Mentre proseguono le solite schermaglie diplomatiche – ieri la Commissione Ue ha reiterato il suo appello nei confronti di Pechino perché si impegni in un «dialogo costruttivo e sostanziale» con il Dalai Lama, sentendosi però accusare di «ingerenze» riguardo un «affare interno della Cina» - dal Tibet trapelano in qualche modo notizie di decine di manifestazioni represse nel sangue, come riporta Claudio Tecchio (Ufficio Internazionale Cisl) sul sito Icn-News. A partire dal 10 marzo hanno avuto luogo oltre 50 proteste in altrettanti centri situati anche oltre i confini della Regione Autonoma del Tibet. La rivolta ha infatti raggiunto l'Amdo e il Kham, aree tibetane oggi province cinesi. E nonostante i morti, gli arresti, la mobilitazione di truppe e le campagne di "rieducazione patriottica", ancora la scorsa settimana ci sono state manifestazioni e scontri e la polizia (che ha avuto l'ordine di sparare su ogni assembramento «ostile») ha aperto il fuoco uccidendo molti pacifici manifestanti tibetani, in maggioranza giovani, sia laici che religiosi.
I più importanti monasteri rimangono sotto assedio e si registrano i primi casi di morte per fame. I religiosi vengono costretti ad abiurare sottoscrivendo una dichiarazione di fedeltà al regime. I tibetani sembrano aver compreso che questa potrebbe essere l'ultima occasione per ribellarsi al giogo cinese, considerando che la "Via di Mezzo", dialogante e moderata, preseguita dal Dalai Lama non ha prodotto risultati e che il regime non può permettersi stragi su vasta scala con le Olimpiadi alle porte. Le deportazioni in atto da mesi (800 mila pastori nomadi e contadini deportati nei nuovi "villaggi socialisti") e l'immigrazione di cinesi di etnia han rappresentano la "soluzione finale" della questione tibetana. Nel corso di una recente manifestazione, prima di essere ucciso dalla polizia, un giovane monaco avrebbe gridato «ora o mai più».
In vista del passaggio della torcia olimpica a Lhasa, le autorità cinesi stanno pianificando qualcosa di simile alle manifestazioni pro-Cina viste soprattutto a San Francisco. Le agenzie di viaggio nella capitale tibetana, hanno riferito a Radio Free Asia fonti del luogo, sono state autorizzate dalla Lega giovanile del Partito comunista ad organizzare «un'attività patriottica» per l'arrivo della fiaccola nel cortile del Potala Palace. Su Lhasa confluiranno almeno 20 mila persone sventolando la bandiera rossa della Repubblica popolare. Saranno chiamati ad unirsi ai cortei i turisti cinesi di etnia han, mentre sarà vietato ai tibetani.
Pochi giorni fa le autorità avevano soffiato sul nazionalismo incoraggiando in diverse grandi città manifestazioni per il boicottaggio delle merci francesi vendute dalla catena Carrefour, come rappresaglia per le contestazioni subite a Parigi al passaggio della fiaccola olimpica.
Intanto, è sempre più evidente che la Cina potrà contare su un nuovo stato satellite ai suoi confini. Nessuno poteva davvero credere che la fine della monarchia, con la rinuncia al potere da parte del re Gyanendra, potesse significare per il Nepal l'inizio di un cammino verso la democrazia. Elezioni ci sono state, certo, ma a prevalere sono stati i maoisti, la cui linea è strettamente filo-cinese. Da pochi giorni dominano il governo e come primo atto hanno duramente represso le manifestazioni degli esuli tibetani. Nei giorni scorsi la polizia ne ha arrestati oltre 400. Siamo democratici, ma non permetteremo alcuna protesta contro Pechino, ha spiegato ad AsiaNews il portavoce del governo: «Non permetteremo mai alcuna attività anti-cinese. Siamo molto severi con chi assume questi atteggiamenti. Questo non vuol dire che siamo contrari alla democrazia: abbiamo avvertito più volte i manifestanti dei rischi che corrono».
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