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Tuesday, October 24, 2006

Alla sbarra il «fascismo religioso» al potere in Iran

Mentre il presidente iraniano Ahmadinejad ribadiva che l'Iran «non cederà neanche di un passo» ed esortava le famiglie iraniane a fare più figli (esortazione di moda anche dalle nostre parti, come se fosse il numero a fare la potenza...), proprio oggi si è tenuto a Roma il Consiglio nazionale della Resistenza iraniana.

Al termine si è svolta una conferenza stampa. Un duro atto d'accusa contro il regime degli ayatollah per i crimini commessi contro lo stesso popolo iraniano e per la politica reazionaria e terroristica. Reza Olia, membro del Consiglio, ha biasimato l'Occidente che continua a trattare con Ahmadinejad, ideatore di molti atti terroristici, legittimando così il suo potere. Anche nell'Italia «democratica e anti-fascista», purtroppo, i governi preferiscono trattare con il regime, per salvaguardare i rapporti commerciali, invece di trattare con il popolo iraniano e di appoggiare i gruppi della resistenza.

Albolghasem Rezaii, segretario e rappresentante in Italia del CNRI, ha relazionato sul processo in corso presso la Corte d'Assise di Roma, giunto ormai alle sue ultime fasi, contro i killer e i mandanti dell'uccisione di un dissidente iraniano in Italia, un omicidio politico ideato a Teheran. Nonostante le pressioni e i tentativi di depistaggio, c'è fiducia nel fatto che il Tribunale italiano condanni l'atto terroristico del regime.

Il processo si è rivelato molto utile, perché ha messo in luce le «procedure standardizzate» usate dal regime per far fuori i dissidenti politici che risiedono all'estero. Citando documenti ufficiali, Mohammad Rohani, attivista storico per i diritti umani in Iran, ha accusato il «fascismo religioso» al potere oggi a Teheran e il suo sofisticato sistema di eliminazione e repressione degli oppositori.

Si calcola che in Iran più di cento persone vengano uccise ogni giorno dagli squadroni paramilitari del regime. Rezaii ha anche denunciato l'«ingerenza» iraniana in altri paesi del Medio Oriente, come Iraq, Afghanistan e Libano: rappresenta «una minaccia per tutti».

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