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Friday, November 28, 2003

Nuovo materiale per gli storici
Uno straordinario documento declassificato in occasione del 40esimo anniversario dell'uccisione di John Fitzgerald Kennedy e risalente a soli 17 giorni prima dell'attentato. Dopo la crisi dei missili all'interno dell'ammnistrazione c'è chi valuta e sottopone al presidente un approccio più accomodante nei confronti del regime castrista. JFK si mostra interessato: al suo staff dice di «iniziare a riflettere circa una linea più flessibile» sulle condizioni per un dialogo con Cuba. Castro anche: «possibile, se gli Stati Uniti lo desiderano», risponde ad una giornalista dell'Abc che avrà un ruolo centrale nei contatti. Castro invita William Attwood, membro della delegazione Usa all'Onu all'Avana per discutere del miglioramento dei rapporti Cuba-Usa. Nel nastro reso pubblico si ascolta la conversazione sull'invito avvenuta nello studio ovale della Casa Bianca tra il presidente e il consigliere per la sicurezza nazionale McGeorge Bundy. L'idea piace a JFK che però raccomanda di far sparire Attwood dal libro paga dell'amministrazione prima dell'incontro così che la Casa Bianca possa poi plausibilmente smentire un contatto ufficiale.

Dopo la baia dei porci e la crisi dei missili, la necessità di sperimentare strategie alternative ai piani aggressivi portati avanti dalla Cia. Andare a vedere le reali intenzioni di Castro non può quindi non interessare Kennedy. Rapporti migliori potrebbero allentare i legami di Cuba con l'Unione sovietica.
«Grazie per avermi invitato»
Sorpresa di Bush alle truppe. Festeggia il ringraziamento con loro andando a Baghdad.

Thursday, November 27, 2003

:: il borsino ::
  • Bush, quell'"idiota fascista", Pil Usa +8,2% nel terzo trimestre 2003. Paese serio
  • Bush e Blair a Londra, impegni seri per la democrazia in Medio Oriente
  • Enzo Trantino per Telekom Serbia, si è deciso a scaricare il Marini. Ora i testimoni chiave diventano Prodi, Dini e Fassino. La CdL segua il suo esempio
  • Il Dalai Lama, lui sì che è un 'positivo'
  • Fini in Israele, direzione giusta
  • JFK, ricordo
  • Berlusconi, ha sensibilizzato la sinistra italiana sui problemi ceceno e tibetano
  • Berlusconi, Milano chiude il fascicolo Sme
  • I magnifici 9, perché non sono meschini e possono guardare dall'alto in basso
  • I pacifisti visti dal Dalai Lama: «Sapete qual è il difetto di questi movimenti di protesta? Non hanno mai una proposta»
  • Berlusconi, lo sfondone sulla Cecenia rimane, non c'è realpolitik che tenga. E con il Dalai Lama poteva essere più coraggioso
  • Chirac-De Villepin amanti dei diritti, nessun rappresentante del governo francese ha incontrato il Dalai Lama
  • Saddam e i terroristi islamici, i nostri carabinieri sono bravi e tosti
  • Fini sulle droghe, la Casa delle illibertà. Tutto inutile
  • Onu, Croce Rossa, 'Framania', rifiutano di esercitare il loro ruolo in Iraq. La sinistra finisca di invocare agli Usa la loro presenza: vadano a Berlino e Parigi piuttosto
  • Prodi, in disfacimento, in Europa conta zero. Fallito il modello renano, sarà sentito dalla Telekom Serbia. Pietà per lui
  • I media terroristi
  • Funerali di Ilda la rouge, colori d'autunno, una stagione finita
  • Sabina, sarà una brava attrice comica, ma ha dimostrato di aver un cervello da gallinaccia vecchia. Almeno farà buon brodo?
  • Floris, i suoi corsivi da «genere giornalistico» a «satira»: furbacchione, ma anche un po' codardo
  • Noi di RR.it, lavoriamo sempre di più, ma la paga diminuisce?!
  • JimMomo, missing in action
  • Wednesday, November 26, 2003

    Il Dalai Lama a Roma: «La Cina non deve essere isolata, ma integrata»
    «La suprema autorità spirituale tibetana è l'immagine dell'ottimismo e della positività, in stridente contrasto con la drammatica situazione del suo popolo, che, avverte egli stesso, rischia il «genocidio culturale». La sua azione politica è completamente fondata sulla nonviolenza, la moderazione, il dialogo con la Cina, chiede una significativa autonomia e non l'indipendenza per i tibetani. La Cina va integrata, non esclusa, va tranquillizzata per aiutarla a risolvere il nodo dei diritti e del Tibet». Leggi tutto. I pacifisti visti dal Dalai Lama: «Sapete qual è il difetto di questi movimenti di protesta? Non hanno mai una proposta».
    RadioRadicale.it
    Ballarai
    Non so se avete notato. L'anno scorso Floris, quello di Ballarò, che quando qualcuno che gli garba poco parla di cose serie lui gli ride in faccia, beh l'anno scorso difendeva strenuamente i suoi corsivi goebbelsiani perché il loro stile si rifaceva ad un preciso genere giornalistico. Ieri invece, alle prime critiche di Marzano, senti che ti risenti: «Ma ministro è satira! sono battute!». Già, la satira non si tocca.
    E' un genio incompreso, era tutta una tattica
    Berlusconi ha definito «leggende» le accuse alla Russia sulla questione cecena? Non incontrerà il Dalai Lama in visita a Roma in questi giorni? Ma non capite, non lo ha fatto perché è amico di Putin o cedendo alle pressioni di Pechino. No, il suo scopo era un altro e lo ha raggiunto. Cecenia e Tibet? Chi sono costoro? Fino alle sciagurate dichiarazioni del premier la sinistra italiana non avrebbe saputo indicare la loro posizione su una cartina geografica. Finalmente, grazie al Cav., la sinistra si è accorta delle loro questioni, ha speso qualche parola sui diritti umani violati da quelle parti, dopo anni di colpevoli e politicissimi silenzi. Speriamo solo che il nuovo interesse non sia dettato solo dal dare addosso al Berluska. Nooooh, ma che mi passa per la testa.

    Tuesday, November 25, 2003

    Berlusconi incontrerà il Dalai Lama in visita a Roma?
    Nel '94 ebbe il coraggio. In quell'occasione non fu distolto dal monito che giunse da Pechino e tenne fede all'impegno preso con i Radicali nell'allora "contratto di maggioranza". «Vile», osserva Marco Pannella, è anche «il comportamento dell'Ue nei confronti delle oppressioni sempre più gravi del regime di Pechino, di quello del Vietnam, di quello nordcoreano». «E' un'Europa molto più simile a quella di Monaco e di Vichy che a quella di Schumann e Altiero Spinelli».
    Funerali del Patto di stabilità
    L'Europa s'inchina ai capricci di Francia e Germania. Speriamo che almeno saranno riconoscenti. Prodi vicino a contare 0. Addio
    Funerali della Ilda
    Per pietà della mitica pm la Corte ha condannato Previti a 5 anni, rimandando alla Cassazione la prevedibile assoluzione. Il denaro è passato da Previti-Pacifico-Squillante, ma non si sa quali sentenze sarebbero state aggiustate. Sulla compravendita Sme invece, il fatto semplicemente non sussiste. Chiuso quindi il faldone su Berlusconi. Dopo anche la recente assoluzione di Andreotti (nella motivazione uscita ieri si legge: «Teorema imbastito senza prove»), si chiude un'epoca, ma quasi nessuno se n'è accorto e i girotondi continuano a girare (ma a vuoto).
    La destra che cambia
    Fini accolto in Israele. "Una visita, non un esame tardivo".
    I tedeschi riconoscono che gli Stati Uniti sono stati al loro fianco
    «Schroeder sceglie l'Iraq e spiazza tutti. Pronto a riconsiderare i debiti di Baghdad».

    Monday, November 24, 2003

    Ricordare John Fitzgerald Kennedy a 40 anni dalla morte significa fare i conti con il suo mito, con l'immagine distorta della sua figura che si è accreditata nel corso degli anni. Troppo spesso la ricostruzione storica e l'analisi di eventi e personaggi vengono inquinate dall'applicarvi parametri e giudizi infantilmente, o ideologicamente, legati ad una visione e ad un approccio moralistici. Pur di alimentare un mito che incarnasse aspirazioni e passioni politiche si è costruito sul carisma, sullo stile di vita, sulla morte del più giovane presidente Usa, soprattutto da parte di certa sinistra, un Kennedy che semplicemente non è esistito, ma che ha conquistato i cuori delle opinioni pubbliche colte e meno colte, giovani e meno giovani. Un Kennedy conciliante con i sovietici avendo a cuore innanzitutto la pace mondiale, per la quale scongiurò una guerra nucleare, un Kennedy che al primo posto della sua presidenza ha messo i diritti civili e la lotta alla povertà, un Kennedy che se non fosse stato ucciso non avrebbe cacciato l'America in quel brutto guaio in Vietnam, un Kennedy la cui azione politica fu sempre ispirata dal puro idealismo progressista e che diede il via alle grandi riforme di giustizia negli States. Questo Kennedy non è mai esistito e se questi sono i motivi per cui è ritenuto un grande presidente, fa bene chi riesce a dubitare, poiché forse i motivi per cui lo si può definire un buon presidente sono opposti.

    JFK diviene presidente in un momento critico per gli Stati Uniti e per l'ordine internazionale. L'accelerazione del processo di decolonizzazione e di affrancamento dei popoli del Terzo mondo dagli ex imperi europei porta la sfida del comunismo in tutto il mondo, un avversario non più contenuto, ma che affiora in ogni parte del globo. Il nuovo tipo di competizione evidenzia il declino della pur valida, ma vecchia e stanca leadership Eisenhower-Dulles. Gli americani hanno una percezione di loro stessi nel sistema mondiale come fortemente indeboliti. Si vive un senso di insicurezza, di un'epoca alla fine, si coltiva la speranza e il bisogno di un nuovo inizio, di nuovi strumenti per il confronto con l'Urss guidata dall'irruente Kruscev. Il nuovo presidente è l'immagine della giovinezza, dell'opulenza, dell'intelligenza. La sua è una delle grandi famiglie dell'aristocrazia americana. La sua ambizione, la sua dedizione, il suo dinamismo, la sua fantasia, l'intraprendenza individuale e il suo pur discusso stile di vita colpiranno l'immaginario dei cittadini americani, nonostante Kennedy abbia battuto Nixon per un pugno di voti e il consenso intorno alla sua presidenza vedrà assottigliarsi nei primi due anni di mandato.

    Ma di fronte alla nuova situazione internazionale, JFK sa raccogliere la nuova sfida del comunismo, è determinato a vincerla, con il famoso discorso sulla Nuova Frontiera caratterizza l'apertura del nuovo ciclo di cui gli americani sentono il bisogno. La dottrina della risposta flessibile sostituisce quella della rappresaglia massiccia, ma il presidente è convinto che alla sfida globale lanciata dai sovietici si risponde proiettando nel mondo la potenza americana con la totale mobilitazione delle energie della nazione. JFK sa che si tratta di competere col modello sovietico per portare nel proprio campo il maggior numero di popoli in via di decolonizzazione. Abbandona dunque l'atteggiamento pacato, soprattutto negli ultimi tempi, di Eisenhower: la politica del contenimento e dell'accerchiamento dell'avversario con sistemi di alleanze non paga più. La deterrenza si ottiene con la supremazia spaziale e militare, sia convenzionale, sia nucleare, quindi via al riarmo. Con 41 nuovi sottomarini nucleari e 700 nuovi Irbm a testata multipla Kennedy riarma l'America forse più di ogni altro presidente in tempo di pace, anche se dopo la crisi dei missili la normalizzazione, che a molti parve distensione, porta al bando dei test nucleari nell'atmosfera. Già nei primi incontri il presidente mostra i muscoli e Kruscev è costretto ad abbassare i toni.

    L'operazione della Baia dei Porci provoca conseguenze fallimentari. I piani erano stati elaborati dalla precedente amministrazione, ma il presidente Eisenhower non avrebbe mai consentito di mettere a repentaglio il prestigio nazionale. Dopo quel clamoroso insuccesso, il regime castrista si sarebbe consolidato e avvicinato definitivamente all'Unione sovietica, sarebbe stato offerto a Kruscev un forte alibi per tentare l'installazione di missili sull'isola caraibica, Fidel Castro sarebbe stato percepito dall'opinione pubblica mondiale come il campione della resistenza alla prepotenza e al neocolonialismo americano. JFK sa riscattarsi nella gestione e nella risoluzione della crisi dei missili a Cuba, che porta il mondo sull'orlo di una guerra nucleare. Kruscev alla fine accetta di ritirare i missili da Cuba e Kennedy dichiara pubblicamente l'impegno degli Stati Uniti a non minacciare in alcun modo il regime di Castro. Agli occhi del mondo Kruscev, che aveva sfidato la potenza americana doveva alla fine cedere. L'esito di quel confronto assume una valenza diversa se letto in funzione di un secondo accordo intercorso tra le parti, ma non reso pubblico, nel quale gli Usa si impegnano a ritirare i missili jupiter dalla Turchia. Ai fini dell'equilibrio tra le due superpotenze non si tratta di una rinuncia determinante, ma in termini politici ha considerevoli effetti nei rapporti tra Stati Uniti ed Europa. In particolare, il presidente della RFT Adenauer e francese De Gaulle dubitano delle intenzioni americane di continuare a sostenere gli interessi e la sicurezza europee. Kennedy parla con enfasi della necessità di una partnership atlantica, ma opera per concentrare negli Usa il processo decisionale dell'Occidente: la special relationship con la Gran Bretagna e il rifiuto di offrire ai francesi gli stessi aiuti dati agli inglesi sull'atomica spingono De Gaulle dapprima a porre il veto sull'entrata della Gran Bretagna nella Cee, poi a siglare, il 22 gennaio 1963, un trattato di cooperazione con la Germania. Kennedy dà il via all'impegno militare Usa in Vietnam, sulla base della teoria del domino, ed è artefice del colpo di Stato che costa la vita al presidente Diem. Al momento della sua morte non possiamo sapere se avesse o meno l'intenzione di impegnarsi in un'escalation, come poi fece il successore Johnson, ma nulla dimostra che pensasse ad un ritiro.

    Kennedy avverte il problema di vincere il nuovo confronto con lUrss anche sul piano dei modelli di sviluppo: esportare la democrazia per favorire un tipo di crescita che possa rivelarsi preferibile al modello socialista agli occhi dei Paesi in via di sviluppo. L'Alleanza per il progresso con i Paesi dell'America Latina, anche se priva di successi, va letta in questa chiave, come primo serio tentativo per rapporti di collaborazione e integrazione. Tuttavia, non mancano compromessi equivoci nei processi di democratizzazione: dove guidare il progresso in chiave democratica non è possibile, sostenere regimi autoritari ma anticomunisti diviene una scelta praticata nell'ottica della Guerra fredda.

    Sul fronte interno sono poche le conseguenze pratiche e legislative. Consapevole di aver ottenuto un fragile mandato, attento alla rielezione, per la quale sono determinanti i voti dei democratici del sud segregazionisti, non si adopera per superare le resistenze di un Congresso nel quale un asse conservatore repubblicani-democratici del sud blocca o annacqua i progetti della presidenza su povertà, istruzione, previdenza, salari, infrastrutture. E' il suo successore Johnson a varare la legislazione desegregazionista, che poneva le basi giuridiche, anche se non economiche, sociali, culturali, per i diritti civili dei neri, e le riforme sociali per la Great Society. JFK appare invece distante dai movimenti per i diritti civili che già operano da tempo, è convinto delle loro posizioni, ma non appassionato. La svolta solo nel '63, quando una brutale repressione contro i neri in Alabama suscita l'indignazione generale contro i segregazionisti e il presidente cerca di prendere la guida del processo già in azione: con il suo linguaggio, ma sempre cercando la mediazione, legittima i movimenti, parla di questione morale, prepara una legge, ma non spinge il Congresso ad approvarla, deludendo le speranze. Un contributo decisivo per la causa dei diritti civili, privato però della sua leadership.

    Sia in campagna elettorale sia da presidente JFK non si sbilancia, è prudente, quasi esitante, indeciso, si circonda di intellettuali stimolanti. Dall'agenda liberale-riformista estrae molto poco, più attento al rilancio dell'economia che alle riforme e ai diritti civili, cerca di farsi accettare dalle imprese con una riduzione fiscale, che però non è determinante per la crescita economica quanto lo saranno gli investimenti nella ricerca e nella difesa. Poche le iniziative rispetto alle aspettative di cambiamento suscitate dal suo personaggio. Tuttavia, al crocevia dei cambiamenti ha il merito di non ostacolarli, di legittimarli, seppure esitante nel realizzarli, cosicché molte speranze rimangono tali. Grande però, la sua volontà di confronto e scontro col comunismo.

    «I nostri armamenti devono sempre essere adeguati ai nostri impegni. Monaco ci dovrebbe insegnare questo: che ogni bluff, alla lunga, viene scoperto. Non potremo ordinare a nessuno di tenersi lontano dal nostro emisfero finché i nostri armamenti e tutto il popolo che vi è dietro non saranno pronti a eseguire i nostri ordini, anche fino al sacrificio supremo della guerra. Non deve esservi alcun dubbio nelle nostre menti, la decisione deve essere immediata: se discutiamo, se esitiamo, se poniamo dei quesiti, sarà troppo tardi». John F. Kennedy (dal suo libro Perché l'Inghilterra dormì, scritto nel 1940).

  • Lo speciale di RadioRadicale.it

  • Antonio Versori, Storia delle relazioni internazionali Università di Firenze

  • Federico Romero, Storia dell'America del Nord Università di Firenze

  • Leopoldo Nuti, Storia delle relazioni internazionali, Università di Roma Tre

  • Massimo Teodori, Il Foglio
  • Sunday, November 16, 2003

    Saturday, November 15, 2003

    Il terrorismo dichiara guerra al mondo, il fondamentalismo islamico ha ormai una strategia globale contro la democrazia, i suoi simboli, dove c'è o dove tenta di nascere. Anche il Papa ha capito dov'è il vero nemico, e non è il capitalismo. Dopo gli attentati di oggi che hanno distrutto due sinagoghe ad Istanbul, in Turchia, si appella «agli uomini ed alle donne del mondo intero, a mobilitarsi in favore della pace e contro il terrorismo». E il premier turco Tayyip Erdogan, musulmano, li ha definiti «crimini contro l'umanità».
    Al-Qaida è intenzionata a usare armi biologiche e chimiche e soltanto problemi tecnici le hanno impedito di farlo fino a ora, avverte una commissione Onu (non Bush). A Nassiryiah, manifestazione di solidarietà degli iracheni davanti al quartier generale dei carabinieri, distrutto dall'attentato suicida di mercoledì. Per lo più studenti universitari, hanno voluto esprimere la loro solidarietà ai militari italiani: «No al terrorismo, sì alla libertà e alla pace», «Questo atto criminale ci unirà». «Condanniamo e denunciamo questo atto criminale - ha dichiarato Najim Tai, Rettore dell'Università locale - abbiamo sempre lavorato insieme agli italiani per mantenere la pace in questa regione».
    A forza di chiedere svolte... - Costituzione - elezioni - solo dopo il trasferimento di autorità. Queste le tappe del processo politico per rimettere in piedi la sovranità del popolo iracheno fino ad ora. Ma sembra che, a forza di chiedere «svolte» a Washington si stia per correggere il tiro: disimpegno in fretta, accelerare il trasferimento trovando subito un Karzai iracheno (che non c'è). D'accordo tutti (Powell, Rumsfeld, Cheney), dubbioso il presidente. "Victory strategy o Exit strategy?", si chiedono i neocons, molto critici dell'amministrazione: il presidente non ritiri truppe o sarà peggio del Vietnam. Con loro stavolta il senatore-eroe John McCain, che vuole più truppe. Vedremo, ma intanto Bush chiede a Bremer un governo locale, prima di una costituzione. Si osserva l'«incapacità dei 25 rappresentanti del Consiglio nazionale di Baghdad di assumere un punto di vista unitario, una strategia di governo nazionale», nonostante la «buona tenuta nel controllo del territorio, soprattutto da parte di curdi, turcomanni e sciiti del Sud, sia sul piano della sicurezza, sia su quello del funzionamento delle autorità locali, e nei rapporti interetnici. Dunque, «è difficile che Bremer possa trasferire poteri agli iracheni senza decidere a quali iracheni assegnare la primogenitura, l'esercizio non paritetico del potere. Bremer deve infatti impiantare una struttura decisionale, decidere chi sarà il leader di mediazione, tra etnie, religioni e tensioni, che assumerà la guida dell'esecutivo» e come nascerà la nuova bozza costituzionale. Leggi tutto.
    Ancora 18 mesi. Bremer ubbidisce, ma le sue obiezioni sono strasensate e vengono i brividi: se prima del trasferimento di poteri non ci sarà ordine, una costituzione, un censimento, un leader autentico emerso da sé dal Consiglio iracheno, e non resteremo ancora 18 mesi, la democrazia non nascerà. In Europa i ministri degli Esteri si vedranno lunedì e martedì, poi verrà Powell. La Francia rema contro, Blair tenta la mediazione.
    L'"agenda" del necon Kristol. L'Europa arriverà, Rumsfeld non va matto per l'esportazione della democrazia, ma Bush sa che sull'Iraq si gioca tutto: bisogna impegnarsi di più e lasciare solo dopo aver ristabilito l'ordine.
    I più accorti nella sinistra non hanno parlato di ritiro, ma hanno chiesto una svolta. Già, ma quale svolta?. L'America sta svoltando, l'Onu l'ha già fatto, ha legittimato, ma poi si è ritirata (come la Croce rossa!). La svolta vadano a chiederla a Parigi e Berlino.
    Il Papa salta giù dalla carretta dei pacifisti
    Il Papa, nel suo telegramma di condoglianze al presidente Ciampi per l'attentato di Nassiryiah definisce a chiare lettere quella in Iraq «missione di pace», segno inequivocabile che «la Chiesa considera chiuse le polemiche del tempo di guerra, e che ora sostiene con decisione la difficile opera di ricostruzione e di pacificazione dell'Iraq». «La distanza fra lo spirito pacificatore della Santa Sede e il pacifismo politico, spesso di matrice antiamericana, si è fatta sempre più netta, fino a sfociare nelle attuali aperte dissociazioni. Distinzioni nette anche rispetto al pacifismo «"ingenuo", di chi cioè pensa che la pace si possa ottenere semplicemente chiedendola, senza un complesso apparato politico, giuridico – e dove occorre militare – che la sostenga concretamente». «La pace, interna e internazionale, non va solo invocata, deve essere costruita con la politica e difesa, se necessario, anche con le armi. Chi lo fa, come i caduti italiani in Iraq, non è "morto per niente" come sostengono i pacifisti a oltranza», che Francesco Riccardi su Avvenire definisce «tirchi di condanne». Leggi tutto, Il Foglio.
    «Potremmo trovarci a dovere rivedere i nostri inattaccabili dogmi pacifisti. A trovare nuove risposte. A scoprire che la pace, a volte, occorre difenderla. E che può costare moltissimo. Come a quei ragazzi a Nassiriyah, ieri mattina, che non sono morti per niente», scrive Marina Corradi sull'Avvenire.

    Friday, November 14, 2003

    Ddl Fini sulle droghe, sconfitta campale
    Casa delle Libertà? Ma quali libertà? Le loro? Non certo le nostre. Anche Ferrara scettico, molto scettico.
    In un'intervista al Financial Times Bush ha ribadito: «Non ce ne andremo finché il lavoro non sarà ultimato». Rispetto alla guerra al terrorismo bisogna guardare alle relazioni internazionali dalla. «Il caso iracheno è stato unico, è unico, perchè il mondo per oltre un decennio aveva dato il suo giudizio. La via diplomatica era stata tentata», ma «non ogni situazione richiede però una risposta militare. Spero che ci siano pochissime situazioni che richiedano una risposta militare». Lavorando con la Cina è riuscito a mettere insieme cinque paesi per lanciare lo stesso messaggio alla Corea del Nord: «Ci aspettiamo che non svilupperete armi nucleari» e all'Iran, dove, insieme con Gran Bretagna, Francia e Germania, si è cercato di fare una pressione diplomatica per evitare il proliferare delle armi nucleari: «Gli iraniani devono sentirsi dire dal mondo, a una voce, che è inaccettabile che sviluppino armi nucleari».
    La sua politica estera fondata su due principi: primo, la sicurezza dell'America. Secondo, le società libere e democratiche sono società che non alimentano il terrore, sono società che si trasformano. E noi abbiamo la possibilità di trasformarle insieme, trasformare in modo costruttivo intere società e intere regioni del mondo».
    New:
  • Bush says finding Saddam is a key goal, FT

  • "They say we're getting a democracy", The Economist
  • Thursday, November 13, 2003

    Appello inascoltato
    Se ne sono sentiti purtroppo tanti di discorsi ipocriti e vergognosi. Non si può premettere dolore, cordoglio, solidarietà ai nostri militari uccisi e alle loro famiglie e allo stesso tempo oltraggiarne la memoria, chiamarli forza occupante, descrivere il loro lavoro quotidiano come quello di chi porta la guerra dove prima non c'era, arrecando maggiori sofferenze, addirittura definire questa missione coloniale e imperiale, giustificando quindi la violenza terrorista che non è resistenza nazionale, ma fascismo allo stato puro. Abbiano il coraggio dunque, o la dignità, coloro che la pensano a questo modo, di tacere e non sentirsi obbligati a nessun gesto di condoglianza. Chi invece sinceramente ha scelto di stare dalla parte della democrazia, ma è legittimamente dubbioso circa le strategie adottate per prevalere nella lotta al terrorismo, chi riconosce che non è questo il momento di tirarsi indietro, ponga un argine definitivo tra se stesso e le parti della propria coalizione politica, del proprio stesso partito, che non perdono occasione per schierarsi dalla parte dei dittatori fascisti o comunisti. Mi rivolgo a D'Alema, a Prodi, a Fassino, a Rutelli, a chi si definisce di sinistra, riformista, democratico: rompete per sempre con costoro, non pensate, al contrario, di formarvi alleanze per opportunismo o debolezza, offrite al Paese una vera alternativa responsabile di governo.
    Dai giornali:
  • Questa storia di dolore

  • "Il trucchetto di trasformare le vittime in responsabili"

  • Il Foglio
  • Ora spetta alla Vecchia Europa aiutare gli Usa a uscire dal pantano

  • Perché dobbiamo restare che cosa deve cambiare

  • D'Alema e Fassino tengono il fronte «Non è il momento di dire: ritiratevi»

  • Ciampi mette a tacere il partito del ritiro

  • il Riformista
  • Il lutto, l'illusione, Stefano Folli

  • Ma il ritiro Usa porterebbe caos, Sergio Romano

  • Corriere della Sera
  • Fine delle ipocrisie: adesso è guerra, Pierluigi Battista

  • La Stampa
    Dall'estero:
  • "Not a Guerrilla War - Yet", William R. Hawkins, National Review
  • Wednesday, November 12, 2003

    Onore ai militari italiani
    caduti in Iraq per la libertà dei popoli
    Chiamata alle armi di un vile
    Il «manifesto per l'Europa» di Prodi suona come una chiamata alle armi per il centrosinistra italiano. In Europa lo hanno visto come una illegittima interferenza del presidente della Commissione negli affari politici italiani: si occupi del suo incarico, illustri il programma della Commissione per il 2004 e resti al di sopra delle parti, o si dimetta. E il presidente del parlamento europeo Pat Cox gli ha chiesto di chiarire alla prossima sessione di Strasburgo. Le liste unitarie per le elezioni europee vanno anche bene, ma cosa si prepara per le politiche del 2006? Bertinotti rischia davvero di ritrovarsi al ministero del Lavoro? E come si farà a rimproverare Berlusconi di gridare 'allarme son comunisti'? Ma sto correndo troppo.

    Tuesday, November 11, 2003

    Tutti zitti
    Su ogni gaffe europea di Berlusconi da sinistra si levano grida di dolore e di scherno, anche le più inutili sono oggetto di strumentalizzazioni. Guarda caso, sulle vergognose dichiarazioni in difesa dell'«amico» Putin riguardo il problema ceceno nessuno dei leader del centrosinistra ha aperto bocca. Prodi è un vigliacco. Nonostante fosse presente a quella conferenza stampa ha taciuto, salvo poi far bisbigliare ad un suo portavoce una lieve dissociazione, a fronte dell'assenza totale di iniziative della Commissione (il commissario per gli aiuti umanitari non si è mai recato in Cecenia). I leader europei tacciono, non osano dire ciò che ha detto Berlusconi, ma lo pensano, per interesse, per convinzione, o per errore. L'Europa è la condanna dei ceceni.

    Monday, November 10, 2003

    Non mollare, è il primo fronte della guerra al terrorismo
    In Iraq operano terroristi stranieri giunti da Sudan, Yemen, Siria e Arabia Saudita, e uomini di Saddam per far fallire la ricostruzione. L'obiettivo attuale di Al Qaeda è rovesciare la dinastia saudita, non ha dubbi il vicesegretario di Sato americano, Richard Armitage: «E' abbastanza chiaro - ha detto all'emittente panaraba al-Arabya all'indomani dell'attenatato che a Ryad costato la vita a 17 persone - che al Qeada vuole rovesciare la famiglia reale e il governo saudita». E' una guerra, c'è più di una battaglia, il nemico ha strategie, mezzi, volontà, apre dei fronti.

    Friday, November 07, 2003

    Sfondoni veri
    Risentite cosa è riuscito a dire Berlusconi nel tentativo di difendere l'«amico» Putin dalle critiche per le brutali repressioni e le violazioni dei diritti umani compiute dai russi in Cecena. Le solite gaffe del premier ci divertono anche, e spesso sono strumentalizzate, ma stavolta davvero non c'è niente da ridere. E pensare che le assurdità che ha rifilato gli vengono, a suo dire, da informazioni dei «servizi segreti». Niente di più facile che se si chiedesse ai serivizi segreti italiani e a Berlusconi stesso di indicare su una cartina geografica dov'è la Cecenia, starebbero minuti a roteare il ditino per poi puntarlo chissà dove. Qui l'audiovideo
    Bush non arretra, rilancia: democrazia e diritti in Iraq e in Medio Oriente
    «La libertà può essere il futuro di ogni nazione». La scommessa era particolarmente alta in Iraq, ma le forze della coalizione sono riuscite ugualmente a far crollare il regime di Saddam Hussein. «Conosciamo la posta: il fallimento della democrazia in Iraq incoraggerà i terroristi nel mondo e accrescerà i pericoli per gli americani, spazzando via le speranze di milioni di persone».
    Davanti alla "Fondazione nazionale per la democrazia" Bush ha invitato i Paesi arabi ad accelerare il passo verso la democrazia, indicando la promozione della democrazia e della libertà come strumento di crescita e prosperità economica: «Finché in Medio Oriente la libertà sarà negata, tutta l'area rimarrà un posto di stagnazione, risentimento e violenza pronta per l'esportazione». Leggi e riascolta tutto.

    E' tutto qui il cambio della politica estera americana: ora c'è la consapevolezza che la sicurezza nazionale dipende dall'evoluzione democratica dei regimi oppressivi piuttosto che dalla stabilità di regimi, anche autoritari, con cui si è amici per interessi. Ma al giorno d'oggi il dibattito vive un paradosso, oggi vige l'asse Kissinger-sinistra: «Una volta chi voleva sconfiggere le dittature e battersi per il progresso civile e democratico era considerato un visionario di sinistra, ovviamente della sinistra liberale. I sostenitori dello status quo, invece, cioè quelli che-chi-se-ne-frega dei popoli oppressi, l'importante è che ci sia un regime autoritario e stabile con cui fare affari e garantire i propri interessi, erano i pragmatici realisti di destra». Un buon esempio da "Requiem per i neocon", di John Hulsman, presentato così su Il Foglio: «La critica di Hulsman ai neoconservatori è di destra, di segno realista. Per semplificare: è come se queste parole uscissero dalla bocca di Henry Kissinger. Eppure se le confrontate con le tesi dei leader politici della sinistra europea, e intendo della sinistra non antagonista, sono molto più che simili».
    Camillo
    Mea culpa/1, l'Onu
    La commissione indipendente nominata dal segretario generale Kofi Annan per indagare sull'attentato del 19 agosto 2003 al Canal Hotel di Baghdad - in cui morirono 22 persone, tra cui il capo missione Sergio Viera de Mello, e più di 150 furono i feriti - ha reso note le sue conclusioni, che hanno portato alle dimissioni del capo missione Ramiro Lopez da Silva e il capo della sicurezza Tun Myat.
    «I responsabili della sicurezza delle Nazioni unite hanno fallito nella loro missione di assicurare adeguata protezione al personale Onu in Iraq. Il fallimento dei dirigenti e del personale delle Nazioni unite nel rispettare le direttive sugli standard di sicurezza hanno reso l'Onu vulnerabile al tipo di attacchi che è stato perpetrato il 19 agosto 2003».
    Nel dossier, infatti, si legge addirittura che sono stati gli stessi funzionari dell'Onu a chiedere ai soldati americani di alleggerire la loro presenza attorno al loro quartier generale, senza preoccuparsi nemmeno di trovare forme di protezione alternative.
    il Riformista
    Ripensandoci...
    «Sulla guerra in Iraq mi ero sbagliato. La caduta di Saddam valeva la pena». Ad ammetterlo è Fawad Turki, di Arab News, il quotidiano saudita in lingua inglese che ieri ha pubblicato questo articolo ripreso da il Riformista.

    Thursday, November 06, 2003

    Orgoglio Dc
    Al Senato Andreotti respinge la difesa di Violante e lo chiama in causa: cercò di incastrarlo. Ora più che mai è necessaria una commissione d'inchiesta per indagare nel torbido degli anni '90. Chi cavalcò l'onda di giustizialismo giacobino? chi furono i mandanti politici delle infamanti accuse di mafia, rivelatesi tutte infondate, su alcuni leader Dc? Come fu possibile? Chi se ne avvantaggiò? Cosa è rimasto di questa esperienza nella cultura politica italiana?

    Wednesday, November 05, 2003

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    *La Terza via è viva e vegeta
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    ... e, guarda un po', piace ai neocons. La strategia per la sicurezza nazionale elaborata dal think tank clintoniano Progressive Policy Insitute non si discosta molto dall'approccio di politica estera dell'attuale amministrazione (ovviamente la critica è invece dura sui temi di politica interna). In un prossimo post un'analisi più dettagliata, ma sembra sempre più evidente che la politica estera americana ruota più intorno alla discriminante idealisti-realisti che intorno a quella democratici-repubblicani, o, meno ancora, falchi-colombe.
    :: Il borsino ::
  • Andreotti, si è potuto togliere i sassolini dalle scarpe
  • Le mitiche dame di Baghdad. Vera Baldini, Giovanna Botteri, Gabriella Caimi, Maria Cuffaro, Tiziana Ferrario, Dietlinde (Lilly) Gruber, Monica Maggioni, Mimosa Martini, Anna Migotto, Gabriella Simoni. Hanno fatto il loro lavoro (come molti italiani), alcune lo hanno fatto pure male e sono diventate barzellette (come molti italiani), lo hanno fatto pagate bene (come molti italiani). Ciampi le ha nominate cavalieri.
  • Le nuove Br, ora tutti penderanno dalle vostre labbra (per capire, s'intende)
  • Capezzone, se l'è vista brutta ma è ancora lì
  • Pannella, "padre padrone" in gran forma
  • Stati Uniti, chi ha detto che vogliono cestinare l'Onu?
  • 4ss., forse un aumento in arrivo
  • Gesù, sempre in croce, ma scendi dalle pareti!
  • L'Unione europea, antisemiti si nasce
  • L'Unione europea, la sua elemosina per la ricostruzione dell'Iraq
  • Le nuove Br, nel sacco!
  • Violante, figuraccia!!! Ora si vergogni in silenzio
  • Della Vedova, il nulla che è in noi. Attapirato
  • Le elezioni on-line dei Radicali, una farsa, anzi una truffa, anzi mi viene da ridere, poracci!
  • robba, di nuovo missing in action
  • Europa gravemente malata?
    Mi piacerebbe essere sicuro che il 59% degli europei che ha risposto di vedere Israele come il Paese più pericoloso per la pace mondiale si fosse riferito in realtà alla regione geografica nella quale tanto sangue si sta spargendo, a prescindere dalle colpe. Temo che non sia così, temo che l'Europa possa tornare a farsi contagiare dai tremendi virus che l'hanno ridotta ad un cumulo di macerie nel secolo scorso. L'antisemitismo non solo, altri segnali poco incoraggianti per i quali vi rimando, se ne sarò capace, ad un futuro post. Certo è che non si può mai abbassare la guardia, libertà e democrazia bisogna viverle e non lasciarle lettere morte, anche nel dibattito politico di tutti i giorni. E le politiche dell'Unione europea sulla Cecenia, sull'Iraq, in Asia; poi i finanziamenti ad Hamas fino all'altro giorno, le strette di mano ad Arafat, tutto questo finirà per contare qualcosa.
    «Siamo tanti in Cgil, e anche in Cisl» La strategia entrista dei fan di Galesi
    L'area grigia esiste eccome, la matrice ideologica dei terroristi è ben rappresentata e pienamente legittimata nel dibattito politico. Quando la sinistra farà veramente i conti con la sua storia?
    il Riformista
    "Diamo una mano alla Cgil"
    Il Foglio

    Tuesday, November 04, 2003

    Lunedì 3 Novembre 2003, 8:27
    Washington (Reuters) - L'estromesso presidente iracheno Saddam Hussein non ordinò un contrattacco quando le truppe Usa iniziarono a marciare in Iraq perché era convinto che sarebbe sopravvissuto ad una invasione. Lo scrive oggi il Washington Post. L'ex-vice primo ministro iracheno Tariq Aziz, che si è arresto ad aprile, ha spiegato negli interrogatori che dopo gli incontri con intermediari russi e francesi, Saddam era convinto che avrebbe potuto evitare la guerra, scrive il giornale, citando funzionari americani. L'articolo dice che Aziz negli interrogatori ha detto che gli intermediari russi e francesi assicurarono a Saddam alla fine del 2002 e all'inizio di quest'anno che avrebbero bloccato la guerra Usa attraverso ritardi e veti al consiglio di sicurezza della Nazioni Unite. Alla vigilia del conflitto, Hussein uscì da un incontro con russi e francesi convinto che gli Stati Uniti non avrebbero lanciato una immediata invasione in Iraq, secondo quanto detto da Aziz, riferito da alcuni funzionari americani, scrive ancora il quotidiano. Aziz ha spiegato ancora che Saddam era così sicuro di sé che rifiutò di ordinare una immediata risposta militare quando sentì i rapporti che le truppe di terra americane stavano entrando in Iraq perché pensava che si trattasse di una finta. I funzionari Usa coinvolti negli interrogatori hanno detto però che i racconti di Aziz non sono supportati da altre fonti.
    "L'America deve restare, l'Europa deve aiutare"
    «A Parigi e a Berlino, lavandosene le mani, stanno giocando col fuoco».
    il Riformista
    Della Vedova commenta il Congresso dei Radicali
    La sua mozione era il «nulla», come dice Pannella, o no?
    il Riformista
    La strategia americana in Iraq
    «Troppo gentile» secondo alcuni. Inadeguata contro i terroristi. Aggiustare il tiro si può?
    Il Foglio

    Monday, November 03, 2003

    Me ne sono stato buono buono a letto tutta la domenica. Al calduccio sotto le copertine. Mi ci voleva un giorno di pausa totale. E ci voleva un gran raffreddore con qualche linea di febbre per fermarmi. Sarà, ma dopo un'abbondante mezza giornata passata a cercare il congressista modello dei Radicali italiani, tornato a casa avevo 38 di febbre. Un caso? Ora è già passata e sono tornato a lavoro. Tante idee per la testa, anche questo blog andrebbe rinvigorito, pure di questi colori mi sono stufato. Vi potrei dire di quel triste sondaggio fatto fare dalla Commissione europea dal quale è risultato Israele il paese più pericoloso per la pace mondiale. Lasciamo perdere per oggi, le cose da pazzi non le sopporto. Andate qui per protestare, o qui per stare un poco più attenti a quello che vi bevete. A domani, e aspettatevi un borsino.