«Sostengo i benefici della concorrenza e dell'apertura agli scambi, non per scelta ideologica ma perché penso che mercati aperti e concorrenza siano lo strumento per sbloccare un Paese nel quale la mobilità sociale si è arrestata e il futuro dei giovani è sempre più determinato dal loro censo, non dal loro impegno o dalle loro capacità».E' questa la premessa: il liberismo non come ideologia ma come organizzazione economica che funziona, produce benessere e mobilità sociale.
Tuttavia, dando uno sguardo a ciò che accade nel mondo non sembrano in tanti a pensarla così. «Prezzi e forniture di gas — l'80% dell'energia utilizzata in Italia — sono determinati da un cartello dominato dalla Russia»; la Cina che «non consente che il valore della sua moneta sia determinato dal mercato»; negli Stati Uniti lo stato che interviene per salvare le banche dalla crisi e i candidati democratici alla presidenza, sia Obama che Hillary Clinton, che parlano con accenti protezionistici; in Francia Sarkozy che solo «a parole (e non sempre) predica il mercato»; in Italia Berlusconi che promette di salvare Alitalia con denaro pubblico, ma nessuno viene visto «sfilare perché le nostre tasse vengono usate per tenere in piedi un'azienda da anni decotta»; a Roma vince un candidato sindaco che «due anni fa aveva manifestato solidarietà per la violenta protesta dei tassisti contro le liberalizzazioni». Giavazzi si interroga su eventuali errori dei liberisti:
«Il mondo sembra andare in una direzione diversa da quella auspicata da chi, come me, vorrebbe meno Stato e più mercato... I cittadini non sembrano preoccuparsene: anzi, premiano chi promette "protezione" dal vento della concorrenza. Che cosa non abbiamo capito, dove abbiamo sbagliato?»In questi anni, osserva, l'Italia ha perso «dieci punti rispetto a Francia e Germania, siamo stati raggiunti dalla Spagna e di nuovo superati dalla Gran Bretagna». C'è il rischio di un circolo vizioso che porta al declino: «Quando un Paese non cresce le opportunità scompaiono e ciascuno si tiene stretto quello che ha: mentre mercato, merito, concorrenza — i fattori la cui assenza è all'origine della mancata crescita — spaventano. I cittadini preoccupati chiedono protezione, qualcuno la promette e il Paese si avvita».
I liberisti, conclude Giavazzi, dovrebbero porsi «un compito più modesto: spiegare ai cittadini che l'alternativa al mercato, al merito, alla concorrenza è una società in cui i privilegi si tramandano di generazione in generazione, i fortunati e i prepotenti vivono tranquilli, ma chi nasce povero è destinato a rimanerlo, indipendentemente dal suo impegno e dalle sue capacità».
«Il tentativo di convincere la sinistra che mercato, merito e concorrenza sono gli strumenti per sbloccare l'Italia ammetterlo è fallito» con Prodi, ammette Giavazzi. I «nuovi interlocutori» oggi sono i «protezionisti», che «sbagliano la diagnosi, ma hanno saputo cogliere e interpretare meglio della sinistra le angosce di tanti cittadini». Ma «la risposta alla "mobilità planetaria" non può essere il congelamento della mobilità domestica. Una società congelata non solo è ingiusta: si illude di proteggersi, in realtà spreca le sue risorse migliori e deperisce. E' un lusso che forse possono permettersi gli Stati Uniti: per l'Italia sarebbe un suicidio».
6 comments:
L'alternativa al liberismo è questa manica di conservatori che ci governerà per i prossimi cinque anni
07/03/2008
Risposta a Giavazzi sul Corriere della Sera: "Io protezionista? Allora anche Obama e McCain"
Caro Direttore, ho letto con particolare interesse l'articolo di Francesco Giavazzi pubblicato il 29 febbraio scorso sul
Corriere, sotto il titolo: «La tentazione del protezionismo». Nell'articolo, concentrato sul programma elettorale del Pdl, Giavazzi formula rilievi critici, alcuni a me specificamente diretti. E dunque non solo per ragioni d'ufficio, come si dice, ma anche in nome di una nostra personale amicizia, penso che gli sia dovuta una risposta: a) sostiene Giavazzi che nel programma elettorale del Pdl ci sarebbe: «... una tentazione protezionista ». La risposta a Giavazzi si trova nello stesso numero del Corriere,
nella pagina immediatamente successiva, in un articolo di Massimo Gaggi: «E l'America impaurita inizia a dubitare del "re mercato"». Forse è il caso di avvertire Obama e McCain che anche sui loro programmi elettorali — e non solo su quello del Pdl — sta per abbattersi una scomunica; b) sostiene Giavazzi che è male parlare di: «... dazi e quote contro la concorrenza asiatica asimmetrica ». Ancora una volta la risposta a Giavazzi si trova sul Corriere del 3 marzo scorso, in un articolo di Günter Verheugen, Vicepresidente della Commissione europea, pubblicato sotto il titolo: «Così proteggeremo il tessile». Forse è il caso di avvertire anche lui. Dazi e quote sono in realtà già stati introdotti, negli anni scorsi e con effetti molto positivi, proprio dall'Unione Europea, su pressione — tra l'altro — dell'industria e del governo italiani. È a questo tipo sperimentato di politica commerciale, e non ad altro, che si fa riferimento nel programma del Pdl; c) sostiene Giavazzi che è male chiedere di: «ridurre la regolamentazione comunitaria». Nel 2003 a Stresa, al termine del semestre italiano di presidenza Ue, ho lanciato l'idea di concentrare l'attenzione anche sulla politica legislativa ed in particolare sugli effetti economici negativi tipici di una regolamentazione eccessiva, causa per le imprese di costi addizionali ed artificiali. Ne è derivato, per iniziativa della successiva presidenza olandese, il progetto denominato «Better regulation». È questo e solo questo il tipo di politica legislativa europea che, nel programma del Pdl, si pensa di intensificare; d) sostiene Giavazzi che: «si propone una Banca del Sud, immagino pubblica... ne abbiamo già sperimentate due, il Banco di Sicilia e quello di Napoli».
La proposta della Banca del Sud, come la proposta del «5X1000» (una formula in cui per la prima volta in Italia si porta l'interesse pubblico fuori dal perimetro dello Stato), le ho avanzate nell'autunno del 2004 in due articoli pubblicati sul Corriere («La banca che il Sud non ha», 11 settembre 2004; «Volontariato e nuovo Welfare», 9 novembre 2004). Quegli articoli del Corriere sono poi diventati articoli di legge, contenuti nella Finanziaria per il 2006. Il Sud era nel 2004, ed è ancora di più ora nel 2008, l'unica grande regione d'Europa ad essere totalmente debancarizzata. La proposta, che sia realizzabile o no in concreto lo vedremo, non era e non è comunque quella di ricostituire una banca pubblica, vietata tra l'altro dalla normativa europea, ma all'opposto e chiaramente di promuovere una banca con diffuso azionariato privato; e) sostiene infine Gavazzi che si penserebbe a: «Supermercati di Stato... ai magazzini Gum della Mosca sovietica». Comuni e volontariato come reti di distribuzione di beni di prima necessità, per aiutare chi non arriva a fine mese, sono in realtà qualcosa di diverso da un supermercato. Comunque, se proprio si vuole parlare di supermercati, va purtroppo notato che ora è proprio nei supermercati che si sta ripresentando, in forma diversa, ma con pari «cifra» di dramma sociale, la storia antica dei «furti di legname ». Leggiamo ancora sul Corriere
del 2 marzo scorso il caso di: «Una pensionata settantenne denunciata per il furto in un supermercato: non arrivo a fine mese, sono costretta a rubare». In un solo anno e per effetto della mitizzata «concorrenza globale», il «carovita» ha in realtà portato via dalle tasche delle famiglie italiane qualcosa come 10 miliardi di euro, incidendo regressivamente soprattutto su chi ha di meno e sta peggio. Ma è lo stesso ovunque nel mondo: dagli Usa alla Russia, dall'Europa alla Cina.
Sulla crisi della globalizzazione, sui suoi lati oscuri ho scritto un libro che il 4 marzo scorso è stato segnalato dal Corriere. In ogni caso, a questa altezza di tempo, parlare di beni di prima necessità, di Comuni e di volontariato, in definitiva di povertà, può essere dibattuto e controverso e certo anche criticato, ma ciò che francamente non mi pare giusto è scherzarci sopra.
Giulio Tremonti
McCain è l'unico dei candidati alla Casa Bianca che resiste ai venti di protezionismo e difende il contestatissimo Nafta.
Riguardo Obama e Hillary, che in effetti, parlano con accenti protezionistici, Tremonti dovrebbe preoccuparsi a prenderli come modelli... a meno che la prossima volta non si voglia candidare con il Pd, che ha bisogno di un ministro dell'Economia.
Caro Giavazzi non hai perso tu
di Alberto Mingardi
Qualcuno lo dica, a Francesco Giavazzi, che non è lui che ha perso le elezioni. Ieri il professore della Bocconi ha scritto un editoriale amaro, per ammettere la sconfitta contro i “protezionisti” della nuova maggioranza. Ammirevole, se non fosse che Giavazzi non è il segretario del PD, e nemmeno un suo candidato. Con rispetto parlando, ci sembra che nell’analisi giavazziana ci siano tre errori.
Primo, l’analisi del voto. La schiacciante vittoria del Pdl va veramente interpretata come l’affermarsi nel Paese di chi intende dare risposta ad un'ansia di “protezione”? Dice Giavazzi: “la maggioranza degli italiani ha votato per un candidato che si è impegnato a salvare — con denaro pubblico — un’azienda che perde un milione di euro al giorno”. Senza dubbio, ma quanti l’hanno fatto per questo motivo? In un sondaggio effettuato prima del voto, solo l’8,3% degli elettori ammetteva che le promesse su Alitalia avrebbero influito “molto” sulla loro scelta.
Lo stesso si può dire del dibattito innescato da Giulio Tremonti col suo “La paura e la speranza”. Discussione interessante, animata con passione dallo stesso Giavazzi, ma di necessità confinata a quotidiani letti, tutti insieme (sportivi e locali inclusi), da meno del 10% degli italiani. E’ realistico credere che le elezioni si decidano sulle pagine del Corriere? L'influenza di Tremonti è stata senz’altro rafforzata dal successo della Lega. Ma l‘exploit del partito di Bossi rappresenta un ritorno di fiamma del protezionismo? I nordisti hanno difeso Malpensa, Ora però, su Alitalia, sposano una posizione “giavazziana”: la si lasci fallire. La Lega promette fuoco e fiamme per una riforma liberista come il federalismo fiscale. Sarebbe un errore “appiattire” il Carroccio su una battaglia anti-cinese verosimilmente condivisa soltanto da un segmento del suo elettorato. Mentre molto più rilevante, per spiegare il suo sorprendente 8,3%, è stata l’attenzione ai temi della sicurezza e dell’immigrazione. Lo stesso si può dire, senza grossi esercizi di fantasia, della vittoria di Gianni Alemanno a Roma: pensare che ce l’abbia fatta il “sindaco dei tassisti”, francamente, è esagerare il peso delle proprie ossessioni.
Veniamo al secondo punto critico. Che riguarda la percezione del centro-sinistra. Le elezioni non le ha perse Giavazzi, e neppure il “liberalizzatore” Bersani: il quale, non a caso, è guardato con favore da molti fra quelli che credono che l’immagine del Pd abbia bisogno di una riverniciata. Le elezioni il Pd le ha perse perché non è riuscito a sfilarsi dall’ombra di Vincenzo Visco. Proprio ieri il viceministro ha vantato come “fatto di democrazia” l’ultimo e più odioso dei suoi “regali”: le nostre dichiarazioni dei redditi messe on line sul sito dell’Agenzia delle entrate. Si tratta della negazione totale di qualsiasi diritto alla privacy, di uno stimolo all’invidia sociale, di un invito alla delazione fiscale. Quel Nord produttivo con cui il Pd non riesce ad allacciare un dialogo, ha a cuore questioni che attengono la quota di reddito che viene fagocitata dal Leviatano, e minimi standard di civiltà nel rapporto cittadino-fisco. Il liberismo di sinistra non è credibile, se arriva sul far della sera della tirannia fiscale.
Il terzo errore riguarda le buone ragioni dei liberisti. Giavazzi è convinto che “l’alternativa al mercato ... è una società in cui i privilegi si tramandano di generazione in generazione,” e “chi nasce povero è destinato a rimanerlo”. Vero, ma è altrettanto vero che il liberismo non ha nulla contro le fortune tramandate di generazione in generazione, né contro le posizioni di vantaggio che non siano frutto di una “garanzia dal fallimento” prodotta dalla politica.
Dipingere le liberalizzazioni come una efficace strategia redistributiva può essere premiante sul piano mediatico. Solo che è fuorviante. Una società libera è una società adulta: più incline ad accettare, a tutti i livelli, il rischio - consapevole di opportunità e problemi. L’ “eguaglianza come carriere aperti ai talenti” è parte di questa alchimia, come lo è pure il diritto dei talenti di esprimersi liberamente e di vedersi liberamente remunerare. Ridurre il liberismo a una politica sociale significa sbagliarne il marketing. Da un lato, perché si alimentano false aspettative. Dall’altro, perché non si educa ad accettare la libertà come una sfida - quanto a servirsene per promuovere un certo assetto sociale. Per Giavazzi, bisognerebbe ora aprire un dialogo “coi protezionisti”. Appello che si regge sull’ipotesi dell’identità di vedute fra classe dirigente ed elettori di centro-destra. E che sottende quasi una visione del liberismo come “instrumentum regni” per questa o quella coalizione. Quando invece esso dovrebbe essere ben altro: l’unica offerta politica credibile, da presentare a quel pezzo d’Italia che non si vuole arrendere al declino.
Da Il Riformista, 1 maggio 2008
http://www.ilgiornale.it/a.pic1?ID=258370
interessante l'intervista a La Malfa (che dice cose condivisibili), dall'accenno del giornalista prevedo un bel numero chiuso per l'accesso alle professioni ....
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