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Friday, April 15, 2005

Lo stadio è il "centro sociale" dei fascisti

E me lo aspettavo che interveniva lui, Fausto Bertinotti (intervistato oggi sul Corriere della Sera) ad assicurarci che contro la violenza negli stadi la «repressione è inutile». La colpa è della riduzione del calcio a "indutria", eppoi c'è sempre una spiegazione socioeconomica, o psicopolitica: «La violenza è più nella visione del mondo della destra». Sono i poliziotti che «debbono esibire la loro presenza il meno possibile, ridurre il rischio».

Se provassi io un'interpretazione sociopolitica? Sono due i maggiori luoghi di totale assenza di diritto: gli stadi e i centri sociali. Nei primi si sfogano i fascisti delle curve, emarginati - per fortuna - dalla vita sociale e politica delle città, a cui si concede di ricattare il mondo del calcio; nei secondi bivaccano e gozzovigliano i violenti dell'estrema sinistra, neo e post-comunisti, anarco-insurrezionalisti, no global e disobbedienti. Questi, incoraggiati e coccolati dalle amministrazioni locali, si sfogano nelle piazze e nelle strade, distruggendo tutto ciò che incontrano, in occasione di vertici internazionali. Sono quelli degli slogan anti-americani, anti-israeliani, quelli che inneggiano all'intifada, ad Hamas, alle "10, 100, 1000 Nassiryia".

D'altra parte, sempre sul Corriere, Giorgio Tosatti avverte giustamente che minacciare la sospensione delle partite al primo oggetto lanciato in campo dalle tifoserie non ha senso se nessuno, né i club né le forze dell'ordine, ha i mezzi per impedire che avvenga. E' una minaccia che ha il solo effetto di «aumentare il potere ricattatorio di queste bande».
«Interrompere le partite e punire i club servirebbe a ben poco se gli autori del reato non venissero adeguatamente puniti. Come, in pratica, succede adesso. Si preveda una pena per chi provoca l'interruzione di una gara sportiva, ne altera il risultato, provoca danni a chi l'organizza».
Repressione normativa e, se necessario, poliziesca, di un fenomeno mai afforontato e combattuto veramente.

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