabile lo spostamento del centrodestra in senso socialista-liberale non prima di aver marginalizzato l'Udc. D'altra parte, guardando con realismo allo spettro politico, l'area cattolica in FI e Udc verrebbe «appannata», com'è oggi quella liberal-riformatrice, da una connotazione "socialista-liberale".

Un problema più profondo quindi, mi pare l'assenza di rappresentanza politica di un cattolicesimo liberale. In questo senso il primo Casini (e anche il primo Follini), quello del '94, sembrava una novità positiva e ricca di sviluppi soffocata dall'odierna deriva clerico-statalista dell'Udc.

Religioni parificate nell'offesa

Riprendo dal blog anticlericale Laicità e Religioni:
«La Corte Costituzionale ha dichiarato illegittimo l'art.403 del codice penale nella parte in cui stabilisce un trattamento sanzionatorio più severo per le offese alla religione cattolica rispetto alla diminuzione della pena disposta dall'art. 406 per le offese contro altri culti "ammessi" nello Stato italiano». Continua
Questa sentenza della Consulta mi fa venire in mente un fatto singolare. Scontiamo certamente una propensione comportamentale italiana ed europea a un più facile dileggio nei confronti della pratica e della stretta "osservanza" del culto cattolico - sarà per quella naturale forma di ironia rivolta alla fede più comune nei nostri Paesi e alla Chiesa storicamente più influente nella nostra politica e nelle nostre camere da letto. Ed è vero che invece il politically correct impedisce simili ironie sulle "osservanze" - altrettanto curiose, a dir poco - dei credenti in altre religioni come ebraismo e islam. Tuttavia, quando Ratzinger recentemente denunciava una maggiore tolleranza di fronte ad atti irrispettosi della religione cattolica a differenza del rispetto totale preteso rigidamente per le altre religioni, dobbiamo constatare oggi che finora dal punto di vista giuridico è stato esattamente il contrario. Degno di nota.

«La voce pubblica» della Cei

«La voce pubblica» della Cei si farà sentire sempre di più. «Bisogna abituarsi», afferma il Card. Camillo Ruini in questa intervista al Corriere della Sera, la prima dopo il Conclave, «a una Chiesa, italiana e non, che parla a voce alta perché la situazione lo impone; perché è suo dovere, prima ancora che suo diritto».
«A volte sono sorpreso io stesso dall'eco che le nostre prese di posizione provocano sui giornali. Credo anche, però, che la voce della Chiesa dovrà essere sempre più percepibile, a mano a mano che vengono in questione i fondamentali della nostra cultura, dell'antropologia e dell'etica. Nell'attuale cambiamento epocale la Chiesa, per non rassegnarsi all'irrilevanza, deve farsi sentire e capire».
Ratzinger conservatore creativo:
«Gli scritti del cardinale Ratzinger nonme l'hanno mai fatto vedere come una persona sulla difensiva. Non è un puro difensore della fede: ha una mente creativa, e ha fatto molto per ripensare il cristianesimo nel nostro tempo. A mio avviso, più la fede è profonda, più si può essere creativi».
Insomma, le riforme le fanno i conservatori.
«Mi permetto di usare un linguaggio diverso: fra chi conserva la fede e chi la incarna in nuovi contesti non c'è dicotomia, anzi».

Thursday, April 28, 2005

«Alla ricerca del tempo perduto»

«Un partito unico dei moderati e un sistema elettorale maggioritario. Nelle sue repliche in Parlamento Silvio Berlusconi ha recuperato un progetto politico lanciato e abbandonato più volte negli ultimi undici anni. Nei prossimi mesi vedremo se alle parole seguiranno le riforme o se, invece, il tempo è definitivamente perduto». Continua
Su RadioRadicale.it anche tutti i video del dibattito sulla fiducia alle Camere.

Cose strane, visti i dibattiti in aula, tremende. Possiamo dire che il rilancio di Berlusconi sul partito unico ha spiazzato An, ma raccolto il gelo totale dell'Udc, con Follini che gli ha risposto: "Ma se non sai neanche se sarai il leader nel 2006?!" Eppure, Follini, nel 1999, alla vigilia dei referendum, si batte per «una legge maggioritaria, un turno unico, le elezioni primarie e la garanzia che nell'individuazione delle candidature il peso dei cittadini sia superiore al peso dei partiti».

Quanto a Berlusconi, del dibattito di oggi mi sembra che le agenzie, e quindi anche i giornali domani, abbiano censurato il suo esplicito riferimento a una riforma elettorale in senso maggioritario, l'unica che porrebbe fine al ricatto dei partitini. Premier: Partito unico o ritorno al proporzionale (Corriere.it). Berlusconi si è detto contrario «a una legge elettorale ibrida» come quella attuale. La legge elettorale sia «o tutta maggioritaria o proporzionale... Se la riflessione sul partito unico non dovesse concludersi in modo positivo tanto vale ritornare al sistema proporzionale», che però ha già fallito in passato, ha aggiunto il Cav. D'altra parte, già nei retroscena di oggi pare che Berlusconi abbia ammesso di aver fatto una cazzata facendo fallire i referendum del '99 per il maggioritario.
Sarà così? Si ravvede?

L'Iraq libero ha un nuovo governo

Con una maggioranza schiacciante, 180 dei 185 deputati presenti (sui 275 eletti tre mesi fa), l'Assemblea nazionale irachena ha votato oggi la fiducia al nuovo governo di 37 ministri presieduto dallo sciita moderato Ibrahim Jaafari: 18 ministri sciiti, 10 curdi, 5 sunniti e un rappresentante ciascuno per le minoranze turcomanna e cristiana.

A causa della mancata intesa con i «fratelli sunniti», Jaafari ha precisato che cinque ministeri (difesa, petrolio, elettricità, industria e miniere, diritti umani) sono stati per il momento assegnati ad interim, mentre restano da designare anche i due vice premier (sunnita e turcomanno) che dovranno affiancare gli altri due già nominati, il curdo Rozs Shawis e lo sciita - udite udite! - Ahmed Chalabi (che ha anche l'interim al Petrolio). Sei i ministri donne. Nella lista sono rimaste vuote alcune caselle, poiché una parte della minoranza sunnita ha deciso all'ultimo momento di chiamarsi fuori.

Insomma, sempre più un pantano per tutti i commentatori antiamericani e catastrofisti.

Satira radicale

«Da Pannella alla brace – dimenticate Luttazzi, Paolo Rossi, Albanese: Daniele Capezzone è il più tosto satirico del reame – come il segretario dei radicali sbertuccia i radical-chic di rifondazione comunista...»
Su Dagospia, ma l'articolo è uscito stamattina su Libero, ripreso da Notizie Radicali.
Dopo le frequenti partecipazioni del segretario dei Radicali Italiani a Marchette (La7), un articolo che farà scandalizzare i radicali perbene.

Caso Ratzinger. Scegliere: o Stato o Chiesa

Ratzinger da cardinaleLa domanda: è legale o no, è giusto o no, che la Chiesa tenga nascosti alla giustizia civile i casi di abusi sessuali di cui i suoi membri si rendono responsabili?

Dagospia è il Drudgereport italiano. Stavolta però nessuno scoop, ma il coraggio di un'esclusiva resa possibile dal ritiro dei concorrenti. Sulle televisioni e i quotidiani italiani questo tema, da anni al centro del dibattito pubblico negli Stati Uniti, è censurato, insabbiato; e nessuno ha riportato la notizia dei due articoli "pesantissimi" sul nuovo Pontefice pubblicati da due autorevoli quotidiani britannici: Observer (Guardian) e Indipendent. Una lettera spedita nel 2001 a tutti i vescovi cattolici getta Ratzinger, oggi Papa, ma all'epoca Prefetto della Congregazione per la Dottrina delle Fede, nello scandalo Usa dei preti pedofili. La lettera incriminata è in possesso di una corte texana dove l'avvocato di due presunte vittime di abusi da parte di un prete, ha depositato le accuse contro una chiesa del luogo e lo stesso Ratzinger, sostenendo la tesi che l'allora cardinale si sia reso colpevole di ostruzione alla giustizia.
La lettera
Jamie Doward
(Observer)
«Massima segretezza: era questo quello che la Chiesa di Roma chiedeva ai propri prelati in materia di abusi sessuali. Nulla doveva venire a galla, tutto andava nascosto nei minimi dettagli. Con la minaccia di scomunica per coloro che non rispettavano l'imposizione».
su Dagospia
Tutto nero su bianco. Di più: sul voluminoso caso di abusi sessuali a carico di Marcial Maciel Degollado, fondatore dei Legionari di Cristo, per sette anni, dal 1997, Papa Giovanni Paolo II e l'allora Cardinale Ratzinger non mossero un dito neanche per un'inchiesta interna. Nonostante la recente (dicembre) riapertura dell'inchiesta, rimane il fatto che Ratzinger da cardinale ha imposto il più completo silenzio per anni. Questo è uno dei primi temi che Benedetto XVI si troverà ad affrontare e rivelerà da subito i connotati del suo pontificato.

Il commento di Andrew Sullivan:
«Benedict is therefore caught between two very difficult places - blaming John Paul II for protecting Maciel for too long; or admitting that he too turned a blind eye to investigating credible claims of sexual abuse.
(...)
Those who believe and hope that Benedict will be the man to cope with the problem of the Church's cover-up of sex abuse will soon have to concede that Benedict himself has been a central part of the problem. Will Church conservatives give Benedict a pass?»
Attenzione. La vera questione non è tanto, o non solo, morale e religiosa, cioè la diffusione della pratica degli abusi sessuali tra i preti cattolici, ma il conflitto tra giurisdizione dello Stato e giurisdizione della Chiesa. La Chiesa cattolica dovrà pur decidere una buona volta se vuol essere Stato o Chiesa; e comunque insabbiare crimini commessi da propri aderenti sul territorio di uno stato sovrano rimane un reato: favoreggiamento.

L'intervista a Sandro Magister (RadioRadicale.it). Sandro Magister sui potentissimi Legionari di Cristo sotto accusa.

Wednesday, April 27, 2005

Strumenti per una discussione: relativista, ma non vuota

Su Friedrich completata la pubblicazione del saggio di Ratzinger cardinale "Verità e Libertà" (1996).

Bene bene, un contributo essenziale alla discussione sul senso della condanna ratzingeriana del relativismo. Devo dire però, che nei discorsi di Ratzinger - me ne sono letti molti e di lunghissimi - c'è sempre un "tuttavia" nascosto.

Inoltre, Benedetto XVI dovrà fare i conti con «lo strapotere mondano dello Stato vaticano, con il suo potere, le immense ricchezze che accumula, amministra, investe; con la commistione fra missione pastorale, di guida spirituale, di testimonianza religiosa del Vicario di Dio, e i poteri attuali. Anche poteri politici, con i quaranta Stati con i quali vi è Concordato... [istituti giuridici che regolano i rapporti Stato-Chiesa in modo poco tocquevilliano] Il Papa è titolare assoluto di tutti i poteri dello Stato vaticano, e di tutti quelli che sono pienamente politici, economici, sociali, amministrativi, oltre che "religiosi"».

Esempio. La verità di cui parla Ratzinger. La verità rivelata, quella religiosa, non può essere a fondamento dello Stato e delle leggi. Solo per verità rivelata si può ritenere che la vita dal concepimento alla morte sia depositaria di un diritto fondamentale degno di maggiore tutela rispetto a quelli naturalmente ascritti all'individuo, alla persona.

Non sono tra coloro che usano espressioni tipo "ricciolo di materia" per l'embrione, ritengo che il materiale genetico umano debba essere giuridicamente tutelato. Però, mettiamoci d'accordo, questa tutela non può trasformarsi in divieto per i depositari di diritti soggettivi, a danno della loro salute, della libertà di coscienza, o del pensiero critico scientifico. Semplicemente saremmo fuori dal liberalismo...

L'ombra di una vecchia polemica

Il Riformista torna oggi sulle «vite parallele» di Rocco Buttiglione e del suo capo segreteria Giampiero Catone, il discusso depositario del simbolo della Dc. Nemmeno le sue disavventure giudiziarie allentano il vincolo della vera amicizia con il neo-ministro dei Beni culturali, che lo ha voluto con sé per il nuovo incarico. Una scelta della cui opportunità si fa interamente carico Buttiglione.

Per Marco Pannella, il sapore di una vecchia polemica:
«Visto che conoscevo le abitudini comunitarie, diverse da quelle nostrane - ricorda il leader radicale - segnalai a Barroso le inchieste in cui era coinvolto Catone. Adesso, da garantista, visto che c'è la presunzione di innocenza, aspetto di vedere se i processi in cui è coinvolto produrranno qualche novità. Seguirò le vicende di Catone dopo il referendum. Tanto, com'è noto, io non mi fermo nemmeno d'estate». Una caparbietà ai limiti dell'ingratitudine [ma stavolta ineccepibile]. E pensare che Catone, nel luglio del 2002, sollecitò dalle colonne della Discussione la nomina di Pannella a senatore a vita: «Siamo stati suoi avversari, ampiamente ricambiati - scriveva il "professore" - ma gli riconosciamo la buona fede, un amore autentico per il paese e per la democrazia».

Tuesday, April 26, 2005

È l'Europa, non l'America, che si sta distanziando?

L'America cristiana e l'Unione secolare non comunicano più. E se dall'Islam nascesse l'«Eurabia?»

Nella rubrica "Documenti" di oggi sul Corriere della Sera è stato presentato un articolo dello storico britannico Niall Ferguson. La sua tesi è la seguente: non è l'America, con l'unilateralismo dell'amministrazione Bush, ad allontanarsi dall'Europa, ma viceversa è l'Europa che, come nella deriva dei continenti, sembra distanziarsi dall'America. Dopo Kagan e Weigel si allunga la lista di chi ritiene inevitabile il divario tra Europa e America. Vai all'approfondimento
RadioRadicale.it

All'interno il capitolo La religione in America osservata da Alexis de Tocqueville. Nel grande classico del pensiero liberale "La democrazia in America" (1830), il magistrato francese dedicò ampi capitoli alla religione in America, spiegando come essa fin dal principio, al contrario di quanto avveniva in Europa, avesse instaurato con lo Stato rapporti di completa separazione. Anche a ciò si devono la forza dei valori religiosi e la vitalità della vita spirituale che contraddistinguono gli Stati Uniti dai paesi europei oggi.

Negli Stati Uniti le diverse religioni, in fuga dalle persecuzioni del Vecchio Continente, si trovano costrette a giocare sulla difensiva, temendo e contrastando loro per prime gli interventi dello Stato nei loro ambiti. In Europa, viceversa, è lo Stato che storicamente si è dovuto difendere, arginando il potere delle chiese e sottraendo loro alcune prerogative. Segue

Ratzinger e le misure. Per lui problemi con stoffa e pizze

Su Leftwing due ottimi arnesi per riflettere con più cognizione su Ratzinger e la sua sfida alla «dittatura del relavitismo».
Marco Beccaria, nell'articolo Ratzinger e la misura della fede, ci suggerisce di aspettare un attimo prima di bollare il nuovo Papa come «oscurantista, reazionario e antimoderno» e ci invita a non giudicare «senza un minimo di studio, criterio e attenzione».
«Ciò che definisce l'appartenenza alla chiesa non è e non può essere, dice Ratzinger, l'adesione a una ideologia mutuata da categorie politiche mondane, ma solo "l'amicizia con Cristo". Questo è il punto fermo che, per Ratzinger, deve contrastare un "relativismo" presente innanzitutto nella stessa coscienza cattolica, quasi che esistessero criteri più importanti e fondamentali rispetto al rapporto, personale e collettivo con il divino nella persona di Cristo per instaurare la fede e la comunità ecclesiale. Essere cristiani, pare dire Ratzinger, è questione di adesione a Cristo e non a un modello politico per sua natura transeunte e mondano». Va letto tutto
Nell'articolo Ratzinger e la misura della stoffa invece, Massimo Adinolfi torna a cimentarsi con una definizione di ciò che è il relativismo tanto temuto dal nuovo Pontefice. Partendo dal ricordare gli sforzi degli scienziati nel definire con certezza assoluta l'esatta lunghezza di un metro, ha però osservato che questo non ha impedito nei secoli alle «nostre nonne e mamme» di comprare «qualche metro di stoffa dalla merciaia all'angolo» o noi stessi di mangiare la pizza a metro. «E come diavolo è possibile, visto che non sapete precisamente, esattamente, assolutamente, quanto sia lungo un metro?»

«Perché questo è il punto: l'approssimazione è buona, e l'esattezza assoluta non esiste, e le misurazioni che sono esatte in merceria non lo sono in laboratorio... Esistono molte misure, e non è che siano meno misure per il fatto che siano molte e non siano assolute. Si riesce a convenire lo stesso su una misura comune, anche se un giorno la misura cambierà. E si riesce a convenire per la buona ragione che conviene: si vende la stoffa e si compra la pizza. Ma se così stanno le cose persino nel campo della conoscenza, perché nel campo della morale si vuole invece una verità più indeformabile di una barra di platino-iridio? Perché spacciare per naturalmente valide cose che naturali non sono, e che se anche fossero naturali non per questo sarebbero assolutamente valide? Perché, se persino il depositum fidei muta, e quel che un cristiano crede oggi non è il medesimo di ciò in cui credeva ieri? E di cosa si ha paura: che davvero vada tutto a rotoli?... E' curioso che spesso si ragioni così: le sfide che oggi la scienza e la tecnica ci pongono sono enormi, epocali, dunque preferiamo non affrontarle... Ma così non è spacciata solo la merciaia, ma tutti coloro che vogliono poter distinguere il meglio dal peggio, anche senza avere sottomano un papa e una summa theologica che li conforti.
(...)
Si dirà che questo è solo buon senso. Infatti: non c'è molta filosofia, è buon senso. Ma è filosofia, e di quella buona, credere al buon senso nelle cose di buon senso. E lasciare che col buon senso ciascuno cerchi, con tutta la passione di cui l'uomo è capace e l'amore per la verità e l'esultanza della scoperta, il senso buono della sua vita». Va letto tutto
Immaginiamo dunque per Papa Ratzinger, quei grossi problemi con stoffa e pizze che lo hanno portato a lanciare una battaglia contro il relativismo delle misure metrico-decimali.

Infine, il S'i fossi papa... di Antonio Tombolini, che s'immagina un Papa che appena eletto riceve l'illuminazione ed elenca i quattro errori fondamentali della Chiesa cattolica:
«Sì, carissimi, stavo, sto, stiamo sbagliando tutto, e da troppo tempo, ed è ormai ora di porvi rimedio. E se lo dico io, che sono infallibile, che stiamo sbagliando, vuol dire che stiamo sbagliando sul serio!
(...)
Primo errore. Un errore stupido, banale, grossolano, che continuiamo a divulgare, compiaciuti che tanti potenti della terra ci diano ragione, ci vengano dietro a chiacchiere: abbiamo raccontato che la libertà è "libertà di scelta tra il bene e il male", e che chi sceglie il male è perduto. Ma che razza di libertà sarebbe mai questa? Libertà di rovinarci, di perderci, di farci del male? E quale mai dio crudele ci avrebbe fatto un simile dono avvelenato? E come abbiamo potuto gingillarci con questa stupidaggine così a lungo?
Svegliamoci: la libertà non è la possibilità di scegliere tra il bene e il male; semmai: la possibilità di scegliere (tout-court), cioè la libertà, è il bene, è il nostro bene più grande. La rinuncia alla libertà, alla libera scelta, l'oppressione che ne impedisce l'esercizio: ecco, questo è il male. Lottare per il bene significa lottare per la libertà; lottare contro il male significa lottare contro la rinuncia alla libertà, contro l'oppressione della libertà, che sola rende l'uomo persona e gli restituisce la sua dignità di essere fatto a immagine e somiglianza di Dio.
E tanto per essere chiari, questo è il primo e fondamentale errore, un errore talmente grande da configurarsi come vera e propria eresia: indugiare ancora sul falso concetto di libertà (e non venite a dirmi che è tomista, o aristotelico, o non so cos'altro: non m'importa, è sbagliato e basta!) significa idolatrare un dio crudele che gioca col destino dell'uomo, significa adorare un idolo, e perciò: anathema sit!». Segue

Ritiro della Siria, ma non abbassare la guardia

Verrà completato oggi il ritiro dei soldati siriani dal Libano, dopo 29 anni di presenza sul territorio. Ieri anche il personale dei servizi segreti di Damasco aveva sgomberato il proprio quartier generale. Con la partenza delle forze siriane, anche i servizi di sicurezza libanesi alleati di Damasco stanno collassando. Ma il processo non è ancora completato e non c'è da fidarsi.

«È chiaro che la Siria è andata richiamando le sue forze militari dal Libano», ha commentato a Washington un portavoce del Dipartimento di Stato, Adam Ereli, nel corso di una conferenza stampa. «Per quanto ne sappiamo, però», si è affrettato a puntualizzare Ereli, «il processo della ritirata non si è tuttora completato, nè per quanto riguarda il contingente militare nè a proposito dei servizi d'informazione e delle loro strutture».
Corriere.it

Monday, April 25, 2005

Rispetto e concordia 60 anni dopo

Cimitero americano di caduti in Italia durante la Seconda Guerra MondialeVisto che di tutta evidenza non siamo un Paese né unito né serio, dove la festa della liberazione viene ridotta a festa della resistenza (dimenticando sistematicamente il contributo decisivo delle truppe alleate); visto che anche la resistenza viene strumentalizzata dagli eredi di chi vi partecipò non per guadagnare libertà e democrazia per il Paese ma per instaurarvi un regime altrettanto totalitario di quello fascista; visto che il 25 aprile diviene occasione per il rispolvero di bandiere rosse e della pace (che c'è stato di pacifico nella liberazione non è dato di sapere); visto che addirittura una festa viene strumentalizzata contro le riforme - discutibilissime - a un Costituzione vecchia di quasi sessant'anni che la maggioranza di governo sta cercando di aggiornare...

Viste e considerate tutte queste aberrazioni, il 25 aprile per me diventa un solitario ricordo e giorno di memoria per i caduti alleati che diedero sangue e vita per liberare noi italiani, ed europei, dai guai in cui ci eravamo cacciati con le nostre mani. Ancora grazie. A questi caduti e ai loro connazionali dobbiamo rispetto e, all'interno dell'alleanza transatlantica, concordia.

Sunday, April 24, 2005

Matrimonio Gay. E' vero "trionfo"?

Proseguendo la riflessione sulla legge che in Spagna ha equiparato le unioni omosessuali al matrimonio, vi segnalo questo post di Gianni de Martino, ricco di spunti di riflessione che in parte riporto.
«Il presunto "trionfo gay", come titolano alcuni giornali, comporta inoltre la dimenticanza, se non l'oblìo, anche delle lotte dei primi movimenti omosessuali per tenere lo Stato fuori dalle camere da letto e si riduce alla riproduzione in versione omosessuale di tutti i vecchi meccanismi di perbenismo e di esclusione insiti in una istituzione monogamica fino ad ieri strutturalmente fondata sull'unione dell'uomo e della donna e l'ordine delle generazioni.
(...)
Non è neanche vero che tutti gli omosessuali non aspirano ad altro che a essere – tramite una finzione giuridica – simili agli eterosessuali supposti o suggeriti "normali", tutti con figli "normali" e titolari di privilegi dai quali i gay sarebbero ingiustamente esclusi. E' come se, in nome di un astratto principio di uguaglianza, uno volesse entrare in un club di cui non condivide né le pratiche, né lo statuto, né le finalità. Oppure, non essendo disabile se non per partito preso, rivendicare il diritto al posto macchina.
(...)
Strappando il matrimonio a una presunta "aristocrazia" eterosessuale, rendendolo indifferenziato e ridotto a un mero rapporto d'interdipendenza emotiva svincolato dalla paternità e dalla maternità, i nuovi perbenisti prudenti, informati, tesserati ed evanescenti, svuotano di significato l'unione dell'uomo e della donna, ne diventano la parodia spettacolare in nome della promessa zapatera di un futuro uguale per tutti e tutte, color rosa bonbon.
(...)
Legalizzati in nome dell'accesso all'uguaglianza per riparare alla presunta ingiustizia proclamata da chi preventivamente si dichiara vittima delle circostanze ("Dio, il buon Vasaio, o la natura mi ha fatto così..."), i matrimoni gay sono una scelta compiuta in obbedienza alla bestialità politica e alle condizioni demagogiche oggi esistenti per la costituzione di una coscienza: una scelta distruttiva per l'esercizio responsabile della libertà e per la verità antropologica, storica, sociale che è nella differenza».
Anche l'editoriale di Giuliano Ferrara su Il Foglio, spurgato dagli insopportabili toni da battaglia culturale, è a tratti convincente quando dice che la legge che omologa le unioni gay al matrimonio «non è l'espressione di un diritto negato a una minoranza».
«Questa è la versione banale e furba del problema. Con una seria e responsabile legislazione sulle convivenze di fatto, questi diritti sarebbero assicurati nel rispetto delle differenze, che quella legge assurda e almodovariana, dispotica e giacobina, cancella del tutto... E' la consacrazione dell’idea che il diritto precede la ragione e la natura, che in termini di diritto sancito da una maggioranza si può fare tutto quel che si vuole, si può volere tutto quel che si può.
(...)
Il vero laicismo liberale punta a valorizzare le differenze, che i sistemi e le società chiuse annullano o con l’assolutismo dei valori o con la dittatura del relativismo (il peggiore degli assolutismi).
(...)
L'omofobia è puro orrore. La negazione di diritti civili è insania. Ma la equiparazione dei due tipi di matrimonio, attraverso una modesta riforma del codice civile... non solo è poco fantasioso, non sa inventare le diverse forme di vita pubblica adatte alle sacrosante differenze private, fa di peggio: impone l’uniformità sotto specie di progresso, abbatte il rispetto laico e religioso ad un tempo per natura e ragione».
S'intende però, che non condivido assolutamente i toni catastrofici dei ferrariani, ci vuol ben altro per far cascare il mondo e qualche scivolone relativista è sempre meglio di qualsiasi assolutismo.

Berlusconi, eredità e fallimento annunciato

«Gli errori del premier e quelli dell’Unione». Dell'eredità di Berlusconi e del suo fallimento, tratta l'editoriale di oggi di Angelo Panebianco sul Corriere della Sera.
L'economia. «Sul piano simbolico il "berlusconismo" ha rappresentato l'esaltazione dell'impresa e della libertà economica, argomenti tabù per la politica tradizionale. Il fatto che Berlusconi non sia riuscito a tradurre quella discontinuità simbolica in una effettiva politica liberal-liberista è forse la vera causa della sua sconfitta. Ma, comunque, quel messaggio ha inciso per un decennio anche sulle idee della sinistra, obbligandola a modernizzare il proprio approccio ai temi del mercato e dell'impresa».

La politica estera. «Berlusconi è stato l'interprete di una politica "occidentalista": fedeltà agli Usa anche al prezzo di tensioni in Europa, scelta di campo pro-israeliana, una politica europea meno disponibile a lasciare all'Italia il ruolo di ruota di scorta dell'asse franco-tedesco. E' anche a causa di questa politica occidentalista, e delle sue conseguenze (la presenza militare italiana in Iraq) che Piero Fassino ha potuto, al recente congresso del suo partito, prendere così radicalmente le distanze dall'antiamericanismo di sinistra».

Le istituzioni. «Ha fallito ma cosa resterà, dopo di lui, della legittima aspirazione a dare al premier i poteri necessari per non essere un ostaggio impotente nelle mani dei partiti? O della aspirazione a rendere più "occidentale" il nostro sistema giudiziario, per esempio separando le carriere di giudici e pubblici ministeri? E' possibile che, venuta meno la sfida berlusconiana, di tutto ciò non resti traccia e il centrosinistra si adagi in un conservatorismo soddisfatto, pago delle poche virtù e dimentico dei vizi delle nostre tradizioni politico-istituzionali. In questo caso potrà ereditare il potere ma non la capacità di esercitarlo per modernizzare il Paese».
Alla fine, il monito al centrosinistra: Berlusconi ha voluto far finta che il centrodestra fosse unito dietro di lui, non impegnandosi a fondere in una politica coerente rappresentanze di interessi eterogenei. Il centrosinistra non dovrebbe ripetere l'errore.
«E farsi ora promotore di una proposta di governo, non piattamente incentrata sull'antiberlusconismo e sulla difesa dello status quo... che porti alla luce subito i conflitti nel centrosinistra. Poiché — Berlusconi docet — ciò che non si ha il coraggio di fare prima, lo si sconta dopo. La furbizia di oggi verrà pagata domani. In credibilità e consenso».
Nel post La svolta social-corporativa. Rastaurazione compiuta il testo dell'editoriale di ieri - illuminante - di Piero Ostellino, sul Corriere della Sera, e alcuni commenti.

Belle parole...

Quelle dell'omelia di oggi di Benedetto XVI, ma dove lo porteranno. In corsivo nel testo indico alcuni punti di ambiguità. Anzi non di ambiguità, volevo dire concetti chiari ai quali la Chiesa ufficiale troppo spesso non ha agito con coerenza.
«Cari amici! In questo momento non ho bisogno di presentare un programma di governo... Il mio vero programma di governo è quello di non fare la mia volontà, di non perseguire mie idee, ma di mettermi in ascolto, con tutta quanta la Chiesa, della parola e della volontà del Signore e lasciarmi guidare da Lui, cosicchè sia Egli stesso a guidare la Chiesa in questa ora della nostra storia... E questa volontà non è per noi un peso esteriore, che ci opprime e ci toglie la libertà.
(...)
La santa inquietudine di Cristo deve animare il pastore: per lui non è indifferente che tante persone vivano nel deserto. E vi sono tante forme di deserto. Vi è il deserto della povertà, il deserto della fame e della sete, vi è il deserto dell'abbandono, della solitudine, dell'amore distrutto. Vi è il deserto dell'oscurità di Dio, dello svuotamento delle anime senza più coscienza della dignità e del cammino dell'uomo. I deserti esteriori si moltiplicano nel mondo, perchè i deserti interiori sono diventati così ampi. Perciò i tesori della terra non sono più al servizio dell'edificazione del giardino di Dio, nel quale tutti possano vivere, ma sono asserviti alle potenze dello sfruttamento e della distruzione.
(...)
il pastore di tutti gli uomini, il Dio vivente, è divenuto lui stesso agnello, si è messo dalla parte degli agnelli, di coloro che sono calpestati e uccisi. Proprio così Egli si rivela come il vero pastore: "Io sono il buon pastore... Io offro la mia vita per le pecorè, dice Gesù di se stesso (Gv 10, 14s). Non è il potere che redime, ma l'amore!. Questo è il segno di Dio: Egli stesso è amore.
Quante volte la Chiesa crede più nel potere degli averi e dei divieti piuttosto che nella guida dell'amore.
Quante volte noi desidereremmo che Dio si mostrasse più forte. Che Egli colpisse duramente, sconfiggesse il male e creasse un mondo migliore. Tutte le ideologie del potere si giustificano così, giustificano la distruzione di ciò che si opporrebbe al progresso e alla liberazione dell'umanità.
Anche la Chiesa si è fatta in passato - e rischia di continuare a essere oggi - ideologia del potere mondano, con anatemi che lungi dalla liberazione dell'uomo lo rinchiudono nel "peccato" senza possibilità di uscita
(...)
Il Dio, che è divenuto agnello, ci dice che il mondo viene salvato dal Crocifisso e non dai crocifissori.
Quante volte la Chiesa ha crocifisso con i suoi anatemi.
Il mondo è redento dalla pazienza di Dio e distrutto dall'impazienza degli uomini.
(...)
"Non abbiate paura, aprite anzi spalancate le porte a Cristo!" Il Papa parlava ai forti, ai potenti del mondo, i quali avevano paura che Cristo potesse portar via qualcosa del loro potere, se lo avessero lasciato entrare e concesso la libertà alla fede. Sì, egli avrebbe certamente portato via loro qualcosa: il dominio della corruzione, dello stravolgimento del diritto, dell'arbitrio. Ma non avrebbe portato via nulla di ciò che appartiene alla libertà dell'uomo, alla sua dignità, all'edificazione di una società giusta. (...)
Non abbiamo forse tutti in qualche modo paura - se lasciamo entrare Cristo totalmente dentro di noi, se ci apriamo totalmente a lui paura che Egli possa portar via qualcosa della nostra vita? Non abbiamo forse paura di rinunciare a qualcosa di grande, di unico, che rende la vita così bella? Non rischiamo di trovarci poi nell'angustia e privati della libertà? Ed ancora una volta il Papa voleva dire: no! chi fa entrare Cristo, non perde nulla, nulla - assolutamente nulla di ciò che rende la vita libera, bella e grande».

Saturday, April 23, 2005

La svolta social-corporativa. Rastaurazione compiuta

Come prevedevo, le ragioni, quelle politiche, della crisi del Governo Berlusconi, che ha portato alla parodia di questo governo-bis, non sono venute alla luce. Delle poltrone si sa, quelle c'entrano sempre, ma non possiamo ritenerci soddisfatti dal triplice e decennale alibi delle più tipiche crisi democristiane: famiglie, competitività, mezzogiorno. Dobbiamo credere che la «discontinuità» che si reclama dovrebbe riguardare cose su cui si sta lavorando da cinquant'anni in modo statalista e assistenziale? La discontinuità è: dentro Storace, fuori Gasparri e Follini?

No, forse la verità è che a ogni tornata elettorale, che soprattutto Berlusconi e Forza Italia perdono per aver tradito le aspettative laico-riformatrici dei propri elettori, Udc e An cercano di far pagare pegno il più possibile al leader, di logorarne l'immagine.

Qui di seguito, integrale, l'editoriale di oggi di Piero Ostellino, sul Corriere della Sera, su una crisi che è «l'autobiografia di un Paese e della sua classe dirigente che non sanno e, soprattutto, non vogliono modernizzarsi». Un non sanno e non vogliono che riflette però un non sapere e non volere degli italiani: «Ci siamo abituati a vivere alle spalle della collettività e vogliamo continuare».

«La "discontinuità" del nuovo governo, rispetto al precedente, è che i suoi alleati non riconoscono più Berlusconi come leader del centrodestra. La "continuità" è che la liberalizzazione delle professioni è scomparsa dal decreto sulla competitività.

I soli dati "reali" della deprimente pantomima degli ultimi giorni sono questi. Il resto è Prima Repubblica, sotto il profilo politico; è Seconda Repubblica in stato confusionale, sotto quello istituzionale.

Dalle modalità della crisi (extraparlamentare) ai riti delle consultazioni in Quirinale (inutili e persino ridicole); dalla definizione (del tutto incomprensibile) data da Follini e da Fini al concetto di discontinuità al nuovo Consiglio dei ministri (pressoché uguale al precedente); dall'esistenza contemporanea di tre Costituzioni - quella che disciplina il sistema politico dopo l'introduzione della legge elettorale maggioritaria; la precedente, proporzionalista; quella che istituisce il premierato ancora davanti al Parlamento - alla finzione che qualcosa cambierà, affinché tutto rimanga come prima, ciò che è stato scritto da Berlusconi, Follini, Fini è l'autobiografia di un Paese e della sua classe dirigente che non sanno e, soprattutto, non vogliono modernizzarsi.

Fuori i partiti dalle istituzioni, predicava Marco Minghetti già nell'Ottocento. Dentro i partiti nelle istituzioni, è stato l'imperativo col quale, nelle ultime settimane, si è concretata la Restaurazione.

Diciamola, allora, tutta. Quello che è successo è frutto del monitoraggio che partiti e uomini politici fanno del Paese attraverso i sondaggi d'opinione e della rilevanza che essi assegnano loro nell'orientare le politiche pubbliche. In buona sostanza, è - non mi stancherò mai di ripeterlo - l'ennesima abdicazione della politica agli umori dell'elettorato. I quali umori - che avevano già pesantemente condizionato l'azione del governo, spegnendone ogni velleità riformatrice fin dalla sua nascita - hanno finito, poi, col far precipitare la situazione dopo la pesante batosta subita dal centrodestra alle elezioni regionali. Gli ultimi sondaggi - che in realtà riflettono un trend costante dell'opinione pubblica - rivelano che la maggioranza degli italiani, rispetto alla libertà, al mercato e alla competizione, in una parola, alla modernizzazione, privilegia la sicurezza, lo statalismo, l'assistenzialismo, in definitiva, lo statu quo. Che piaccia o no, ci siamo abituati a vivere alle spalle della collettività e vogliamo continuare. Chiunque si provi a cambiare è condannato a esserne punito.

In tale contesto, emergono sociologicamente e, quindi, politicamente "tre Italie".

1. La prima, (ancora) inserita nell'Unione Europea e nella competizione mondiale, è quella, assolutamente minoritaria, rappresentata dal mondo del capitale e del lavoro più dinamici e estranei alle logiche neocorporative e collettivistiche, che si aspetta dallo Stato solo buone infrastrutture e un sistema fiscale meno oppressivo.

2. La seconda, ormai fuori dall'Europa e dalla competizione mondiale, è quella della crisi della Fiat, della conversione di ciò che rimane della grande industria al protezionismo tariffario e del conseguente malessere del mondo del lavoro, rappresentata dal neocorporativismo confindustriale e dal tardo-collettivismo sindacale, che si aspetta gli aiuti dello Stato.

3. La terza Italia, da sempre lontana anni luce dall'Europa e dalla competizione mondiale, è, infine, quella rappresentata dal clientelismo pubblico e privato, che si aspetta assistenzialismo di Stato.

Ha detto Follini: "Il governo risponde al Parlamento e i partiti rispondono agli elettori". Poiché il governo, anche col maggioritario, è "occupato" dai partiti, si spiegano le tre Italie e la crisi. Una logica c’è. Anche se perversa».
Mi associo, a queso punto, al commento di Andrea da Siena che come al solito in questi momenti non resiste allo sconforto:
«Nonostante la STORICA convinzione RADICALE che gli Italiani sono un popolo ingannato e disinformato che ogni volta che ha potuto davvero conoscere e deliberare liberamente e responsabilmente è stato sulle NOSTRE posizioni su tutto (vedi referendum pluriennali)... Nonostante questa lettura sociologica, antropologica pannelliana, è osservazione comunissima che l'individuo italico (formalmente e culturalmente negato) da sempre s'arrangia a fregare il padrone di turno non appena possibile...

E' una lettura cinica e sconsolata? Basta guardarsi intorno senza pregiudizi. Anche il mio guru Ostellino se ne è ormai rassegnatamente convinto. Forse anche noi RADICALI dobbiamo imparare a leggere la realtà che ci circonda con occhi diversi... per coglierne un aspetto in più. Altrimenti rischiamo davvero di oscillare tra illusioni, perplessità e frustrazione».

Matrimoni gay ed etero. Uguali per legge in Spagna

Sul voto del Parlamento che autorizza il matrimonio tra gli omosessuali nella Spagna di Zapatero non ho nulla da aggiungere a quanto scrisse 1972 nell'ottobre scorso. Ciò che ritengo indispensabile è prevedere un istituto giuridico che soddisfi la giusta richiesta delle coppie gay di poter vivere il proprio rapporto di amore con pienezza e dignità. Sciogliere invece questo rapporto all'interno dell'istituto giuridico che regola il matrimonio tradizionale semplicemente non riconosce uguali diritti nella diversità, ma tende ad annullarle, il che è impossibile, giuridicamente. Un'ingiustizia si realizza anche quando si regolano allo stesso modo situazioni diverse.
«A nostro parere l'equivoco di fondo consiste nella definizione del matrimonio tra persone dello stesso sesso come "diritto" e nella relativa pretesa di includere nella categoria dei "diritti" ogni rivendicazione - per quanto rispettabile o condivisibile - di qualsiasi gruppo sociale.
(...)
è falso che l'impossibilità di accedere ad una medesima condizione giuridica di altri soggetti determini sempre e comunque una discriminazione. In quanto negozio giuridico, dal matrimonio discendono diritti ed obblighi. Ma in ogni contratto (o negozio giuridico bilaterale), esistono anche motivi di incapacità che non ne consentono la stipula a determinati soggetti senza che per questo si gridi all’intollerabile diseguaglianza di trattamento
(...)
se si impedisce ad un omosessuale (in quanto tale e in quanto persona) di votare o ad un nero (in quanto tale e in quanto persona) di esprimere pubblicamente la propria opinione si commette un crimine. Ma l'estensione del matrimonio a persone dello stesso sesso non risponde alla medesima logica perchè, invece di riconoscere un’uguaglianza di diritti nella diversità, annulla la diversità in nome del riconoscimento di un preteso diritto.
(...)
Ora: si può pensare quel che si vuole del matrimonio omosessuale e certamente sia chi è favorevole sia chi è contrario ha dalla sua argomenti sostenibili. Ma che si tratti di materia controversa è sicuro. Anche senza scomodare improbabili teorie su sconvolgimenti epocali che la riforma provocherebbe nel tessuto sociale, è chiaro che matrimonio eterosessuale e matrimonio omosessuale non sono la stessa cosa, per alcune ragioni evidenti che sarebbe superfluo perfino sottolineare. Ciò non implica di per sé il rifiuto del secondo ma la mancata considerazione di questa differenza rende di per sé dubbie le motivazioni di una sua acritica accettazione».
Capisco cosa intende Paolo (Le Guerre Civili) per "comportamento sociale". E' vero che ci sono dei comportamenti che possiamo definire "antisociali". Non giudicatemi cinico, ma creare una famiglia non con il fine di procreare è uno di questi. Non contribuisce alla conservazione biologica della specie umana. Però anche una coppia eterosessuale può decidere di non avere figli, e anche questo in un certo senso sarebbe un comportamento antisociale, ammesso e non concesso che la socialità stia solo, o in modo prevalente, nel dato biologico.

Forse, il comportamento più sociale che potremmo avere è "essere felici". Perché quindi non rendere "felici" due omosessuali che vogliono un'unione riconosciuta? Un principio cardine del liberalismo credo sia quello di cercare, prima di porre un limite alla libertà di qualcuno (in questo caso si tratta di libertà "contrattuale"), di cercare se vi sia qualcuno o qualcosa che viene danneggiato da quella libertà qualora non limitata. E comunque c'è una dignità del proprio essere individuo che viene prima della valutazione "sociale" del comportamento (socialità che era infatti la preoccupazione massima dei regimi totalitari del '900). Se non possiamo obbligare tutti ad avere figli, non possiamo nemmeno negare a una coppia gay di vivere con dignità il proprio rapporto, che questo sia riconosciuto pienamente dalla società. Poi chiamiamolo come vogliamo, non lo equipariamo al matrimonio.

Le parole hanno un senso perché descrivono la realtà, contribuiscono in gran parte a determinarla. Per questo motivo il loro travisamento è il travisamento della realtà. Chiunque voglia cambiare in modo drastico una società è sufficiente che ne corrompa il linguaggio espropriandolo dei suoi significati.

Un passo dell'editoriale di Pieluigi Battista oggi sul Corriere della Sera, fin troppo terzista, e cauto nello stigmatizzare i veri e propri anatemi che la Chiesa cattolica pronuncia sempre più spesso sulle decisioni dei Parlamenti democratici.
«Così come la Chiesa (anche in Italia) non può essere favorevole al divorzio e tuttavia può scegliere di non scatenare un interminabile conflitto con le legislazioni divorziste, anche il mondo cattolico che crede nella famiglia come pilastro dell'universo sociale e morale può distinguere tra la forza di una battaglia culturale ferma sul piano dei princìpi e una avventurosa guerra senza quartiere contro le leggi che gli Stati si danno sul piano della concreta regolazione delle convivenze "di fatto", in Spagna e in tutto il mondo.

E se appare cruciale nella battaglia contro la "dittatura del relativismo" un atteggiamento non compromissorio nelle materie che attengono alle questioni prime e ultime della vita e della morte, nel rifiuto di un mondo che nella sua pretesa di onnipotenza arriva all'intollerabile della fabbricazione dell’umano o, nel nome dello stesso sciatto indifferentismo morale, alla soppressione arbitraria di quella medesima umanità, al contrario l'obiezione etica e culturale al "relativo" delle unioni diverse da quelle tradizionali del sacramento matrimoniale può richiedere prove supplementari di realismo e ragionevolezza».

Friday, April 22, 2005

La CdL ha fatto di tutto per mettersi in minoranza

L'analisi di Daniele Capezzone, su Libero, che chiede una cosa semplice a cui nessuno sembra essere interessato. Le ragioni, quelle politiche, della crisi del Governo Berlusconi. Delle poltrone si sa, quelle c'entrano sempre, ma non possiamo essere soddisfatti dal triplice e decennale alibi delle più tipiche crisi democristiane: famiglie, competitività, mezzogiorno. Dobbiamo credere che la «discontinuità» che si reclama dovrebbe riguardare cose su cui si sta lavorando da cinquant'anni in modo statalista e assistenziale?

No, forse la verità è che a ogni tornata elettorale, che soprattutto Berlusconi e Forza Italia perdono per aver tradito le aspettative laico-riformatrici dei propri elettori, Udc e An cercano di far pagare pegno il più possibile al leader, di logorarne l'immagine.

In quattro passi il segretario di Radicali italiani spiega al Cav. come il suo «operare in questo modo significa matematicamente mettersi in minoranza, chiunque siano i tuoi oppositori».

Quanti dovrebbero prendere lezioni da Blair

Un leader che ha il coraggio di essere impopolare per non essere antipopolare

Negli Stati Uniti, sul New York Times, uno dei più influenti editorialisti liberal, Thomas Friedman, è convinto che sicuramente il Partito Democratico dovrebbe imparare da Blair.
«Indeed, I believe that history will rank Mr. Blair as one of the most important British prime ministers ever - both for what he has accomplished at home and for what he has dared to do abroad. There is much the U.S. Democratic Party could learn from Mr. Blair». Leggiamo
Blair ha messo in gioco tutto se stesso, la sua faccia e la sua carriera politica, per i suoi principi di fronte all'opinione pubblica spesso nella stragrande maggioranza critica rispetto alle sue scelte. Eppure, tutto sembra indicare che otterrà un terzo mandato a guidare la Gran Bretagna.
«He did so, among other reasons, because he believed that the advance of freedom and the defeat of fascism - whether Islamo-fascism or Nazi fascism - were quintessential and indispensable "liberal" foreign policy goals... In sum, Tony Blair has redefined British liberalism. He has made liberalism about embracing, managing and cushioning globalization, about embracing and expanding freedom - through muscular diplomacy where possible and force where necessary - and about embracing fiscal discipline».
Anche in Italia la sinistra dovrebbe cercare di apprendere il più possibile dall'esperienza di Blair e del New Labour.

Submission e i vili europei

«La decisione di vietare la proiezione del film Submission nella sala stampa dell'Europarlamento, per "ragioni di sicurezza", espone l'Europa politica, tutta intera, al sospetto, ahimè fondato, di viltà culturale».
Michele Serra?, la Repubblica? No, non può essere lui, deve essere uno pseudonimo, sogno o son desto? Leggiamo.
«Basta un rischio infinitamente più grave, un ricatto così odioso ed esiziale, a giustificare il penoso arretramento del coraggio democratico? O non è piuttosto proprio la gravità della sfida, l'intollerabilità di un bavaglio imposto a fil di coltello, a suggerire di rialzare la testa, di organizzare una risposta politica e culturale all'altezza?... gli europei pacifici e aperti confondono la remissività (specie su principi non sindacabili come la libertà) con la tolleranza, la debolezza con il dialogo.
(...)
Forse che non esistono più "umili lavoratori della vigna della libertà", disposti anche a rischiare qualcosa pur di battersi per la dignità e la sicurezza dei cittadini europei? Che sia questo il famoso "relativismo etico", questo posporre i principi alla convenienza, l'orgoglio della libertà alla paura, la difesa dell'integrità fisica e intellettuale delle persone a un malinteso (molto malinteso) "dialogo con l'islam"? Ma allora, scusate, rischia di avere ragione la Fallaci quando inveisce contro l'Occidente "senza palle".
(...)
O l'opposizione al fanatismo islamico (e, in parallelo, il dialogo con il grande resto dell'Islam) viene fatta da posizioni di forza, cioè nel nome del diritto, della democrazia e della libertà, oppure genererà un fanatismo uguale e contrario».
Pare proprio lui, Michele Serra. Per fortuna che a volte i loro giornali li leggo.

La fonte della moralità planetaria

«Supponiamo che il presidente di una multinazionale sia indagato per appalti privilegiati concessi al proprio figliolo, mentre il consiglio d'amministrazione sparge mazzette a un sanguinario dittatore e i dirigenti finiscono, uno dopo l'altro, dimissionari per corruzione. E supponiamo che impiegati dell'azienda vengano accusati di avere violentato bambine affamate in Africa, in cambio di un biscotto. E che, infine, due commissari dell'inchiesta sullo scandalo denuncino l'insabbiamento delle loro rivelazioni. Come reagirebbe l'opinione pubblica? Con sdegno certo, picchetti di ragazzi appassionati fuori dagli uffici della multinazionale, sussiegosi editoriali sui giornali, richieste di condanne, pronte e definitive». Continua
(Gianni Riotta, Corriere della Sera)
Per le Nazioni Unite, che si trovano oggi in queste esatte condizioni, nulla di tutto questo, anzi ogni suo sbuffo viene accolto come fonte di diritto. Il più grigio potere burocratico, il maggiore collettore di interessi nazionali spesso inconfessabili, è ritenuto in possesso di una legittimità intrinseca, quasi divina, l'unica voce della moralità planetaria, l'unica in grado di porre sullo stesso piano di legittimità internazionale democrazie consolidate e dittature orrende. Una delle più grandi menzogne del nostro tempo, a proposito di verità...

Quale relativismo

Siccome non faremmo onore alla statura intellettuale di Papa Ratzinger intepretando le sue come condanne ai semplici fenomeni di consumismo, egoismo, materialismo, all'indifferenza e alla superficialità che sperimentiamo nella nostra quotidianità, come se fosse uno dei tanti "moralisti", un qualsiasi presidente bacchettone di un'associazione per la tutela dei minori in tv, le parole usate da Giulio Giorello sul Corriere della Sera di oggi mi sembrano estremamente utili.
«Mi preme far notare come lo spettro del relativismo sia un'etichetta di comodo per stili di vita e forme di pensiero estremamente diverse e sovente incompatibili tra loro.

Che c'entra, per esempio, il liberalismo con la new age e le espressioni di "vago" misticismo? È davvero solo una "moda" quel pensiero liberale che ha dato sostanza a esperimenti politici come gli Stati Uniti, dopo la vittoriosa guerra d'indipendenza, o alle altre forme di "società aperta", capaci di realizzarsi contro sistemi dispotici e di resistere all'offensiva dei totalitarismi del '900? Che ne è di quel particolare liberalismo che si è schierato a difesa dei cattolici laddove erano discriminati o perseguitati? Infine, cosa resta di quel cattolicesimo liberale che tanto ha dato alla stessa Italia, non solo alla teoria, ma anche alla pratica della politica - da Sturzo a De Gasperi?

Popper, come Mill, aveva a modello l'impresa scientifica, ove la possibilità del confronto, ed eventualmente del conflitto, tra le più diverse linee di ricerca significa crescita della conoscenza e abbondanza di occasioni - anche sul piano economico e tecnologico.

Sovente si spaccia l'esercizio dello spirito critico e la costruzione di un sapere fallibile e rivedibile come assenza di responsabilità e cedimento a qualsiasi protervia. Ma chiunque abbia mai davvero partecipato a questa paziente e faticosa impresa sa che è tutto il contrario. Ciò che spirito critico e società aperta consentono è che qualunque punto di vista abbia i propri difensori pubblici; quello che esigono è che la difesa non si limiti a imposizioni o scomuniche, bensì porti delle ragioni. Questo è "relativismo"? Non ho paura delle parole, ma allora sono relativisti anche Jefferson e Cattaneo, Einaudi e Popper».
Mi pare che a questo punto possiamo anche ipotizzare, ipotesi da verificare, che Ratzinger si batta contro un mulino a vento, uno spazio vuoto. Torna utile la definizione trovata da Malvino, secondo la quale rientra nel relativismo...
«ogni concezione filosofica che considera la realtà non conoscibile in sé stessa ma soltanto in relazione alle particolari condizioni in cui i suoi fenomeni vengono osservati, e non ammette perciò verità assolute nel campo della conoscenza o principi immutabili in sede morale».
Dunque, Ratzinger si tranquillizzi: esercitare il pensiero critico non significa negare l'esistenza di verità, o di principi validi, ma semplicemente ritenere che essi non siano assoluti, né definitivi. Se Benedetto XVI è consapevole di questo, allora dovrebbe circoscrivere meglio l'oggetto delle sue condanne, individuabile al massimo nel cosiddetto "pensiero debole", che sarebbe esagerato persino ritenere una dottrina.
SEGUE

Thursday, April 21, 2005

Porta lontano, il "soft power" di Joseph Nye

Quello che cerca di dire e di dimostrare, soprattutto ai radicali, questo fantastico articolo di Gualtiero Vecellio su Notizie Radicali:
«è che le posizioni per partito preso non portano da nessuna parte. Neo-con è sinonimo, per molti, è la quintessenza di ogni male; sarà per questo che non ci si prende neppure il disturbo di ascoltare quello che dicono, di leggere quello che scrivono? Si emettono così sentenze, perché così fa moda, tendenza. A noi invece piace e interessa di più leggere e ascoltare; e magari scoprire, con una punta di soddisfatto divertimento, che vi sono non pochi, insospettabili, punti di contatto tra persone partite e approdate su sponde diverse: Nye, Gingrich, Frum, Perle... e anche noi».
Scusate se vi ho raccontato il finale, ma anche con un ridotto "effetto sorpresa", l'articolo è da leggere tutto, poi incorniciare.

Rice continua a sobillare

Siamo distratti da altro in questi giorni, tra insediamenti e dimissioni, chi viene e chi sembra andare, ma nel frattempo i sobillatori della democrazia sono a lavoro. Il segretario di Stato Usa Condoleezza Rice non perde occasione per dichiarazioni che hanno il duplice effetto di incoraggiare quanti lottano per la democrazia nei loro Paesi e di destabilizzare l'apatia della comunità internazionale. Ieri da Vilnius (Lituania) le sue parole sono state perentorie: «La Bielorussia è veramente l'ultima dittatura nel centro d'Europa. E' ora che ci sia un cambiamento». E addirittura le incontra le opposizioni bielorusse.

Oggi, riprendendo l'argomento ha esortato la comunità internazionale a vigilare che le elezioni dell'anno prossimo in Bielorussia siano libere e di far capire al regime di Minsk che non può reprimere il popolo come se fosse in un «cono d'ombra». Il popolo bielorusso, ha detto, dovrebbe essere libero di manifestare in piazza. A stretto giro è arrivata la risposta stizzita di Mosca: il regime politico della Bielorussia «non può essere imposto dall'esterno», ha dovuto replicare Lavrov.

Ma ancor più forti sono state le parole della Rice, a Mosca per preparare la prossima visita di Bush, nei confronti della Russia: la sua appartenenza al G8 la obbliga a garantire libertà economiche e politiche. Le recenti tendenze nel duro cammino della Russia per divenire una democrazia compiuta non sono positive, come la crescita del controllo centrale sui governi statali e del controllo sui media, sono «molto preoccupanti».
«The centralization of state power in the presidency at the expense of countervailing institutions like the Duma or an independent judiciary is clearly very worrying. The absence of an independent media on the electronic side is clearly very worrying».
Rimane tuttavia un errore pensare che Putin stia facendo tornare indietro la Russia ai tempi sovietici: non è ciò che sta avvenendo. Isolare la Russia, minacciando di escluderla dai panel internazionali non ha senso, ma Mosca deve fare ogni sforzo per convincere il mondo di avere presenti le responsabilità di un membro del G8. E' uno Stato ancora in transizione, con una storia davvero complicata

Ne hanno scritto il New York Times (Rice Urges Russia to Embrace Openness) e il Washington Post (Trends in Russia "Very Worrying" to Rice).

E se l'America funzionasse? E funziona...

Aldo Grasso nota sul Corriere della Sera una sfiziosa curiosità, non da poco: con la sua trasmissione sui Raitre, Report, la sinistra Milena Gabanelli «si è cacciata in un bel guaio: sta scoprendo che in America, nell'esecrata, nella prepotente, nella detestabile America, le cose funzionano meglio che da noi». Osservazioni ineccepibili, ma i sinistri sapranno aprire gli occhi? Ne dubito.

Tocqueville l'americano

Giorni fa su Il Foglio l'articolo di Christian Rocca ci ricordava che «Tocqueville è tuttora amatissimo in America. Forse è l'unico francese che qui goda di buona fama». E qualcuno ha deciso di ripercorrere le sue orme. E' il connazionale Bernard-Henry Lévy, «un convinto anti antiamericano», reclutato dalla rivista The Atlantic Monthly, che «ha attraversato l'oceano per provare a spiegare agli americani, ma anche al resto del mondo, che cosa davvero sia e come funzioni la democrazia in America». Il suo reportage consta di «70 mila parole, circa 400 mila battute, ovvero materiale buono a riempire un libro di 250 pagine» e verrà pubblicato in cinque puntate. Racconta che "aggredito" per nulla da un poliziotto del Michigan, riusciva a commuoverlo solo citando Tocqueville. Chissà che ne pensa a man?

Cubi e cattedrali

George Weigel, teologo conservatore americano nonché biografo di Wojtyla, ha pubblicato negli Stati Uniti "The Cube and the Cathedral ­ Europe, America and politics without Gods". Il seguito ideale, in chiave religiosa del «dibattito avviato da Robert Kagan sugli europei-che-vengono-da-Venere e gli americani-che-arrivano-da-Marte», spiega Christian Rocca su Il Foglio: ciò che divide Europa e America, è la tesi del libro è che «l'America crede in Dio, l'Europa no». Weigel si spiega con la metafora della Cattedrale e del Cubo. Una volta c'era la Cattedrale (Notre Dame), ora c'è il Cubo (la grande arca della Defense) «a rappresentare il passato, il presente e il futuro dell'Europa». La prima «il simbolo dei 1500 anni di civilizzazione cristiana dell'Europa inopinatamente cancellati dalla nuova Costituzione dell'Unione», il secondo «il monumento ai diritti dell'uomo e alla laicità voluto da François Mitterrand e che oggi rappresenta l'umanesimo laico e la voglia di modernità dell'Europa».
«L'Europa è un continente debole, molle, in crisi d'identità, in difficoltà economica, che non fa figli, che sta letteralmente morendo. L'America, invece, cresce e prospera proprio perché crede che la morale religiosa sia alla base della propria civilizzazione e, soprattutto, perché pensa che senza Dio non ci possa essere una vera politica centrata sul bene comune né un'autentica difesa della libertà.
(...)
La tesi di Weigel è che l'illuminismo non sia stato un superamento completo della tradizione cristiana. Anche perché, avverte Weigel, senza una dimensione religiosa l'impegno per la libertà umana risulta attenuato, debole, vago. Gli europei credono nella libertà e nella democrazia, ma non fino a mettere in gioco il proprio sistema di vita nel caso altrove, come in Jugoslavia o in medio oriente, ci sia la necessità di difendere quei valori».
C'è molto su cui tornare a riflettere.

Giving Pope Ratzinger a chance

Papa benedetto XVINel commentare l'elezione di Papa Ratzinger una "lezione" ci viene da Marco Pannella. Riconosce la statura dell'ex Prefetto della Fede, non lo qualifica come "Nemico", gli porge i suoi «Papa Joseph, auguri!», non esclude che il suo Pontificato possa riservare delle sorprese:
«Riserverà di certo molte sorprese a chi continua a guardare alla realtà della religiosità e della laicità del nostro tempo non come un nuovo unicum che potenzia in modo straordinario entrambe le sue radici, ma con riferimenti tradizionali ai poteri e potenze confessionali tra di loro considerate impermeabili se non contrapposte o nemiche... Non mi sembra potersi affatto escludere che egli possa realizzare al più presto anche "riforme" sconvolgenti... E' dannoso e ingiusto non riconoscerne l'indubbio peculiare suo valore e la forza grande della sua personalità... perché escludere che dal progetto da lungo elaborato, che oggi ha mostrato una perfezione quasi militare, e non siano prossimi, l'evocazione o il preannuncio di un Concilio Vaticano III?».
Tutto ciò resta possibile, nonostante la realtà di una «via maestra» in cui la Chiesa è saldamente inserita.
«Nella via maestra della Controriforma e di una "Chiesa" che regni e governi, al posto di Cesare, gli affari e il potere del mondo. Sarà più presente che mai nel passato la forza, la cultura, la teologia e il potere bellarminiano contro il Nemico, contro il "relativismo" di Giordano Bruno, della Riforma, contro la Religione della libertà e della responsabilità».
Poetica e profetica la conclusione:
«Il tramonto di una storia tragica del Potere si presenta infuocato, fiammeggiante, di nuovo illuminata da parole, illusioni e assolutismi, del tentativo possente di una nuova, Grande ControRiforma, che, in nome della Vita continuerà, tornerà a minacciare le vite umane».
Le perplessità e il pessimismo che hanno travolto alcuni di noi alla notizia dell'elezione di Ratzinger possono essere ricondotte a due questioni cruciali che riguardano da una parte il pensiero di Ratzinger con la sua battaglia contro la «dittatura del relativismo» e dall'altra la Chiesa Cattolica intesa come istituzione oggi, che sempre più «dimentica la sua missione essenziale» (l'annuncio del Vangelo) concentrandosi sulla Morale, ponendosi come legislatore il cui compito è stabilire obblighi e divieti, quindi attenta all'Osservanza più che alla Fede. Rispetto alla prima questione è decisivo capire quale sia la definizione ratzingeriana di relativismo. I motivi di inquietudine sono bene illustrati da 1972.
«Il liberalismo è inserito da Ratzinger tra le correnti ideologiche che hanno contribuito al formarsi di quella dittatura del relativismo giustamente denunciata come uno dei più letali mali della società occidentale. Purtroppo è un passaggio-chiave e non si può far finta di non averlo letto. Chi ha sempre considerato l'individuo come la misura laica (e per chi vuole perfino religiosa) di tutte le cose, valutando il grado di decenza di una società dal rispetto dei diritti e delle libertà personali (inclusa quella religiosa) e vedendo proprio nel liberalismo l'argine più solido contro relativismo e nichilismo, non può accettare la propria riduzione alla stregua di ideologie che l'individuo hanno costantemente annullato e umiliato».
Tra gli articoli che ho letto (Qui una selezione di commenti usciti sulla stampa italiana), il più convincente nella critica dell'omelia di Ratzinger, e fuori dal coro dei giornali di oggi, è quello di Massimo Adinolfi (Azioneparallela) su il Riformista, che introduce il concetto di «relativamente valido» e pone degli interrogativi che di fronte a questo Papa ci dobbiamo porre. E' vero o no, si chiede, che l'Occidente non riconosce più nulla di definitivo nella dimensione del valore? E' proprio vero che all'uomo di oggi manca il senso della misura? O piuttosto Ratzinger teme che quella misura abiti all'interno e non sia indicata dall'esterno dell'individuo?
Primo. «Se l'io è l'ultima misura, cioè la misura definitiva, qualcosa di definitivo il relativista lo riconoscerà pure: il suo io. E cioè, per dirla chiara, la libertà di pensiero (la libertà di pensarla come si vuole), la libertà di coscienza, e insomma i diritti fondamentali dell'individuo che costituiscono il lascito più prezioso della modernità».
Secondo. «Nessuno di noi si comporta di fatto come se per lui questo o quello pari fossero. Ognuno compie le sue scelte, e a queste scelte liberamente si lega... Per lo più, certo: secondo i limiti propri dell'umana natura. Ma bisogna avere un po' più di fiducia negli uomini, quella fiducia che forse al papa Ratzinger manca, e non pensare ciò che in punta di fatto è semplicemente falso: che cioè in mancanza di una definitiva misura esterna (e di quella sola misura che il papa riconosce come tale, il Figlio di Dio, nella sola versione che Ratzinger, che è custode dell'ortodossia, riconosce come ortodossa: quella cattolica), l'uomo non sia capace di darsi una propria misura. E, soprattutto, non bisogna pensare che darsi da sé la propria misura significhi non darsela affatto».
E ciò che non ha validità assoluta non ha per ciò stesso alcun valore?
«Ha una validità relativa, è relativamente valida: il che non significa che sia assolutamente invalida, e che dunque l'uomo, in conseguenza di ciò, sia condannato a un indifferentismo eticamente scandaloso». Va letto tutto.
Se non è affatto fondamentalismo «avere una fede chiara secondo il credo della Chiesa», ma volerla imporre, Adinolfi ammetterà l'incidenza nel mondo di oggi di un laicismo (che è negazione della laicità) che vede nella fede cristiana comunque un fondamentalismo, e di un relativismo che vuole imporre una «dittatura» nella misura in cui rende politically correct un atteggiamento di indifferenza rispetto a valori e culture diverse. A sostenere ciò con argomenti di cui bisogna tenere conto è il blog Le Guerre Civili. La peculiarità europea è quella di aver visto contrapporre al potere temporale della Chiesa un laicismo egli stesso «incapace di pensare davvero alla separazione dei poteri tra fede e stato», provocando così la reazione disperata e "clerico-fascista" della Chiesa. Ma «in alternativa ci si deve rassegnare a un melting pot forzoso ed eterodiretto, quindi sterile»?.

Paolo della Sala è convinto che quella di Ratzinger sia una chiesa «spirituale», «contrapposta a quella "politicizzata" vagheggiata in Eurabia, la migliore garanzia di una non-ingerenza nella politica». Non è il solo a sottolineare questo aspetto di Ratzinger, che lo distinguerebbe, per esempio, dai cardinali italiani. Leggiamo cosa dice in proposito Harry:
«Se leggi "Senza radici", il saggio che il Papa ha scritto con Marcello Pera... potrai notare che il Pontefice ammira il sistema dei rapporti Stato-Chiesa/e presente negli Stati Uniti, che ritiene più giusto di quello europeo (e questo può sorprendere chi teme chissà quali ingerenze del nuovo Papa nella vita politica italiana: viceversa, il capofila dei cosiddetti "progressisti", l'eccellente cardinale Martini, quand'era arcivescovo di Milano era solito muovere l'intera diocesi in occasione delle elezioni politiche)».
Dobbiamo dire che su questo Harry può avvalersi di ciò che proprio oggi ha scritto sul New York Times il teologo americano Michael Novak, cercando di smentire lo stereotipo di Papa ultra-concervatore affibbiato a Ratzinger. L'argomento è suggestivo:
«One of Cardinal Ratzinger's central, and most misunderstood, notions is his conception of liberty, and he is very jealous in thinking deeply about it, pointing often to Tocqueville. He is a strong foe of socialism, statism and authoritarianism, but he also worries that democracy, despite its great promise, is exceedingly vulnerable to the tyranny of the majority, to "the new soft despotism" of the all-mothering state, and to the common belief that liberty means doing whatever you please. Following Lord Acton and James Madison, Cardinal Ratzinger has written of the need of humans to practice self-government over their passions in private life». Leggi tutto
Molto meno convincente Novak in un articolo del giorno prima, su National Review. Anche stavolta fornisce su Ratzinger una rassicurazione a cui vorremmo tanto credere, leggete qua:
«What Ratzinger defends is not dogmatism against relativism. What he defends is not absolutism against relativism. These are false alternatives. What Ratzinger attacks as relativism is the regulative principle that all thought is and must remain subjective. What he defends against such relativism is the contrary regulative principle, namely, that each human subject must continue to inquire incessantly, and to bow to the evidence of fact and reason.

The fact that we each see things differently does not imply that there is no truth. It implies, rather, that each of us may have a portion of the truth, and that in this or that matter some of us may hold more (or less) truth than others. Therefore, since each of us has only part of all the truth we seek, we must work hard together to discern in all things wherein lies the truth, and wherein the error».
Ma poi si sbaglia di grosso quando vede il relativismo nel nazismo e nel comunismo: in queste ideologie, spiega, dove non esistono verità e moralità è impossibile denunciare la menzogna e l'ingiustizia perché conta solo la volontà del potere. Come no, troviamo Nietsztche in entrambe (tutto relativo, conta solo la volontà), ma l'impossibilità in questi regimi, come oggi nell'Islam radicale, di denunciarne la menzogna e l'ingiustizia, non è un effetto del vuoto di valori, piuttosto di un troppo pieno, dell'assolutismo di un elite che si ritiene depositaria di verità assolute e definitive, addirittura spacciate per «scientifiche». E qui torniamo al pericolo di una verità definitiva della cui mancanza si lamenta questo nuovo Papa. Osserva a proposito Adinolfi:
«Benedetto XVI saprà che i peggiori giorni (per fortuna non gli ultimi) dell'umanità sono stati quelli vissuti in tempi nei quali trionfava l'opposto di un fiacco e pavido relativismo. Se è così, è difficile dire che è senz'altro un male non riconoscere nulla di definitivo, visto che a volte qualcosa di definitivo lo si è riconosciuto, e non è stato un bene».
La Chiesa, Wojtyla in effetti si espresse in questo modo, riconosce le libertà liberali in contrapposizione ad altre culture nemiche della Chiesa. La diffusione dei totalitarismi del '900 ha ulteriormente convinto la Chiesa che un sistema politico liberale è il migliore sulla piazza nella tutela dell'individuo, del pluralismo sociale... soprattutto della libertà religiosa dei cattolici... ma ha veramente fatto pace con il liberalismo o continua a vederlo come una minaccia? Se Novak vedesse giusto sarebbe un elemento di rassicurazione per noi laici e liberali, ma è veramente così? Ascoltando Ratzinger non sempre abbiamo avuto questa impressione, questo ci si dovrebbe concedere. Dunque che cosa intenda Benedetto XVI quando parla del relativismo di cui è tanto spaventato non è ancora chiaro e credo che dovremo aspettare per esserne certi.

Rimane però una seconda questione, che riguarda in generale la Chiesa come istituzione e le posizioni espresse fino a oggi da Ratzinger come Custode della Dottrina. La pratica viene istruita da Antonio Tombolini, ex vicepresidente dell'Azione Cattolica:
«La Chiesa ufficiale, nelle sue espressioni gerarchiche, sempre più dimentica la sua missione essenziale, la sua stessa ragion d'essere: l'annuncio del Vangelo. E sempre più preferisce concentrarsi sulla Morale, ponendosi come legislatore, il cui compito è stabilire obblighi e divieti, ciò che si può fare e ciò che non si può fare.

E' così, attraverso questa deriva, attraverso questa vera e propria eresia, che la Chiesa ufficiale finisce per ritrovarsi lontana da tanti cristiani credenti (tali in virtù di fede, perché credono in Dio), e a fianco invece di una nuova categoria, di successo crescente: i cristiani non credenti, gli "atei devoti" alla Giuliano Ferrara, o i "cristiani atei" alla Oriana Fallaci. Dimenticata la Fede, non resta che la vuota e triste Osservanza. E una Chiesa sempre più potente, quanto più dimentica del suo Dio».
Si tratta della "reazione" scomposta e disperata della Chiesa di fronte alla minaccia del relativismo. Teme la libertà di coscienza del fedele proprio perché ha in mente non la fede ma l'osservanza. Siamo sicuri che difendere strenuamente la dottrina morale e sociale della Chiesa, contro il vissuto dei credenti stessi, di quel sensus fidelium che la teologia stessa ha ritenuto per secoli presupposto convalidante di ogni dottrina, equivalga a difendere i principi della Fede, ad annunciare il Vangelo?

Il gay-conservative Andrew Sullivan ha usato parole di fuoco contro l'elezione di Papa Ratzinger.
«This was not an act of continuity. There is simply no other figure more extreme than the new Pope on the issues that divide the Church. No one. He raised the stakes even further by his extraordinarily bold homily at the beginning of the conclave, where he all but declared a war on modernity, liberalism (meaning modern liberal democracy of all stripes) and freedom of thought and conscience.
(...)
His views on the subordinate role of women in the Church and society, the marginalization of homosexuals (he once argued that violence against them was predictable if they kept pushing for rights), the impermissibility of any sexual act that does not involve the depositing of semen in a fertile uterus, and the inadmissability of any open discourse with other faiths reveal him as even more hardline than the previous pope. I expected continuity. I didn't expect intensification of the fundamentalism and insularity of the current hierarchy
(...)
And so the Catholic church accelerates its turn toward authoritarianism, hostility to modernity, assertion of papal supremacy and quashing of internal debate and dissent».
Sullivan però contesta i non-cattolici che gli rispondono: "Beh, cosa ti aspettavi? La Chiesa non cambia mai". Ebbene, la Chiesa ha fatto molti cambiamenti negli ultimi decenni, il problema non è il cambiamento in sé, ma discutere i propri temi e il proprio futuro, è l'«ossigeno», l'apertura al dibattito fra i cattolici laici, i preti e i teologi. Le aspettative di cambiamento espresse dai cattolici, scrive Sullivan, non sono così radicali se viste nel contesto del cambiamento dell'ultimo mezzo secolo. Nessuna è materia dell'infallibilità papale o principio di fede:
«... the ability for lay Catholics and indeed priests and theologians to be able to debate respectfully such pressing issues as mandatory celibacy for the priesthood, a less rigid biological understanding of the rights and dignity of women, and a real dialogue with gay Catholics about how we can practically live lives that reflect our human dignity and our profound human need for intimacy and sexual expression... greater autonomy for national churches, a respect for political secularism, and a more open hierarchy that cannot get away with a criminal conspiracy to hide the widespread sexual abuse of children and teens».
Lo schema secondo cui Ratzinger rappresenterebbe l'ortodossia e i suoi critici la rivoluzione è mistificatorio. Piuttosto è la visione di Ratzineger sulla libertà di pensiero all'interno della Chiesa a essere profondamente autoritaria.
«But he is Pope now. And fairness suggests we should wait and see. I can only say that I do so with dread and fear».
In concreto: sacerdozio femminile, celibato dei preti, bioetica, famiglia, omosessualità, morale sessuale (e non solo uso di metodi contraccettivi, ma anche sesso prima del matrimonio). I credenti dovrebbero trovare nella Chiesa una guida spirituale caso per caso o ricevere obblighi e divieti lontani dal loro vissuto e responsabili di un vero e proprio «scisma sommerso», dell'ipocrisia di una doppia morale? Non si tratta di convincere la Chiesa ad abbracciare il liberalismo, le novità dei tempi, ma di credere possibile una Chiesa che sappia riscoprire la potenza dell'annuncio del Vangelo rispetto al potere del divieto. Soprattutto, una Chiesa che si affidi alle coscienze dei fedeli, indicando il peccato, ma senza pretendere che sia reato per tutti i cittadini. Vedremo su questo come si tradurrà in pratica il primo slogan ratzingeriano: «Verità nella carità».