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Saturday, February 19, 2005

Anni '70. Niente più diritto di tribuna

La statua del Cristo Redentore, Rio de JaneiroAncora "tribune politiche" concesse ai "peggiori" con i loro anni ruggenti. Le tremende responsabilità dei circoli intellettuali e la pretesa "moralità" storica della violenza comunista.

«Il dramma degli anni Settanta non è che a sinistra si fosse peggiori, è che ci sentivamo senza discussione i migliori. La farsa del duemila è che quel sentimento perdura». Andrea Marcenaro (Il Foglio, 17 febbraio 2005)


Tutto è cominciato la settimana scorsa, con l'intervista ad Achille Lollo, rintracciato dal Corriere della Sera comodo comodo in Brasile, a fare il giornalista e non il medico, come aveva sempre desiderato (ma poi qualcosa andò storto...). Lui, per prescrizione dei termini oggi fuori da ogni implicazione giudiziaria, chiama in causa altri vecchi compagni di Potere Operaio per il rogo di Primavalle (due figli di un militante del MSI vennero arsi vivi in casa, 1973). Si apre una settimana di polemiche, fiumi di inchiostro sui giornali, trasmissioni televisive con ampie rimpatriate, interviste radiofoniche fiume.

Verità e pacificazione. Pierluigi Battista cade nel trabocchetto e si fa cantore del solito ritornello: l'amnistia, «ampia e senza deroghe, senza ostacoli del capitolo giudiziario», per chiudere le pagine buie degli anni '70 con verità e pacificazione.
«Forse il prezzo da pagare perché la verità su quegli anni affiori con un accettabile tasso di sincerità non autoassolutoria è la sottrazione di questo doloroso scavo storico e biografico alla tenaglia della perseguibilità giudiziaria. Non un volgare baratto. Ma un patto trasparente... con la promessa dell'impunità per i delitti commessi nel passato in cambio di una confessione completa e verificabile... un'amnistia che liberi ricordi e colpe individuali dalla mannaia giudiziaria, che renda la rilettura del passato libera dal sospetto di secondi fini vendicativi, che promuova ricostruzioni circostanziate, dettagliate, esaurienti non gravate dall'ansia dei verbali di polizia e dalle sentenze pronunciate nelle aule dei tribunali».
Dall'altra parte c'è Giuliano Ferrara, al quale mi associo, con un editoriale di tutt'altro tono: «Serve un mea culpa senza se e senza ma per uscire dagli anni '7O». Innanzitutto descrive perfettamente ciò a cui abbiamo assistito in questi giorni dai Lollo, gli Scalzone e gli altri:
«... preferiscono l'inferno al pentimento. La reticenza è insidiosa, i puntini sulle "i" sono diabolici. Il loro inferno è l'arte della precisazione via agenzia, della messa a punto a mezzo stampa, dell'intervento nell'ultimo talk show, il tenersi in bilico tra ombre giudiziarie ormai evanescenti e giudizio storico sui temibili e non formidabili anni Settanta, magari una ricerca di ripartizione equa delle responsabilità nei casi peggiori».
Ecco, lo dico, io sono contrario a questo "diritto di tribuna" senza fine concesso agli autori di turno della tragica violenza politica degli anni '70. E' ora che tacciano, o che siano fatti tacere, che non gli vengano offerte pagine (se non quelle dei diari personali), microfoni o telecamere, né aule di giustizia. Prevengo ciò che qualcuno può rispondermi: non dico di mettere tutto a tacere, dico che loro devono tacere e che di queste faccende e dei loro loschi autori si occupino gli storici.
«Non sta a loro comparare, classificare, allineare i diversi dolori l'uno accanto all'altro... il demone della contestualizzazione, della spiegazione meticolosa, dell'equilibrio nella valutazione dei fatti, va lasciato ad altri, a coloro che sono in grado di raccontarla, non più nei tribunali ma nella ricostruzione e nella riflessione».
«Resiste la speranza - ad esprimerla è Ferrara - che i qualcuno degli anni Settanta, o qualcuno tra loro, si decida a produrre il testo di un vero, esauriente, struggente pentimento, di un cambiar d'animo senza se e senza ma, senza condizioni e postille, senza preoccupazioni di altro genere che non siano quelle di dire "il mio delitto" e chiedere perdono».
Quella menzogna della "guerra civile". Neanche questo, non mi interessa il pentimento e l'eventuale perdono, che sono fatti così intimi e personali, né la pubblica ammenda, ipocrisia che non serve più a nessuno, e quel «cambiar d'animo», lo spero per loro. «Clemenza in cambio di verità» è il motto di Battista, ma è uno scambio impari. Le verità giudiziarie esistono di già, quella storica si fa strada a passi da gigante. Guardateli in tv, coperti dalla prescrizione, o accolti dagli amici francesi, vogliono ancora dire la loro, in quel linguaggio delirante da rivendicazione-comunicato, lanciano "messaggi" ai vecchi compagni, interpretano, contestualizzano... fanno politica, questo è il punto. Non sono atti disinteressati di verità, contributi alla storia di quegli anni, ma inseguono, ancora imperturbabili, un obiettivo politico, e insieme personale: l'amnistia. Il tramite è la mistificazione e la menzogna, accreditando l'idea di una "guerra civile" strisciante negli anni '70, da chiudere politicamente con l'amnistia.

Ma l'amnistia è un provvedimento politico che riguarda un altro scenario, quello di massa, che ha portato la firma di Togliatti e che vide coinvolti, l'uno contro l'altro, milioni di italiani, a seguito della caduta del fascismo, nel 1943. Per Lollo & Co. vale il reato di "banda armata". Questa menzogna va smascherata. La scelta della lotta armata più o meno clandestina negli anni '70 ha riguardato minuscole componenti, avulse dal contesto sociale ed operaio, che mai si schierò dalla loro parte, in nessun modo ed in nessuna circostanza. Mai divennero "movimento rivoluzionario". Né lo stato italiano cedette mai al riconoscimento politico che questi gruppi cercavano, né la comunità internazionale ha mai riconosciuto all'Italia un "deficit democratico" che legittimasse i gruppi eversivi.

Il peso del "clima intellettuale". Né verità dunque, che c'è già, ma neanche alcuna pacificazione nazionale visto che la violenza che riguardò e terrorizzò tutti fu in realtà "affare" di poche bande criminali. Ma come gli è stato possibile, in poche decine, terrorizzare per un decennio milioni e milioni di persone oneste e di ragazzi che con passione politica chiedevano di partecipare alla vita democratica del Paese e di ammodernare la società e la famiglia in cui vivevano?
«Che l'antifascismo militante sia uno dei crimini impuniti più odiosi della storia della Repubblica, un crimine anche politico che toccò personalità e firmatari di appelli tra i più illustri e in vista della nostra vita pubblica, noi e i nostri lettori lo sapevamo da prima che la prescrizione rimettesse in gioco le emozioni di trentadue anni fa».
Il clima di quegli anni, gli anni "di piombo", fu reso possibile dalla copertura ideologica e dalla giustificazione morale di cui quelle poche bande armate godevano presso i più influenti circoli intellettuali (con futuri premi Nobel e consorti), editoriali, accademici e politici del Paese. Come non ricordare "i compagni che sbagliano", "uccidere un fascista non è reato", il "soccorso rosso" e così via. La violenza antifascista era giustificata perché "pura", dotata di una pretesa "moralità" della storia contro l'orrore assoluto: il fascista. Le teorie dietrologiche e complottistiche, che arrivarono ad additare di volta in volta le vittime stesse di quella violenza, o la Cia, la Dc, lo Stato nello Stato, il nemico di classe, il commissario di polizia, servirono come difesa a oltranza dei veri colpevoli e incoraggiamento alla lotta armata.

E quegli stessi intellettuali di allora oggi fanno spallucce: "che altro potevamo dire", non era che quello lo "spirito dei tempi". E' sventurato quel Paese nel quale il ceto intellettuale insegue le mode del momento e fonda le proprie glorie sul conformismo. No, questo alibi va respinto. Si poteva e si doveva denunciare, prendere le distanze, isolare, dare voce a quei milioni di italiani "qualunque" (e ce ne sono, se ne ricordano) che percepirono la realtà di ciò che stava accadendo ma dovettero assistere in silenzio. Furono gli anni dei peggiori, degli infami che oscurarono la vita e la giovinezza di intere generazioni, terrorizzarono milioni di vite oneste conculcandone desideri, aspirazioni, passioni politiche.

Concludo con Adriano Sofri, che su la Repubblica, ricordando Primavalle, si rivolge ai giovani di oggi, agli anarcoinsurrezionalisti autori di qualche porta bruciacchiata a Pisa.
«A chi intraprende una carriera di combattente armato le cose potranno andare male, e allora perderà precocemente la vita. Gli potranno andare malissimo, e allora ammazzerà qualcuno».
E il loro destino in questo caso è quello di Lollo...
«... di chi deve sopravvivere per più di trent'anni al proprio tormento, per finire col dire micidiali sciocchezze a un intervistatore e fare i nomi di antichi amiche e amici. Per amore di verità? Sapreste dire di sì senza ridere? Statemi a sentire aspiranti combattenti, nell'ombra delle stanze in cui addestrate la vostra epopea parallela, guardatevi in faccia voi ragazze, voi ragazzi, e immaginatevi fra trent'anni e più, da qualche tropico di scorta, a fare i vostri reciproci nomi scampati al setaccio imminente. Non ce n'è abbastanza per salutarvi, correre fuori e respirare l'aria fresca a pieni polmoni».

2 comments:

Anonymous said...

Condivido tutto.

All'epoca un intellettuale estraneo ad ogni conformismo ci fu e ci ha lasciato, proprio a noi, con il suo apprezzamento, la sua ultima denuncia e profezia.

JimMomo said...

Ti ringrazio cara KrilliX.