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Tuesday, October 17, 2006

Peggio i teodem dei cugini teocon

Teodem, ovvero clerico-solidaristi

Dal seminario organizzato lo scorso week end dall'anima cosiddetta "teodem" della Margherita, nella prospettiva del Partito democratico, sono uscite le parole d'ordine di coloro che in Italia si rivolgono alla Chiesa cattolica quale unica depositaria di valori nella società post-secolare. Paola Binetti, Luigi Bobba, Marco Calgaro, Enzo Carra e alcuni (ma non molti) altri hanno rivendicato un'azione a tutto campo, non limitata solo ai temi che rientrano nella categoria "Bioetica".

Persino un vecchio democristiano come Ciriaco De Mita ha ritenuto necessario impartire qualche improvvisata lezione di laicità: «Tenere conto del valore religioso ma non imporlo è stata la conquista più alta della laicità della politica. La politica è scienza strumentale, non teologia. Non possiamo immaginare di caricarla della funzione di formare le coscienze che spetta alla Chiesa... La suggestione che le istituzioni possano veicolare valori è illiberale: ai valori si può fare riferimento, non invocarli con le norme».

Luigi Covatta, su il Riformista di ieri, ha espresso tutta la sua delusione per l'esito dell'appuntamento, chiedendosi «quale sia l'originalità "teodem" nel valutare un fenomeno che i "teocon" hanno già egregiamente, tempestivamente e fragorosamente segnalato». Impietoso e sarcastico, Covatta conclude con il motto «sotto la bioetica quasi niente, se non un'arbitraria connessione fra sconfitta del comunismo e prospettiva del socialismo europeo».

Ingenerosa la sentenza di Covatta. In realtà, bisogna riconoscere, i teodem hanno elaborato ben nove «principi fondativi per il nuovo partito democratico»: una visione della libertà che consideri la persona «in relazione con gli altri»; un «rifiuto esplicito della guerra» e la «promozione della pace»; una «etica del limite» in materia di tecnica, scienza e vita; il sostegno al mercato inteso come «strumento di civilizzazione»; «la promozione dell'equità sociale»; una «forte autonomia dei corpi intermedi»; «un assetto delle istituzioni e delle regole elettorali» che ravvivi la partecipazione democratica; la valorizzazione della famiglia «fondata sul matrimonio come soggetto sociale»; e, infine, una «visione integrale [?] dei diritti umani».

Se è vero che sul fronte dei temi bioetici, della morale e della laicità, non è rintracciabile alcuna significativa differenza dai cugini teocon, bisogna ammettere che qualcosa in più, e di diverso, i teodem la offrono, ed in peggio. Fa sorridere, infatti, sentire affermare con toni orgogliosi e severi che i valori della Dc «non sono stati sconfitti come invece è avvenuto per il comunismo e le tante realizzazioni del socialismo», se poi logori richiami alla giustizia sociale e a una pretesa funzione etica del mercato vengono reinseriti nei nove «principi fondativi».

«Rifiuto esplicito della guerra»; «promozione dell'equità sociale»; mercato come «strumento di civilizzazione». Beh, scusate se è poco, verrebbe da dire. Entrambi statalisti sui temi bioetici, mentre i teocon alla Ferrara, alla Pera e alla Buttiglione, conservano, almeno nominalmente, un approccio anti-statalista nei confronti del libero mercato, i teodem si dimostrano statal-assistenzialisti in economia.

Sono, in questo, ben più in sintonia dei teocon con la Dottrina sociale della Chiesa, ribadita in modo teutonicamente chiaro nella prima enciclica di Papa Ratzinger: la Deus caritas est (25 dicembre 2005). Un'enciclica «socialdemocratica», come ebbe a definirla allora Oscar Giannino su il Riformista. Intrisa di pregiudizi anticapitalistici e anti-individualisti, rivela una concezione negativa del consumo, della merce e del denaro, intesi come mali necessari piuttosto che opportunità di benessere. Nell'argomentazione di Marx c'è del vero, sembra persino scrivere il Papa.

Ebbene, quella dei teodem sembra una base programmatica che corrisponde in modo più completo di quella dei teocon al magistero non solo morale ma anche sociale della Chiesa.

Di fondo, sempre la solita contraddizione. Il cattolicesimo è una religione. I cattolici impegnati in politica devono dirci una volta per tutte come si definiscono: se democratici o liberali, se comunisti o socialisti, se conservatori o addirittura reazionari. Ce n'è per tutti i gusti, possono essere di religione cattolica ma in Parlamento sedersi indifferentemente tra i progressiti, tra i conservatori o (più raro) tra i liberali. Quindi più che sapere la religione di appartenenza a me interesserebbe che mi si indicasse una categoria politica di riferimento.

In mancanza di un'autodefinizione, i teodem li chiamerei clerico-solidaristi, fattispecie ben più inquietante, a guardarla da un'ottica liberale, perché in essi il ruolo dello Stato non opprime i cittadini solo sui temi di bioetica e sui diritti civili, ma anche sulle libertà economiche.

In seguito, inoltre, immagino ci vorranno spiegare come pensano di conciliare i "non negoziabili" principi della democrazia, come la ricerca del compromesso e l'accettazione del volere della maggioranza, con gli altrettanto "non negoziabili" principi del magistero. L'impressione è che teocon o teodem da una parte, gerarchie ecclesiastiche dall'altra, da questo arruolamento di armate pontificie ciascuno trarrà il suo tornaconto molto molto negoziabile.

E a me viene in mente la celebre vignetta del grande Andrea Pazienza: quella che ritrae Papa Wojtyla in vestaglia, con un drink in mano, che medita scrutando il cielo stellato dalla sua terrazza e si chiede: "E se esistesse davvero?... Ma cosa vado pensando!".

4 comments:

Anonymous said...

Al di là del ciclonico cortocircuito insito nel rappresentare la contrapposizione tra laicità (spesso gabellata per "neutralità" in senso lato) e magistero di fede (controparte "invadente" dell'etica laica) come un conflitto tra principi "non negoziabili", riprendendo peraltro i passi meno felici del Dahrendorf citato nel precedente post, per gestire la collimazione delle proprie convinzioni personali con la Legge esistono molti modi. Uno, estremo, è quello della disobbedienza civile. Cioè più o meno quello che fanno i radicali, quando promuovono e organizzano spedizioni all'estero di turismo procreativo in funzione anti-legge 40.
Al fondo, mi rimane la convinzione che la soluzione laico/radicale alle problematiche di etica pubblica sia tutto fuorché super partes. L'utilitarismo e il consequenzialismo sono la base del positivismo giuridico, non di una fantomatica filosofia "neutra" del diritto.
Salvo poi, con sconcertante logica, dire che "la norma deve seguire il fatto" in materia di mutamenti sociali come le unioni alternative al matrimonio "classico". Un capolavoro di contraddizione guarnito da un atavico fraintendimento: il considerare i pronunciamenti papali alla stregua di manifesti politici. Non lo sono (a differenza di quelli di Ruini): essi forniscono un'indicazione teologica, dunque culturale.

Anonymous said...

...certo che come vedi la radice teo- ti viene l'orticaria...
io non sono credente, ma di tutti questi teo non me ne frega una mazza... Il vero problema è che siete romanocentrici... GM

Anonymous said...

Sembra che i teodem, per redigere i loro nove principi, abbiano guardato ai radicali e quindi preso l'esatto opposto.

Riccardo Gallottini said...

concordo..
p.s Ti ho linkato sui preferiti. :-) non lo avevo fatto