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Friday, December 28, 2012

Il più grande bluff dopo la Seconda Repubblica

Anche su Notapolitica

Che Monti - con praticamente tutti i pezzi più importanti del potere vero, in Italia e nel mondo, inginocchiati dinanzi a lui a implorarlo di candidarsi, quindi con carta bianca - abbia partorito questa agenda, così generica, senza un numero, una riforma concreta, porta a concludere che l'immagine del personaggio supera di gran lunga la sua statura reale - umana, intellettuale e politica.

Da uno come lui, con il suo curriculum, che dovrebbe conoscere il bilancio dello Stato come le sue tasche, per averlo "governato" in questi mesi così critici, ci saremmo aspettati proposte concrete, corredate da numeri, ipotesi di fattibilità, effetti. O per lo meno, il coraggio intellettuale di sfidare alcuni tabù, di raccontare agli italiani le scomode verità sul nostro modello sociale ed economico ormai insostenibile.

E invece niente di tutto questo. La cosiddetta "agenda Monti" è vaga, generica, retorica come qualsiasi programma scritto in politichese. Le uniche proposte che emergono con chiarezza sono la patrimoniale e il «reddito minimo di sostentamento». Senza cifre, ovviamente. Si parla di operazioni di «valorizzazione/dismissione» del patrimonio pubblico, ma senza specificare cosa, quanto e come, anzi con il primo termine a sfumare, quasi contraddire il secondo. Si parla di spending review, ma non solo nel senso di «meno spesa», piuttosto di «migliore spesa», che quindi va riqualificata, non necessariamente ridotta per ridurre il peso dello Stato inefficiente. Si parla di ridurre le tasse su lavoro e impresa, ma solo «quando sarà possibile», o quando sarà possibile introdurre una nuova tassa patrimoniale, cioè dopo che saranno stati individuati «meccanismi di misurazione della ricchezza oggettivi e tali da non causare fughe di capitale». Tutto questo è la classica retorica delle finte dismissioni, delle finte liberalizzazioni, della spending review sulle briciole.

Poi, i soliti capitoletti di politica industriale che da qualche anno non mancano in nessun programmino: agenda digitale, economia verde, «strategia energetica nazionale», investimenti in ricerca. Nemmeno una bozza di riforma della giustizia, delle istituzioni, della sanità, della scuola e dell'università (al massimo incentivi economici ai docenti meritevoli, ma a quelli incapaci?). Silenzio totale, nessun riferimento ai mercati finanziari e al settore bancario nostrano, «omissione grave - sottolinea Alberto Bisin - non solo perché vizia l'analisi» di fondo, ma perché «essendosi Monti da sempre occupato del settore bancario, sia accademicamente che come consulente, potrebbe segnalare una sorta di sottomissione ideologica e/o psicologica» sul tema.

Alla questione fiscale, il peso delle tasse che gravano su cittadini e imprese, che dovrebbe essere al centro del programma, vengono dedicate appena 13 righe su 25 pagine, mentre una pagina intera solo alle politiche agricole (su cui spicca l'approccio protezionistico del "liberale" Monti).

L'agenda quindi se la merita tutta la stroncatura di Alesina e Giavazzi sul Corriere:
«Per diminuire in modo significativo la spesa pubblica, e quindi consentire una flessione altrettanto rilevante della pressione fiscale, è necessario ridurre lo spazio che lo Stato occupa nella società, cioè spostare il confine fra attività svolte dallo Stato e dai privati. Limitarsi a razionalizzare la spesa all'interno dei confini oggi tracciati (la cosiddetta spending review) non basta».
Il problema non è che di «ridurre lo spazio che occupa lo Stato non si parla abbastanza» nell'agenda Monti, o che «non punti abbastanza al ridimensionamento dell'intervento pubblico»; è che proprio non è individuato come priorità, come questione centrale a cui tutte le politiche dovrebbero essere ispirate. E, d'altra parte, perché aspettarselo, se «finora il governo Monti si è mosso nella direzione opposta»? «Con un debito al 126% del reddito nazionale e una pressione fiscale tra le più alte al mondo - concludono i due economisti - non si può sfuggire al problema di ridisegnare i confini fra Stato e privati. Illudersi che sia sufficiente "riqualificare la spesa" con la spending review rischia di nascondere agli italiani la gravità del problema». Ancora più lapidario sembra il giudizio di Luigi Zingales, sul Sole:
«Non ci sono né nuove idee, né proposte concrete su come realizzare questi obiettivi... Non sembra un programma di riforme per un rilancio dell'economia, ma un programma per la protezione dei diritti acquisiti e di chi vive di spesa pubblica».
Insomma, siamo nel campo della mera manutenzione. Ragionevole quanto si vuole, ma pur sempre manutenzione. Non c'è traccia di quello shock che servirebbe al paese per ripartire e di cui scriveva lo stesso Monti nella sua vita precedente: da editorialista.

Tra i tanti micro interventi anche condivisibili, non viene messa a fuoco la questione centrale - il ruolo dello Stato, che deve ritrarsi per rilanciare l'economia - e si scorgono invece pericolosi ammiccamenti a sinistra, come la patrimoniale (per «redistribuire», non ridurre il carico fiscale), e promesse da vera e propria agenda dei sogni: «Ridurre a un anno il tempo medio del passaggio da una occupazione all'altra»; «coniugare il massimo di flessibilità delle strutture produttive con il massimo di sicurezza dei lavoratori». Bellissimo, ma come? E poi il colmo: lo stesso Monti che considera la proposta di abolire l'Imu sulla prima casa (4 miliardi) un'illusione tanto pericolosa da minacciare che un solo anno dopo dovrebbe essere reintrodotta in misura doppia, nella sua agenda propone di introdurre un «reddito minimo di sostentamento», senza tuttavia indicare i miliardi che servirebbero e dove prenderli.

Purtroppo di politico l'agenda Monti ha solo il fatto di preparare il terreno, sul piano dei contenuti, per un'apertura a sinistra dopo il voto. Monti avrebbe potuto rappresentare, e federare, un'alternativa di centrodestra liberale, degasperiano alla sinistra, e invece ha scelto un'operazione neo-democristiana di rito moroteo, di "compromesso storico" con gli eredi del Pci. I quali non vedono l'ora di coronare il loro sogno, che era quello di sostituirsi ai socialisti e ai partiti laici della Prima Repubblica nella condivisione/spartizione del potere con la Dc. Oggi ne hanno finalmente l'occasione, addirittura potendo trattare da forza egemone con una piccola Dc.

Le cose, mi pare, stanno esattamente nei termini esposti oggi da Angelo Panebianco sul Corriere, e su questo blog diverse volte nelle ultime settimane:
«Monti aveva, sulla carta, due possibilità. La prima era quella di proporsi, in polemica con un Berlusconi non più credibile in quel ruolo, come il federatore dei liberali, in alternativa alla sinistra. In nome di un bipolarismo meno "selvaggio", più civile, di quello che abbiamo conosciuto. Oppure poteva fare la scelta che ha effettivamente fatto: chiudere a destra lasciando aperta la porta, anche se a certe condizioni, al dialogo con la sinistra. Solo i fatti diranno se si è trattato di una decisione saggia. Al momento, si può solo constatare che con la sua scelta Monti ha fatto obiettivamente un grosso favore a Berlusconi. Perché gli ha lasciato aperta la strada per una rimonta. Cosa potrebbe infatti fare, a questo punto, quell'elettorato di centrodestra che è deluso, e magari anche delusissimo, di Berlusconi ma che mai, in nessun caso, potrebbe andare a braccetto con la sinistra? Quell'elettorato non ha di fronte a sé molte possibilità: o sceglie l'astensione o torna nell'ovile berlusconiano».
Dunque, rispetto ad un esito quasi scontato, cioè il dialogo o l'alleanza post-elettorale tra il centro "montiano" e il Pd di Bersani, si tratta di capire chi dalle urne potrà condurre la trattativa da una posizione di forza: se Bersani, nel caso riuscisse a conquistare la maggioranza dei seggi in entrambe le Camere, o se Monti, nel caso di pareggio al Senato. In ogni caso, il matrimonio tra centro e sinistra si farà e addio bipolarismo, è l'amara conclusione di Panebianco:
«Se Monti perde (cioè non riesce a essere determinante per la formazione del prossimo governo), vuol dire che rimarremo inchiodati al "bipolarismo selvaggio" conosciuto negli ultimi venti anni. Se Monti vince, ossia se potrà trattare con la sinistra, dopo le elezioni, da una posizione di forza, vorrà dire che avremo superato il bipolarismo, e ridato vita a qualcosa di simile a quei governi di centrosinistra, senza alternanza, che caratterizzarono la Prima Repubblica. Il bipolarismo responsabile lo faranno, se mai ci riusciranno, i nostri discendenti».

1 comment:

Anonymous said...

Monti è un bravo chirurgo, tiene in vita il paziente il più a lungo possibile anche in stato di putrefazione avanzato, ma la realtà è che il paziente è già morto, per questo piace tanto agli euroburocrati. L'Italia è un paese senza speranza, l'unica cosa che può tirarci fuori da questa impasse è la rivoluzione. Distruggere le caste, azzerare l'iva e le accise e tante altre tasse tagliando tutti quei mantenuti della amministrazione pubblica; poi ognuno per sé, come sempre.
Rebus