Un «giorno nero dei sindacati» anche perché appare sempre più chiaro che molti lavoratori di Alitalia, forse una maggioranza silenziosa, è a favore della vendita ad Air France, l'unica in grado di garantire un futuro di primo piano alle loro professionalità. In 400 hanno manifestato per questa soluzione, hanno dato vita a un "comitato pro Air France", alcuni hanno iniziato uno sciopero della fame. Epifani, Bonanni e Angeletti dovrebbero dimettersi. Da tempo l'Istituto Bruno Leoni propone un referendum tra i lavoratori, ma - chissà perché - questa volta i sindacati non vi ricorrono.
Intanto, dopo l'editoriale di qualche giorno fa, il Wall Street Journal sbeffeggia la posizione di Berlusconi su Alitalia, titolando un altro commento sul tema «Air Silvio». «E' raro per un politico innescare una grave crisi prima ancora che abbia vinto le elezioni. E' quello che Silvio Berlusconi ha fatto con Alitalia. Se, come sembra, fra dieci giorni otterrà il suo terzo mandato come premier, Berlusconi si sarà meritato qualsiasi sofferenza che dovesse venirgli dalla compagnia di bandiera italiana... che perde un milione di euro al giorno e, se non sarà ristrutturata, potrebbe non arrivare all'estate prossima».
Gli stessi sindacati, ragiona il WSJ, «non avrebbero avuto tanto margine di manovra se non fossero stati sostenuti da Berlusconi, che ha apertamente osteggiato la proposta franco-olandese, facendo leva sull'orgoglio nazionale italiano». E fa notare che «chiunque sarà il prossimo premier italiano non avrà molto spazio di manovra poiché l'Ue ha ribadito che non consentirà nuovi salvataggi da parte del governo», mentre «la soluzione italiana» per cui spinge Berlusconi «non sembra avere spessore, poiché l'Eni, il colosso energetico da lui evocato, ha smentito di avere interesse nella compagnia». Forse, azzarda il WSJ - il piano di Berlusconi è invitare di nuovo l'Air France-KLM al tavolo negoziale, bypassando i sindacati, una volta che egli fosse capo del governo. Altrimenti l'Alitalia avrà bisogno di un prete che le impartisca i sacramenti dei moribondi».
Scrive invece il Financial Times:
«Il punto è se data la situazione l'Alitalia può essere ancora salvata. Se ciò avverrà sarà probabilmente la prova dell'intervento di un esorcista o di un miracolo... Perché è chiaro a tutti che l'Alitalia ha ormai raggiunto la fine della pista. Il governo uscente ha di fronte tre sgradevoli opzioni: come hanno fatto precedenti governi, potrebbe tentare di salvare la società, ingaggiando per questo una lunga battaglia con Bruxelles, che non ammette altri interventi statali per mantenere operativa la compagnia; oppure potrebbe semplicemente lasciarla precipitare e bruciare o, terza possibilità, adottare una soluzione "tipo Parmalat" e mettere la compagnia sotto amministrazione controlata. A quel punto, sarebbe necessaria una importante ristrutturazione, mediante l'intervento delle banche e di partner industriali. Tra questi potrebbe esserci Air One, così come Lufthansa e, forse, persino Air France».Sulla triplice responsabilità Governo-Sindacati-Berlusconi si concentra il commento di Alberto Mingardi, su il Riformista: «... di una cosa ormai siamo certi: l'Alitalia è profondamente italiana. Perché italiano, nella connotazione più pregiudizialmente deteriore, è stato il concatenarsi di passi falsi che ci ha portato allo stop dei sindacati e poi alla mezza retromarcia di ieri».
La vicenda di Alitalia, sottolinea Mingardi, «è emblematica della rivoluzione del Cavaliere».
«Il quale si diverte a recitare tutte le parti in commedia: un giorno promette lotta dura all'evasione fiscale, quello dopo giustifica la resistenza ad aliquote troppo alte. Confermando che la sua agenda è molto diversa dal passato. Il nodo irrisolto del nostro Paese è l'incapacità dei ceti dinamici e produttivi di trovare adeguata rappresentanza politica. Fra tutti coloro che si sono acconciati a fornirgliela, Berlusconi è l'unico sempre in grado di sintonizzarsi col proprio elettorato. Storicamente, biograficamente, retoricamente, lui è l'Italia operosa. E ne ha consolidato le domande, con non troppa coerenza ma molta efficacia. Per anni, il barometro meglio tarato su che cosa pensasse il Paese erano i discorsi di Silvio Berlusconi. Il problema è che ora sembra che le speranze di quel pezzo d'Italia si siano talmente affievolite, da non farsi più neanche registrare nelle promesse berlusconiane».Forza Italia, ricorda Mingardi, debutta «nell'emergenza» promettendo una "rivoluzione liberale", citando la Thatcher come suo modello. Trascorsi cinque anni all'opposizione, nel 2001, «il Cavaliere è più cauto: cambieremo l'Italia al 50%. Eppure, delle sue trentasei riforme, soltanto due (la legge Biagi e lo scalone Maroni) si fanno ricordare come tali». Ma adesso Berlusconi «oscilla verso toni consolatori. Spergiura di essere il "nuovo Fanfani", non la Thatcher italiana. Si fa votare perché è il meno peggio, senza promettere rivoluzioni».
Occorre sperare che «il Cavaliere sia sfasato rispetto al suo popolo, tornato a votare turandosi il naso» e non, invece, «che quattordici anni di vana attesa hanno spento non solo l'entusiasmo, ma persino le speranze dei ceti produttivi».
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