Pagine

Wednesday, February 16, 2005

Giro di vite su Damasco

Mentre a Beirut si celebravano i funerali dell'ex premier Hariri assassinato con 1000 chili di esplosivo, e l'assistente segretario di Stato americano William Burns ribadiva la richiesta di «ritiro completo e immediato da parte della Siria di tutte le sue forze dal Libano», in modo da consentire al popolo libanese «di fare le proprie scelte politiche e condurre per proprio conto queste elezioni, libero da interferenze e intimidazioni esterne», Iran e Siria stringevano un'alleanza di ferro contro Stati Uniti e Israele.

I due Paesi «resisteranno contro le diverse pressioni degli Usa e di Israele». Questa la dichiarazione del primo ministro siriano Mohammad Naji al Otari, in visita a Teheran. Tali pressioni «rafforzeranno le relazioni» tra i due Paesi. Nel frattempo, a Washington destano preoccupazione i negoziati in corso tra la Russia e la Siria per la fornitura di sofisticati missili a corto raggio della classe Strelets. Gli Usa «non sono favorevoli al fatto che armi, di quasiasi tipo esse siano, vengano vendute a Stati che appoggiano il terrorismo». In vista, si sussurra a Foggy Bottom, c'è un ulteriore giro di vite nei confronti del regime siriano.

Quello all'ex premier Hariri era un attentato preannunciato, ha scritto oggi Magdi Allam sul Corriere della Sera:
«Si conosceva l'esistenza di un piano terroristico. Si conoscevano i nomi delle vittime designate. Si sapeva che l'attentato non si sarebbe potuto realizzare senza il benestare dei servizi segreti siriani. Si sapeva che la destabilizzazione del Libano era la risposta della Siria all'ultimatum dell'Onu.

L'obiettivo evidente dell'assassinio di Hariri è riportare indietro di trent'anni le lancette dell'orologio in Libano, riesumando il clima di guerra civile che favorì nel 1976 l'arrivo delle forze siriane. Damasco ritiene improponibile la fine della sua tutela sul Libano da sempre considerato parte integrante della "Grande Siria"... Semplicemente perché la Siria disconosce di fatto l'indipendenza e la sovranità del Libano, così come rifiuta di allacciare normali relazioni diplomatiche».
La strada intrapresa dal dittatore siriano Bashar al Assad, a capo di un partito ideologicamente affine al Baath in Iraq, è la stessa intrapresa da Saddam Hussein a partire dal 2 agosto 1990.
«Entrambi hanno avuto la reazione estrema di chi si sente con l'acqua alla gola a casa propria e assediato da ogni lato. Entrambi hanno optato per una valvola di sfogo esterna colpendo molto in alto, destabilizzando dalle fondamenta lo status quo. Immaginando che far esplodere un'emergenza internazionale al di fuori dei propri confini possa quantomeno allontanare il rischio dell'implosione interna al proprio regime. Al pari di Saddam, Assad ha di fatto dichiarato guerra non solo all'opposizione libanese che esige il ritiro delle forze siriane, ma anche a Stati Uniti, Francia e all'insieme dell'Onu che hanno avallato questa rivendicazione con la risoluzione 1559».
Ma il contesto internazionale, l'impegno a sostenere un nuovo corso libero e democratico in Libano e in Medio Oriente, e interno al Libano, dove «per la prima volta è emerso un ampio e autorevole fronte di opposizione al regime, al potere e alla Siria, in cui confluiscono esponenti di tutte le etnie e confessioni», mostrano che Assad potrebbe aver fatto male i suoi calcoli: «L'assassinio di Hariri potrebbe segnare l'inizio della fine del suo regime dittatoriale e sanguinario».

No comments: