Cosa è la libertà rispetto alla Grazia? Allo stesso tempo, nulla e tanto. Nulla perché la libertà non produce la Grazia, tanto perché "la coscienza non può volgersi al bene se non nella libertà" (Gaudium et spes, n. 17)».
E' un passaggio contenuto nella relazione di Luca Diotallevi, sociologo dell'Università Roma Tre, al convegno ecclesiastico di Verona. Una fioca luce di cattolicesimo liberale illumina il tema della «cittadinanza», il modo di agire del cristiano nella sua "città".
A partire dal riaffermare il rapporto di separazione tra Stato e Chiesa. Diotallevi, a fronte della laïcité francese («la ragione dello Stato sacralizza i propri princìpi ed i propri testi, elabora ed impone la propria etica, dà forma all'unico ed uniforme spazio pubblico dallo Stato stesso completamente controllato»), suggerisce il modello della religious freedom americana, ricordando il Primo Emendamento (1791), che esprime un «orientamento alternativo... guidato dall'idea di una società aperta e plurale, articolata in numerose istituzioni – incluse quelle religiose – reciprocamente capaci di controllo e di riequilibrio, di una società non senza politica ma senza Stato (stateless society)».
Da quell'emendamento discende «una coppia di principi»: da una parte, «nessuna integrazione di una organizzazione religiosa nel sistema politico – disestablishment of church»; dall'altra, «l'affermazione del valore essenziale del contributo (dunque tendenzialmente incoercibile) della religione alla vita pubblica – free excercise».
Modello americano, dunque, senza concordati, 8 per mille, entità statuali e privilegi parastatali.
«Non mancano - sostiene Diotallevi - ragioni di fatto e di principio perché i cattolici, e più in generale tutte le confessioni provenienti dalla tradizione ebraico-cristiana, si impegnino ancora per la difesa ed il rinnovamento di assetti istituzionali e culturali nei quali le istituzioni, le organizzazioni e le culture religiose concorrono in varie forme a sostenere ed orientare un regime di separazione tra politica e religione».
E che ne è dei principi «non negoziabili»? Non bisogna rinunciare ad affermarli, naturalmente, facendo attenzione però a che le battaglie di principio non provochino un male maggiore di quello che si voleva evitare. E viene subito in mente il tema dell'aborto: «Quando si lotta – come si deve fare – per estirpare un male dalla vita umana e sociale occorre provvedere a non oltrepassare quel limite oltre il quale il male che l'intervento coercitivo produce si manifesta più grande del male che dovrebbe eliminare... Questo principio, insieme a quello del male minore, si inserisce tra i fondamenti più solidi, non cinici, non relativisti, del realismo cristiano».
Il «male minore» tra i fondamenti «non cinici, non relativisti, del realismo cristiano».
Diotallevi prende di petto anche altre posizioni illiberali molto diffuse nel cattolicesimo italiano. In economia l'approccio che propone è liberista, critica il «presunto "modello sociale europeo"», ricordando che l'Europa non è fatta solo di Francia e Germania, ma anche di Gran Bretagna, Irlanda, paesi scandinavi e baltici. E «ad essere in crisi maggiore sono le economie più fedeli al "modello sociale europeo" ed alle sue versioni più accentuatamente assistenzialistiche e dirigiste».
La Chiesa dovrebbe quindi riconoscere che «non si cresce se non si produce quanto serve alla cittadinanza con imprese ed istituzioni di mercato poco dinamiche, deboli e costantemente minacciate dalla politica e da gruppi di potere protetti. Non si cresce se si lavora così poco ed in così pochi, come avviene in Italia. Non si cresce se si studia e si fa ricerca così poco e male come avviene in Italia e nel nostro pezzo di Europa... E' onesto, pur di evitare questo nodo, darsi ad illusioni pauperiste?».
Le sue sono parole dure, nette. Il nostro paese, avverte, è «prigioniero di gruppi di interesse, disinteressati al cambiamento ed appagati dalla gestione degli ultimi vantaggi ancora consentiti da una decadenza sempre meno improbabile... un circolo vizioso forse non irreversibile, ma di certo già avviato. La qualità della vita non declina altrettanto velocemente solo perché il costo di questo risparmio sul futuro è ancora per la maggior parte sopportato dal crollo demografico, dalla marginalizzazione di tanti, dalla non piena inclusione dei nuovi venuti, dall'esilio imposto a tanti dei migliori (soprattutto giovani)».
Il prof. Diotallevi invita le chiese a essere luoghi di «accoglienza non paternalistica» e a prestare maggiore attenzione alla condizione e al ruolo delle donne nella Chiesa, «la vera cartina al tornasole»:
«Nelle nostre Chiese, quale dignità è riconosciuta a e quale responsabilità è esercitata» dalle donne? «Forse sono proprio le meno sprovvedute, le più istruite, le più volitive e magari le più belle ad incontrare maggiori difficoltà nelle nostre Chiese, perché in maggiori difficoltà mettono noi battezzati maschi?»Il professore di Sociologia affronta anche il tema della politica internazionale, richiamandosi all'ispirazione europeista di De Gasperi, Schuman e Adenauer, i quali «hanno per tempo indicato la strada di una Europa come "superpower – tra altri superpowers – but not superstate" (Blair)»; invitando a non escludere a priori l'uso legittimo della forza; mettendo in guardia dalla pericolosa tentazione dell'anti-americanismo, in cui pure cadono molti cattolici italiani.
Il suo è un approccio decisamente pro-democracy: propone un ordine internazionale «policentrico, in cui i poli caratterizzati da democrazia, economia di mercato, libertà religiosa, libertà scientifica, ecc. sappiano controllare i poli meno liberali tenendoli dentro – finché possibile – mantenendoli in minoranza e stimolandone la positiva evoluzione, piuttosto che escludendoli».
Sostiene con forza il principio del diritto/dovere di ingerenza, ritenendo il rispetto dei diritti individuali prioritario sul rispetto delle sovranità nazionali:
«Una credibile minaccia a sostegno di leggi e trattati ma anche di alcuni diritti individuali, una certa efficace coercizione di chi li viola, il rifiuto di considerare ancora imperseguibili su scala internazionale tiranni che si trovassero anche ad essere formalmente "governanti legittimi di Stati sovrani", e altro ancora, è oggi divenuto meno infrequente perché non consideriamo "guerra" ed abbiamo praticato un certo uso della forza fisica legittima in parte almeno a prescindere dal vecchio modo di intendere i confini statuali».Infine, Diotallevi chiude il suo intervento con un'emblematica citazione da von Balthasar: «Entrambi, il regno del mondo ed il regno di Dio, natura e grazia, conservano la loro dignità soltanto se conservano le loro leggi e la libertà d'azione che sono loro proprie: l'uomo non può realizzare la convergenza dei due campi (in un punto òmega)... Perciò al cristiano è vietata anche quella forma di sintesi che abbiamo chiamato "integralismo"... L'intenzione può essere genuina, ma è spuria l'identità ingenuamente presupposta tra regno di Dio e influsso politico-culturale della Chiesa, che poi in pratica viene identificata con l'influsso di potere di un gruppo di mammalucchi cristiani, che aspirano a conquistare il mondo».
Guardiamoci dalla «tentazione di Babele (Gen 11, 1ss), fosse anche di una Babele confessionale».
1 comment:
Oggi il lumicino liberale è a Vicenza.
Piccolo, striminzito e solo economico...
ma è già qualcosa.
Dall'altra parte credi che arriveranno più libertà individuali e sociali?
Post a Comment