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Monday, April 11, 2005

Ritrovare il fascino del Cav. solitario

Alla CdL non servono «camerieri», ma una classe dirigente capace di edificare la cultura politica di una nuova destra, necessario collante per l'«unità dei conservatori tradizionalisti (An, Udc, Lega) e dei liberali innovatori (Forza Italia)»

Il consiglio più interessato, ma anche il più suggestivo a Berlusconi su come uscire dalla sconfitta elettorale è giunto da Francesco Merlo, su la Repubblica, per il quale il Cav., per recuperare il «fascino seduttivo» del perdente agli occhi degli elettori, dovrebbe abbandonare tutto e rimettersi nelle mani del popolo sovrano. Per spiegarsi prende in prestito la metafora del cowboy americano «che, dopo avere aggiustato le cose, se ne va com'era venuto, si allontana nella solitudine della prateria lasciando amori, famiglie, terre, rendite elettorali...». In effetti, Berlusconi dovrebbe forse tornare cavaliere solitario, marcare le distanze da quegli amici che «hanno la faccia dei nemici» e che da tempo tramano contro le sue idee di rinnovamento della società. D'altra parte, i nemici in queste ore non chiedono affatto elezioni anticipate, sembrano consapevoli che un Berlusconi inchiodato sulla poltrona del comando, «sfigurato nell'acidità», nel bunker, sarebbe «il loro lievito».

Massimo Teodori su Il Giornale prova un'analisi convincente della sconfitta elettorale: la «caduta verticale di fiducia, di speranza e di aspettativa per la carica trasformatrice del movimento messo in moto da Berlusconi». Che fare ora? Berlusconi può riuscire in un anno - ammesso che lo voglia - a ricostruire quelle aspettative? Se la risposta è negativa meglio votare - e perdere - subito, rivestendo i panni del "perdente", sconfitto più che dai suoi nemici dai suoi amici, che si sono opposti in questi 4 anni al progetto di «portare il Paese fuori dal conservatorismo corporativo, sindacale, assistenzialista, consociativo e statalista». Sulle macerie di tale onorevole sconfitta, come ha sottolineato Panebianco, sarebbe possibile ricostruire un'alternativa di governo e lasciare un'eredità politica.

Su tali aspettative riformatrici, Forza Italia aveva attirato un elettorato «non di sinistra ma dinamico, innovatore, urbano, tendenzialmente laico nei comportamenti privati e socialmente produttivo, interessato alla modernizzazione e all'innovazione, un settore sociale che può essere definito "liberale" o dalle aspettative liberali». Ha fallito Berlusconi, perché «l'unità dei conservatori tradizionalisti (An, Udc, Lega) e dei liberali innovatori (Forza Italia)» aveva bisogno come collante di una cultura politica nuova per tutta la destra (liberale e conservatrice) e non solo della figura carismatica del leader e dei suoi portaborse.

La linea Fanfani-Almirante, attualizzata al 2000 (o Follini-Fini), sta quindi per prevalere nella coalizione, avendo ridotto ai minimi FI e preso a schiaffi pubblicamente il presunto "duce" Berlusconi, ma porta la destra alla sconfitta nel confronto con il centrosinistra, allontanando da sé quell'elettorato «che ha sempre fatto la differenza tra destra e sinistra spostandosi con il suo voto pragmatico, orientato dal giudizio specifico più che dall'appartenenza ideologica». Del resto, ricorda Teodori:
«De Gasperi volle, fortemente volle la collaborazione con i laici su una piattaforma liberale respingendo al mittente l'integralismo vaticano. mentre il centrodestra insegue la legittimazione delle gerarchie ecclesiastiche nell'illusione di catturare i cosiddetti voti cattolici (che in realtà sono già tutti e definitivamente collocati), non capisce che sta perdendo la fiducia di una larga parte del suo elettorato più dinamico, moderno, e quantitativamente determinante».
In conclusione Teodori è impreciso quando invoca «una radicale svolta liberale», dovrebbe piuttosto invocare una svolta liberale e "radicale".

Anche Angelo Panebianco sul Corriere della Sera ha avvertito il premier sugli effetti disastrosi di un anno vissuto «da ultimi giorni nel bunker».
«Alla fine, le elezioni sancirebbero l'inevitabile: una sconfitta campale del centrodestra, il disfacimento irreversibile della coalizione per effetto della fine politica del suo inventore e federatore. Ed è qui che entra in gioco anche l'interesse del Paese. Al quale andrebbero risparmiate le convulsioni di un anno di agonia del governo e, ancora di più, la scomparsa del centrodestra, oggi come maggioranza e domani come credibile opposizione. Poiché la democrazia, come è ovvio, necessita sia di una forte sinistra sia di una forte destra. E quest'ultima, se Berlusconi esce di scena in malo modo, in modo rovinoso, forse non esisterà più per chissà quanti anni a venire».
Il conflitto di interessi e le promesse irrealizzabili non sono tra le prime cause dell'odio nei confronti di Berlusconi, quanto invece quei meriti che i suoi avversari, dentro e fuori la CdL, sono quasi riusciti ad azzerare:
«La visione dinamica e ottimista di chi scommette sul liberalismo economico, sulle virtù dell'individualismo, sulla moralità del profitto, sulla centralità, civile e non solo economica, dell'impresa e del mercato. Tutto questo è oggi a rischio. Se Berlusconi uscirà di scena malamente, dopo un anno di calvario, sperperando il suo intero patrimonio politico, e trovandosi nell'impossibilità, dopo la sconfitta, di pilotare la propria successione, non ci sarà rimedio: la destra di governo si scioglierà come neve al sole, lasciando dietro di sé solo piccoli gruppi politici, divisi, rissosi e impotenti».
Sempre sul Corriere, Ernesto Galli della Loggia centra un altro degli aspetti che ha impedito alla CdL di edificare una cultura politica della destra in Italia.
«La sua pressoché totale incapacità di stabilire rapporti positivi con il mondo a lei esterno, di influenzare, di attrarre, in una parola di essere inclusiva... la destra sta al governo come dentro un fortino. Pur disponendo dell'esercito numericamente più forte, vive nella condizione dell'assediato», invece di «mirare ad avere degli amici», cerca dei «camerieri».
«La destra, si direbbe, non è sicura delle proprie buone ragioni e delle proprie capacità di farle valere al di fuori di un rapporto servo-padrone».

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