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Monday, February 14, 2005

Errare è umano, ma perseverare... è di sinistra/3

Il carrozzone va, ma rischia di perdere pezzi

Antonio Polito, che conduce il suo giornale, il Riformista, con linea furbetta ma ineccepibile, minaccia di non votare per il centrosinistra se in Parlamento si concretizzasse il no da parte di deputati e senatori della neo-Unione al rifinanziamento della missione militare italiana in Iraq. Si definice «titolare» di un «voto smarrito» e si chiede «se una singola posizione politica può inficiare il suo senso di appartenenza a uno schieramento; se, cioè, vale il suo voto». Ebbene, «dopo lungo travaglio, si è risposto di sì. Per tre ragioni: una morale, una politica e una nazionale».
«Una forza politica è di governo solo se si comporta all'opposizione come si comporterebbe al governo. Deve dunque dedurne (il titolare del voto smarrito, n.d.r.) che, se fosse al governo, il centrosinistra ritirerebbe oggi le truppe dall'Iraq. In piena transizione alla democrazia? Contravvenendo a una risoluzione del Consiglio di sicurezza dell'Onu votata all'unanimità (la 1546)? Rifiutando l'appello del governo iracheno? Mentre anche l'Europa comincia a far qualcosa nel processo di nation-building? Se avvenisse, sarebbe un duro colpo all'attendibilità internazionale dell'Italia. E il nostro piccolo voto smarrito è pure patriottico. Tutto considerato, quel piccolo voto non ha dubbi: la questione irachena (di oggi, non di ieri) ha la valenza morale, politica e nazionale per costringerlo, se del caso, a ritirarsi dal centrosinistra». Leggi tutto
Con una logica stringente, Ernesto Galli della Loggia, sul Corriere della Sera di oggi, sgombra il campo da una altro argomento caro ai catastrofisti in buona e cattiva fede, a quelli che di fronte all'ipotesi, infondata dall'inizio e poi smentita dai fatti, che in Iraq la coalizione sciita di Al Sistani, ieri proclamata ufficialmente vincitrice delle elezioni, vorrebbe introdurre la legge islamica alla base della futura Costituzione irachena, hanno osservato con sarcasmo: «Ecco il bel risultato della guerra di Bush per la democrazia!». In effetti, riconosce Galli della Loggia, questa osservazione «mette in luce una contraddizione che riguarda non solo l'Iraq ma ogni inizio di processo democratico, dovunque nel mondo». Ma lo storico dimostra che è una contraddizione per la quale non solo vale la pena di rischiare, ma la cui ineluttabiltà va accettata.

«Sfortunatamente niente e nessuno garantisce che la maggioranza uscita» dall'uso dei metodi democratici si mostri anche favorevole ai valori democratici. Un rischio «che ha quasi sempre caratterizzato l'inizio di molti processi di democratizzazione, a cominciare, tanto per fare un esempio, da quello dell'Italia post-bellica... è facile immaginare che cosa sarebbe successo di tali valori se avesse vinto il Fronte popolare. Ma sarebbe stata questa una buona ragione, allora, per non tenere le elezioni? Credo che ben pochi risponderebbero di sì».
«In realtà, se si applicasse il principio che le elezioni si debbono tenere solo quando si è ragionevolmente certi che a vincerle saranno forze politiche sicuramente democratiche, la conseguenza più probabile sarebbe una sola: il notevole aumento del numero dei Paesi in cui non ci sarebbero più competizioni elettorali (si pensi solo a tanti Stati sorti dalla fine dell'Urss), e, più in particolare, la durata in eterno di qualunque dittatura. È fin troppo ovvio che quando le dittature finiscono, l'apertura del gioco democratico-elettorale rappresenta un rischio: ma cos'altro può fare se non correrlo chi, come le opinioni pubbliche occidentali, è a favore della democrazia?
(...)
Proprio a causa del rischio di cui sopra non appare per nulla irragionevole, ma anzi auspicabile, l'idea di assicurare dall'esterno una protezione politico-militare alle transizioni dalla dittatura alla democrazia».
Tutte queste cose una sinistra responsabile e di governo dovrebbe riuscire a vederle, e a trarla d'impaccio poteva essere l'intervento di due giorni fa sul Washington Post (censurato da Repubblica) da parte del segretario generale dell'Onu, Kofi Annan, «quando ha invitato sì gli Usa a internazionalizzare ulteriormente la gestione della questione irachena, ma soprattutto ha invitato la comunità degli Stati, anche quelli a suo tempo contrari alla guerra, a sostenere lo sforzo per stabilire un regime democratico nel Paese arabo. Un invito a cui solo il centrosinistra italiano - intenzionato a opporsi al rifinanziamento della nostra missione a Nassiriya - pare che abbia già deciso di fare orecchie da mercante».

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