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Monday, February 21, 2005

Bush offre all'Europa una nuova alleanza. Ultimo treno per la storia

Bush e ChiracBush si presenta in Europa con la magnanimità di chi ha avuto ragione. Ma Chirac e Schroeder non sono disposti a riconoscergliela. Nuovo capitolo della grande contesa tra "stabilità" e "democrazia", tra il Congresso di Vienna e la Conferenza di Terranova che diede vita alla Carta Atlantica

La contraddizione che Washington nutre al suo interno nei confronti degli "amici" europei dominerà, oltre ai singoli capitoli dell'agenda globale, la visita di Bush in Europa. Da una parte gli Stati Uniti vogliono fortemente l'Europa come l'Europa aspira ad essere: un effettivo attore globale capace di colmare l'attuale gap di forza militare, proiezione di potere e fermezza diplomatica. Dall'altra temono che favorendo questo processo prevalga la visione franco-tedesca dell'Europa unita che eserciti, in un sistema internazionale multipolare, un ruolo di contrappeso, e non di partner, nei confronti dell'America.

Bush mostrerà di avere fiducia, darà credito all'Europa unita, ma non senza condizioni. Sosterrà l'idea di un'Europa forte, potenza economica e politica, perché l'America ha bisogno di un'Europa forte come partner di eguale dignità, saluterà quindi la sua Costituzione e la politica estera comune. Ma, c'è un ma: questa partnership tra "eguali" interessa all'America solo se ha un obiettivo sul quale il presidente non è disposto a transigere: un duro lavoro per l'avanzamento della libertà nel mondo. Questa è la condizione: la libertà, non lo status quo, come missione e patto della nuova alleanza.

L'obiettivo del presidente americano sembra essere quello di sondare quale sia la direzione che questa Europa unita ha intenzione di intraprendere. Sorrisi e pacche sulle spalle serviranno a sciogliere il ghiaccio di questi quattro anni e a cercare di convincere i leader europei a rinnovare la partnership transatlantica. Bush offrirà la propria disponibilità a un dialogo sinceramente multilaterale, dotato anche di rinnovati, o nuovi, strumenti istituzionali. Ma - ed è la vera incognita - gli europei dovranno accettare che l'impegno per la promozione di libertà e democrazia, contro la proliferazione nucleare e il terrorismo (se necessario con l'uso della forza militare), e non il mantenimento dello status quo, della stabilità, sarà alla base della nuova alleanza. Se mi si concede la semplificazione, a confrontarsi sono due concezioni delle relazioni internazionali: quella tipica centroeuropea, alla ricerca dell'equilibrio tra potenze, che trova la sua massima espressione nel Congresso di Vienna (1812), e quella soprattutto americana, alla ricerca di un ordine mondiale basato sui principi, come quello tracciato da Roosevelt e Churchill alla Conferenza di Terranova che diede vita alla Carta Atlantica (1941).

Al di là dell'Atlantico non è possibile separare facilmente in due schieramenti definiti e contrapposti quanti tendono all'ottimismo e quanti sono vinti dalla preoccupazione rispetto al futuro ruolo dell'Europa. Commentatori e analisti si dividono spesso a prescindere dall'area culturale di appartenenza. Persino Robert Kagan, il teorico della diversità tra gli Stati Uniti (Marte) e l'Ue (Venere), avverte un cambiamento di clima, e sollecita la destra «a seppellire una volta per tutte l'assurda paura che l'Ue divenga una superpotenza ostile».

Il conservatore Joe Cimbalo, su Foreign Affairs, ritiene invece che «l'integrazione politica dell'Ue è la massima sfida all'influenza dell'America in Europa dalla seconda guerra mondiale». Due ex segretari di Stato, realisti, Henry Kissinger e George Shultz, esortano il presidente a formare un «Gruppo di contatto» sull'Iraq, sul modello di quello sui Balcani, e invitano gli europei a ricambiare: «Non devono svergognare l'alleanza rifiutando di prendere parte al processo politico iracheno».

Il presidente Bush non deve cedere alla pressione di francesi e tedeschi, sostenendo la Costituzione europea e l'idea di una politica estera e di sicurezza comune. Vi è, in questa raccomandazione di Nile Gardiner e John Hulsman, della Heritage Foundation, la preoccupazione di una leadership franco-tedesca, rafforzata da istituzioni più forti, e guidata da una concezione dell'UE di contropotere globale rispetto agli Usa.

Dall'area clintoniana sembrerebbe giungere il sostegno più esplicito all'approccio con il quale il presidente Bush si prepara ad affrontare il tour europeo. Ivo H. Daalder e Charles A. Kupchan, sul Los Angeles Times, si iscrivono tra gli ottimisti: invece di «lavorare a dividere la Gran Bretagna, l'Italia e la Polonia dall'asse franco-tedesco, l'amministrazione dovrebbe salutare positivamente un'Europa unita» con una singola voce in politica estera che lavora a rafforzare la sua capacità militare.

Ma neanche i due clintoniani si nascondono i pericoli: «Se l'identità e le politiche europee saranno lasciate alla Francia - avvertono - l'Unione potrebbe rivolgere il suo potere economico e militare contro gli Stati Uniti». Ma se prevarranno i sostenitori di una forte alleanza transatlantica, gli interessi europei saranno «paralleli» a quelli americani. Bush, riconoscono, «potrebbe essere il nostro prossimo gradito ambasciatore per politiche da cui trarranno benefici sia gli Stati Uniti che l'Europa». L'Europa non ha più bisogno di un «guardiano strategico» della sua sicurezza. Bush deve sostenere le attuali aspirazioni verso un'Europa unita per guadagnarsi la simpatia e il sostegno degli europei. Ma, concludono, dovrà comunque portare a casa un'agenda concreta di cooperazionze Usa-Ue per il Medio Oriente.

A sottolineare le profonde differenze strategiche tra Stati Uniti ed Europa è Mark Steyn, sul Sunday Telegraph. Al di là di possibili convergenze, o divergenze, su singoli capitoli, le differenze tra Europa e Stati Uniti non sono tattiche, ma di natura concettuale. Lo si vede nei diversi linguaggi utilizzati: la parola chiave del vocabolario di Bush - "libertà" - sembra non esistere affatto in quello di Chirac e Schroeder, che preferiscono parlare di "stabilità". Un esempio? Il discorso del Cancelliere alla recente conferenza di Monaco. Jim Hoagland ha scritto sul Washington Post che gli europei «non sono pronti». Le «crescenti speranze» su entrambe le sponde dell'Atlantico che Europa e America possano «rapidamente» costruire un nuovo consenso su una strategia globale porteranno «rapidamente a nuove delusioni. Tenere sotto controllo retorica e aspettative», è il suo consiglio.

La posizione neocon è affidata all'analisi di Gerard Baker, sul Weekly Standard. Il principale messaggio di Bush all'Europa sarà: "We care". L'intenzione è quella di tornare ad "abbracciare", dopo quattro anni di freddezza, gli alleati europei, consapevole che un'Europa ostile non serve agli interessi americani. Per guadagnare alleati nella lotta globale per la libertà, l'amministrazione si è decisa a fare di tutto per «superare gli steccati, senza mettere in discussione le sue priorità».

In questo obiettivo del viaggio europeo di Bush, nel mostrare «la parte meno marziana e più venusiana» dell'America, c'è un pericolo. Può cioè finire per appoggiare una visione di Europa che è all'opposto degli obiettivi di lungo termine americani. E' saggio cercare una cooperazione, ma sarebbe una sorta di «terribile ironia se con i suoi lodevoli sforzi per raggiungere gli europei, gli Stati Uniti spingessero l'Europa precisamente nella direzione sbagliata», contraria alle speranze di coloro che nel mondo aspirano alla libertà.

Gli ultimi eventi (elezioni in Iraq, morte di Arafat, elezioni in Ucraina) hanno tirato fuori il lato migliore di ciascuna delle due sponde dell'Atlantico. Poi ci sono l'Iran, dove gli europei vedono solo l'approccio della "carota"; la revoca dell'embargo di armi alla Cina, e quanto gli europei si sforzano di giustificare una decisione senza senso dimostra la loro determinazione; e l'Iraq con la trasformazione democratica del Medio Oriente, che rimane il punto di maggiore controversia. Non piccoli inconvenienti tattici, ma una profonda diversità di visioni. Bush rimane impegnato per un cambiamento rivoluzionario del mondo, convinto come Reagan che la sicurezza dell'America è legata all'avanzamento della libertà. Gli europei sono più orientati verso la difesa dello status quo: stabilità, non libertà, è l'obiettivo.

Le differenze sono note, ma di nuovo c'è il crescente impegno dei leader europei per migliorare una strategia globale capace di bloccare gli Stati Uniti nel perseguimento dell'obiettivo di combattere le tirannie. L'Unione europea è guidata dai suoi principali architetti (Chirac soprattutto) verso un ruolo globale di controbilanciamento del potere americano: nel 2005 i temi più controversi nelle relazioni transatlantiche derivano da iniziative europee: con l'Iran e la Cina. Con la Cina è in corso il tentativo condotto dalla Francia di porre le basi per una forte relationship tra Bruxelles e Pechino, per assicurarsi reciproci benefici come poli in contrapposizione agli Stati Uniti.

I fautori di questo progetto di sistema multipolare, sostiene Baker, utilizzano il processo di integrazione europea e l'idea di una politica estera e di difesa comune per "silenziare" le posizioni dei singoli Stati filoatlantici. Un altro strumento è quello di indebolire l'istituzione atlantica in cui Usa e alleati europei hanno maggiore peso: la Nato. Rendendo la Nato un «pezzo da museo» e sostituendola con una partnership strategica di "eguali" (un dialogo al posto di un'alleanza) si rafforzerebbe la capacità europea di contrappeso rispetto al potere americano.

E' sbagliato sottovalutare l'Europa, ritenere che sia una potenza destinata all'irrilevanza globale, per motivi economici, demografici e militari. L'Europa mantiene la capacità di sabotare gli obiettivi americani: «Come le strategie su Iran e Cina dimostrano, anche una debole e divisa Europa, come i lillipuziani con Gulliver, può complicare la libertà di manovra americana». Un'Europa unita potrebbe solo peggiorare questi intenti. Se nessuno vuole che si ripetano questi quattro anni di freddezza, sarebbe però un errore per gli Stati Uniti incoraggiare una visione di Europa come contrappeso, e non partner, dell'America. Se Bush non può persuadere le istituzioni europee ad impegnarsi per diffondere la democrazia, può persuadere gli europei, l'opinione pubblica, e sostenere i suoi tanti amici nel continente che non vogliono un'Europa che sia di ostacolo all'America.

4 comments:

Anonymous said...

Federico sei davvero bravo.

JimMomo said...

Mille grazie.

Anonymous said...

Complimenti! Scrivi anche da qualche altra parte: giornali, riviste?
Luisa

JimMomo said...

No, Luisa, per ora no.
Lavoro al sito di Radio Radicale e sono riuscito a pubblicare qualche articolo (li vedi sulla colonna di destra del blog). Niente di più. grazie.