Pagine

Tuesday, December 11, 2012

Per le riforme serve un mandato politico

«Ci dice qualcosa sulla situazione della politica italiana che ciò che i mercati sembrano temere di più è una fiammata di democrazia. Ma forse la vera lezione qui è che l'Italia - e il resto d'Europa - ha bisogno di una classe politica capace di generare consenso popolare per le riforme, piuttosto che cercare costantemente di imporle dall'alto».
Saggia riflessione quella del Wall Street Journal nell'edizione odierna. Lo slancio riformatore di un governo tecnico, anche il più autorevole, non è durevole, le sue riforme non irreversibili e comunque parziali e insufficienti. Il quotidiano però boccia l'attuale offerta politica: Bersani resta inaffidabile, nonostante la rassicurante intervista proprio al WSJ, perché troppo «dipendente» dall'estrema sinistra, e di Berlusconi si ricorda «il fallimento nel mantenere le promesse», nonostante il «chiaro mandato» per le riforme liberali, e che oggi, elettoralmente, secondo i sondaggi, il suo partito vale la metà di quello di Bersani.

«Qualcuno - conclude il WSJ - ha visto in Monti un'occasione per realizzare con mezzi tecnocratici ciò che il corso ordinario della politica italiana aveva mancato di realizzare». Ma una vasta riforma dell'economia, perché sia accettata in democrazia, deve avere un «mandato». «Monti non ne ha mai avuto uno e quindi è stato limitato in ciò che ha potuto fare. Adesso, grazie alla credibilità a pezzi di Berlusconi, la destra riformista è priva di un serio leader proprio nel momento in cui l'Italia ne ha più bisogno».

Anche l'altro autorevole quotidiano finanziario, il Financial Times, non mostra il minimo rimpianto per la stagione dei tecnici, anzi «il ritorno della politica a Roma è benvenuto». «La parentesi tecnocratica era necessaria per aiutare l'Italia a restaurare la sua credibilità, ma solo un governo eletto avrà la legittimazione per completare le riforme di cui l'Italia ha bisogno». Certo, «sfortunatamente» l'offerta politica sembra «inadeguata allo scopo». Per diversi motivi, che possiamo facilmente intuire, il quotidiano boccia Berlusconi, Grillo, ma anche Bersani. Vede invece uno «spazio politico» per Monti: «La sua presenza nella contesa elettorale darebbe agli elettori maggiore scelta e porterebbe la qualità necessaria nella politica italiana». Da "grand commis" è preoccupato di perdere il suo ruolo super-partes. «Ma in questo passaggio critico, i suoi istinti liberali potrebbero essere un'alternativa vincente al populismo di Berlusconi e un utile contrappeso al dubbio spirito riformista dei Democratici», conclude il Ft, dando l'impressione di protendere per un Monti alternativo a Berlusconi ma complementare, invece, a Bersani.

Anti-montiano, invece, fino al punto di concedere all'odiato Berlusconi qualche ragione, l'editoriale di Wolfganf Munchau, per il quale Monti è stato «una bolla» - un bluff, insomma, quante volte l'ho scritto su questo blog - buona finché politica e mercati ci credono, ma non si tarderà a scoprire che «nell'anno trascorso poco è davvero cambiato, tranne il fatto che l'economia è caduta in una profonda depressione».

I problemi dell'Italia si possono risolvere solo "politicamente" e «per quanto Berlusconi possa essere stato incapace e comico nel suo ultimo mandato, la sua diagnosi dei problemi dell'Italia è esatta», riconosce Munchau, coerente con la sua linea anti-austerità. Quindi suggerisce 1) di ribaltare l'operato di Monti (gli aumenti delle tasse e i tagli alla spesa); 2) di contrapporsi ad Angela Merkel, cosa che Monti non ha voluto, o è stato incapace di fare.

Curiosamente c'è una linea sottile che sembra unire certi autorevoli commentatori ed economisti, nostrani e non, il politico più screditato del continente (Berlusconi) e la sinistra più conservatrice: il rifiuto dell'austerity in qualsiasi forma si presenti, senza distinguere tra un rigore solo depressivo e una via virtuosa - possibile - al risanamento.

Monti, che si prepara a guardare da bordo campo la partita, pur senza rinunciare a "orientare" le scelte dei cittadini, dovrebbe riflettere su quanto scrivono WSJ e Ft circa la necessità di un mandato politico forte per le riforme economiche. Se pensa che basti tornare a Palazzo Chigi anche senza prima accettare il giudizio/raccogliere il consenso degli italiani, sostenuto da una coalizione post-voto tra progressisti e moderati, o addirittura di "garantire" per essa dal Colle, si sbaglia di grosso e sciupa un'occasione storica.

Di segno opposto il suggerimento di Angelo Panebianco: candidarsi per intercettare l'elettorato deluso da Berlusconi ma che non si rassegna ad affidarsi alla sinistra (o ad un'offerta di centro che odora di alleanza con la sinistra, aggiungo io). A quel punto la «misteriosa agenda Monti» dovrebbe diventare un programma, facendo cadere parecchi alibi: si potrebbe valutare la vera cifra riformatrice del professore e di chi oggi chiede voti in suo nome ma non su un programma concreto. Ma senza un'indicazione precisa, avverte Panebianco, sull'obiettivo di ridurre le tasse che gravano su ceti medi e imprese, e sul "come", marcando quindi una discontinuità rispetto alla politica fiscale di questi 12 mesi, difficilmente Monti potrebbe conquistare quell'elettorato.

No comments: