Ma perché sondaggi ed exit poll sovrastimano sempre il centrosinistra e sottostimano il centrodestra? Nel 2006 alla chiusura dei seggi proclamavano la vittoria netta di Prodi e fu pareggio. Quest'anno hanno diffuso l'idea quasi di un testa a testa e si è rivelato un trionfo per Berlusconi. La risposta che più mi convince, e che qui ho avanzato più volte, è la stessa di Luca Ricolfi, su La Stampa di oggi.
I sondaggi sono ingannati dalla "rispettabilità sociale" della risposta. Gli elettori che scelgono un'opzione elettorale non politically correct tendono a nascondersi, perché «quando una persona viene intervistata le sue risposte non sono influenzate solo da quel che l'intervistato pensa, ma anche da quel che l'ambiente intorno a lui gli suggerisce di pensare... La società, il gruppo di riferimento, i media definiscono continuamente ciò che è bene, ciò che è appropriato, ciò che è corretto, ciò che è "in". Simmetricamente definiscono ciò che è male, ciò che è inappropriato, ciò che è scorretto, ciò che è "out". Se in una società le istituzioni richiamano continuamente determinati valori (ad esempio la solidarietà) e stigmatizzano sistematicamente determinati atteggiamenti (ad esempio l'ostilità verso gli immigrati), una parte degli intervistati preferisce non rivelare le proprie preferenze se esse sembrano confliggere con ciò che è considerato socialmente desiderabile».
A livello politico la sinistra continua a considerare «moralmente inferiore chi vota per forze politiche cui essa - la parte sana del Paese - non riconosce piena legittimità democratica», una sorta di «partiti maledetti».
«Per molti cittadini progressisti o illuminati se voti Forza Italia come minimo sei un affarista, un mafioso, o un abbindolato. Se voti Lega sei una persona rozza, egoista e intollerante. Se voti i post-fascisti non hai diritto di sedere al desco dei veri democratici. Se sei di sinistra e ti capita di comprare il Giornale ti guardano come se avessi acquistato un rotocalco pornografico (è successo a me)».Una disapprovazione che non è «quasi mai esplicita», ma, spiega Ricolfi, che «genera un clima che definirei di intimidazione dolce. Tutti possono dire e fare quel che vogliono, ma sanno anche che - in molti contesti - saranno giudicati severamente se confesseranno di aver votato determinati partiti. C'è una parte del Paese che si sente nella posizione di giudicare gli altri, e c'è una parte del Paese che - proprio per questo - si sente permanentemente sotto esame». In questo meccanismo è caduto Veltroni quando ha sfidato Berlusconi a sottoscrivere quattro principi di «lealtà repubblicana», dando l'idea di sentirsi autorizzato a fornire «patenti di legittimità democratica all'avversario politico».
Molti elettori di destra se ne fregano, ma una parte non trascurabile di essi preferisce nascondersi: sul lavoro, nelle cene, al bar, ma anche nei sondaggi. Se uno pensa di votare un partito un «partito maledetto» - di cui i «sinceri democratici» dicono tutto il male possibile - può essere tentato di non scoprirsi, magari dichiarandosi indeciso, o astensionista.
Si tratta di un fenomeno, quindi, che deriva da quel «complesso dei migliori» che già Ricolfi, tra molti altri, aveva individuato come «una delle grandi malattie della cultura di sinistra».
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