Dalle tasse alle riforme: un «tavolo dei volenterosi» per spostare il baricentro della Finanziaria
«E' la Finanziaria che chiedevamo». Parola di Guglielmo Epifani, segretario generale della Cgil. L'entusiastica accoglienza dei sindacati definisce la Legge Finanziaria appena varata dal Consiglio dei Ministri meglio di qualsiasi analisi sulle cifre, delle tante interpretazioni e dei dibattiti che in questi giorni si celebrano.
Scrive Guido Gentili, su Il Sole24 Ore, che il «significato politico» della manovra «sta nel "patto" di ferro con le grandi organizzazioni sindacali e con la Cgil in particolare (...) Un "patto" che si allarga peraltro ad alcune grandi imprese, a partire da Fiat». La pioggia di tasse; l'esproprio del Tfr; la mobilità lunga concessa alla Fiat in deroga alla riforma delle pensioni di Maroni; il raddoppio dei fondi per il rinnovo dei contratti dei dipendenti pubblici; l'assenza di riforme strutturali e incisive sui quattro pilastri della spesa pubblica (pensioni, sanità, enti locali, pubblico impiego). Sono tutte "pistole fumanti" di quel patto.
Pistole sulle cui impugnature sono ancora evidenti le impronte digitali delle realtà oligarchiche del nostro paese: grande industria (leggi: Fiat), banche, sindacati. Con questa Finanziaria si rinsalda quel compromesso storico tra grande industria e sindacati che da ottant'anni stritola l'Italia. Un blocco di potere che in perfetta continuità con lo Stato corporativo fascista danneggia l'interesse generale e spreme le risorse del paese.
Ds e Margherita, i partiti che avrebbero dovuto tenere salda la barra riformista dell'azione di Governo, con impareggiabile faccia tosta hanno fatto quadrato intorno alla Finanziaria. Punteranno a ottenere al massimo piccole correzioni che senza stravolgere l'impianto generale della manovra possano rappresentare delle bandiere di partito da sventolare dinanzi all'opinione pubblica. Tra i giornali, la Repubblica ha cercato di mettere qualche toppa, mentre Corriere della Sera, Sole 24 Ore e Riformista sono stati più critici.
Chi ha sperato, come noi, che Tommaso Padoa Schioppa potesse costituire un punto di riferimento per quella ferma barra riformista, deve riconoscere che l'euroburocrate con questa manovra ha perso la faccia. «Non ci siamo, non ci siamo proprio». Così, Daniele Capezzone, da presidente della Commissione Attività produttive della Camera, ha espresso apertamente, tra i pochi, forse l'unico nella maggioranza, il proprio dissenso nei confronti delle argomentazioni di TPS, il quale, illustrando la Finanziaria alla Camera, ha dato prova ieri di aver rapidamente appreso le arti demagogiche di certa sinistra conservatrice.
E i riformisti nel centrosinistra? Per loro sembra valere l'acuta osservazione del professor La Manna, ricordata ieri da Castaldi in una lettera al Riformista: «Il riformista è quel tale col quale e senza il quale l'Italia rimane tale e quale». E i liberali? Gli Ichino, i Boeri, i Debenedetti, i Salvati e i Morando, cui va riconosciuta grande moralità e coerenza, sembrano essersi rassegnati a veder finire tutte le loro idee e i loro studi nel nulla.
E i radicali? Se l'analisi è quella che facevamo all'inizio, se questo è il giudizio sull'operato della coppia Prodi-Padoa Schioppa, cosa si aspettano quanti hanno votato i radicali scommettendo, con Pannella & Co., sulla Rosa nel Pugno e, di conseguenza, sull'Unione come «alternanza» necessaria a garantire spazi e speranze di «alternativa» rispetto a un sistema le cui due articolazioni non sono che cosche speculari della stessa mafiosità partitocratica (da una parte i corleonesi, dall'altra i palermitani)? Cosa si aspettano dai rappresentanti che hanno eletto in Parlamento, e dalle personalità entrate a far parte della compagine di Governo? Esattamente ciò che gli era stato promesso.
Se non vogliono ridursi anche loro al ruolo degli "utili idioti", i radicali dovrebbero abbandonare ogni complesso di inaffidabilità, ricordarsi che la ragione prima della loro presenza nelle istituzioni è la conquista di pezzi di «alternativa». Giochino a tutto campo, e senza complessi, il ruolo di cuneo liberale all'interno della maggioranza e di ponte tra le sensibilità più liberali del centrosinistra e del centrodestra, mirando con chiarezza al raggiungimento di obiettivi di riforma.
E' la strada che sta tentando di percorrere Daniele Capezzone con la costituzione del «tavolo dei volenterosi», che mette insieme i liberali dei due schieramenti per lavorare a «modifiche bipartisan», a «un ripensamento della manovra, spostando il baricentro dalle tasse alle riforme di struttura».
Ma il centrodestra? Va bene l'opposizione intransigente, vanno bene le manifestazioni di piazza, ma si limiterà agli insulti e alle polemiche? Rincorrerà l'estrema sinistra sul suo terreno, denunciando un po' ridicolmente, come ha osservato Ferrara, la «macelleria sociale»? Non sarebbe forse un atteggiamento più responsabile, ed elettoralmente conveniente, un impegno concreto, costruttivo, per non abbandonare il paese a questa sciagurata Finanziaria?
Registriamo l'apertura di Sandro Bondi: «Siamo pronti nell'interesse del Paese ad accogliere l'invito al dialogo di Capezzone, nella speranza che possa prevalere il buon senso e che questa manovra che scontenta tutti possa essere profondamente rivista e corretta in Parlamento». Tuttavia, sarebbe ingenuo sottovalutare l'eventualità che il gioco del centrodestra possa essere quello di dirsi disponibile al dialogo per poi far ricadere la colpa della rottura sull'intransigenza della sinistra. Così come l'interesse del centrosinistra potrebbe essere quello di farsi vedere disponibile al contributo dell'opposizione per poi denunciarne gli intenti solo distruttivi.
Lo spazio di manovra dei radicali, tra i rispettivi opportunismi, è ristretto. Eppure, obbligato. Siamo di fronte a una Finanziaria alla quale non sarebbe sufficiente apportare alcune correzioni. Occorre ribaltarne la logica: dalle tasse alle riforme strutturali sulla spesa. Dunque, anche per non dare alibi, e per rendere politicamente costoso l'abbandono del terreno di confronto, occorre mettere sul tavolo poche, ma sostanziali questioni: accantonare misure come la rimodulazione delle aliquote Irpef targata Visco, il trasferimento forzoso del Tfr all'Inps, la mobilità lunga concessa in deroga alla Fiat; reinserire, invece, l'innalzamento dell'età pensionabile.
Obiettivi ambiziosi, ma se i radicali dessero l'impressione di inserirsi nel gioco delle parti, o di mirare a risultati di facciata, verrebbero meno all'impegno preso con i propri elettori, perderebbero ogni credibilità rispetto alla ragione, da essi stessi dichiarata, della loro presenza parlamentare: una postazione, un fronte, dal quale rilanciare continuamente la sfida per l'«alternativa» liberale. Sulla Cina come sulla Finanziaria non è una funzione dalla quale, soprattutto per i radicali, si può abdicare senza conseguenze negative.
Sarebbe certo velleitario, oltre che ridicolo, che i radicali, o anche la Rosa nel Pugno, sbandierassero ricatti dinanzi al Governo o all'Unione, non essendo numericamente determinanti alla Camera e assenti al Senato. Tuttavia, per essere credibili nello spazio politico entro il quale si vuole agire, occorre dirsi - e dire - che se l'impianto della Finanziaria dovesse rimanere quello uscito da Palazzo Chigi, non potrebbe raccogliere il voto della piccola pattuglia radicale.
Da «ultimi giapponesi» di Prodi, e avendo dato prova di lealtà nei confronti della coalizione, seppur non ricambiata, è questo il momento, come sottolineava anche Vecellio, di marcare «un segno (e un segnale) di distinzione», e di farlo alzando il tiro sui contenuti. Frenarsi, moderarsi, per timore di venire incasellati nel mastellismo o nel dipietrismo vorrebbe dire resa culturale, cedimento ai luoghi comuni utilizzati negli ultimi 20 anni dal regime per neutralizzare l'"eccezionalità" radicale, non essere più convinti che le battaglie di cui si è portatori costituiscano davvero dei punti qualificanti di un'«alternativa» liberale, socialista, laica, radicale.
Tra il rischio di apparire «inaffidabili» agli occhi di chi comunque continua a mostrare atteggiamenti pregiudizialmente ostili nei confronti dell'apporto e dei temi radicali, e il rischio di "normalizzazione" prodiana, non vi è dubbio su quale sia quello da evitare.
6 comments:
Permetti? Hai scritto la demolizione della linea Pannella degli ultimi 20 mesi.
Traine le conseguenze e le traggano pure gli altri se non vogliono avvitarsi in una spirale di declino immediato.
Il radicalismo pannelliano è al capolinea.
Lo era già a Gennaio 2005. Adesso è finito.
che fare?
la rivoluzione, con la pancia piena...non la fa più nessuno...
due incisi, a proposito del ministro ogm, un poco padoa ed un poco schioppa, un poco jeckil e un poco hide...
<< ma perché i liberali non si fanno un loro partito, e non si misurano con il consenso, invece di nascondersi nella sinistra, che per vocazione dovrebbe essere estranea alla cultura dei liberali? >> Fausto Bertinotti, neo presidente della camera, rivolto a De Benedetti.
<< il comunismo è incompatibile con la libertà >> Walter Veltroni 13 Gennaio 2000.
ma padoa è compatibile con schioppa???
ciao.
io ero tzunami...
Non dico che spero nel ritorno di Berlusconi. Dico solo che questo Governo deve andare a casa subito e per il bene di tutti. Anche di quelli che l'hanno votato e non se ne rendono conto perchè imbambolati da decenni di ideologico Stato assistenziale e di comoda deresponsabilizzazione individuale.
Adesso il Pecoraro ha dichiarato che effettivamente la Fin.2007 va modificata. Già! Non più esenzione bollo per due anni per i diesel euro4, ma tickets per i dipendenti pubblici da spendere sui mezzi pubblici!!!
Se non è costruttivismo questo!!! Se questa non è ingegneria sociale!!!
Ma che gliel'hanno dato a fare il cervello ed il libero arbitrio agli uomini?
Adesso sei pure qui: http://www.autoblog.it/post/5369/il-ministro-i-diesel-euro-4-non-vanno-agevolati#231759
al 209
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