Chiusi i seggi in Kirghizistan per le elezioni parlamentari (75 membri della Jogorku Kenesh, l'assemblea legislativa monocamerale), un test importante a otto mesi dalle presidenziali. L'opposizione denuncia brogli e irregolarità. «Questa non è un'elezione libera, corretta e trasparente», denuncia l'ex ministro degli Esteri, Rosa Otunbayeva, che ha parlato di violazioni della legge elettorale «ovunque nel paese». «Corruzione, contraffazione e minacce si stanno verificando in tutto il Paese oggi», denuncia anche Muratbek Imanaliyev, un altro ex ministro degli Esteri, in una conferenza stampa improvvisata di fronte al Parlamento. In migliaia sono scesi in piazza nei giorni scorsi per protestare contro l'esclusione di alcuni candidati esponenti dell'opposizione. L'affluenza sarebbe sotto il 50 per cento, ma i risultati preliminari dovrebbero essere diffusi domani.
Queste elezioni metteranno alla prova la reale volontà del presidente Askar Akayev di rispettare gli impegni a proseguire sulla via della democrazia. Secondo quanto prevede la Costituzione, non dovrebbe poter concorrere a un terzo mandato. Tuttavia, l'opposizione teme che dalle elezioni odierne esca un Parlamento prono nei confronti del presidente, che cambi la Costituzione permettendogli di ricandidarsi. «Non ho mai avuto, e non ho intenzione di cambiare la Costituzione», ha negato oggi il presidente kirghiso.
Una delle organizzazioni non governative coinvolte nel monitoraggio delle elezioni, la Coalizione per la democrazia e per la società civile, ha confermato che i suoi osservatori hanno rilevato diverse irregolarità nei seggi. L'Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa (Osce), che ha dispiegato nel paese 200 osservatori, fornirà un rapporto domani a mezzogiorno (ora italiana).
Akayev ha accusato l'opposizione di mirare a una rivoluzione con l'aiuto di forze straniere. Una posizione simile a quella russa, tenuta dal Cremlino in occasione della "rivoluzone delle rose" in Georgia e di quella arancione in Ucraina. Il Kirghizistan potrebbe divenire infatti una nuova tessera di quel domino democratico messo in moto da Tbilisi e Kiev. Forse non in questa occasione, ma a ottobre in occasione delle elezioni presidenziali. Non sembra che la mobilitazione popolare e l'attenzione internazionale abbiano ancora raggiunto la massa critica necessaria.
Una domanda tormenta Vladimir Putin: la orange revolution di Kiev si diffonderà ai Paesi vicini, Russia compresa? Con i suoi uomini, Putin è convinto di sì, scrive Michael Meyer su Newsweek International. Gli stessi analisti russi ipotizzano uno scenario-Kiev nello spazio ex sovietico (Bielorussia, Moldova, Asia centrale) e Grigory Yavlinsky, leader del partito liberale moscovita Yabloko, prevede che l'"effetto domino" potrebbe presto raggiungere la Russia. Dopo la Georgia, l'Ucraina, e la Romania, anche Kirghizistan, Bielorussia, Moldova, Azerbaigian e Kazakhstan manifestano cenni di disagio a essere trattate come "ex", e aspirano a un'autodeterminazione piena, fatta sì di buoni rapporti con l'immenso vicino, ma anche di società libere prive di pressioni esterne (lo speciale di RadioRadicale.it: Putin teme l'effetto domino della rivoluzione ucraina)
Se la "rivoluzione delle rose" guidata da Mikhail Saakashvili a Tbilisi, alla fine del 2003, poteva sembrare un caso isolato, i fatti di Kiev hanno reso chiaro che in gioco non c'è il semplice interesse nazionale, ma popoli di una regione intera che hanno deciso per il cambiamento e la libertà. In questi Paesi sono sorti in pochi mesi movimenti, per lo più di giovani attivisti, che si ispirano alla orange revolution ucraina e alle campagne nonviolente. Infatti, le "rivoluzioni" in Ucraina e Georgia non sono state guidate dai tradizionali partiti politici di opposizione, o non solo, quanto piuttosto da grandi gruppi ben organizzati di giovani che hanno occupato le strade e che hanno fatto di internet il principale strumento informativo, organizzativo e persino di aggregazione, aggirando i divieti.
In una recente intervista l'ambasciatore Usa Stephen Young ha avvertito che eventuali intoppi al processo democratico kirghiso potrebbero far peggiorare le relazioni bilaterali. Il Ministero degli Esteri kirghiso ha replicato bollando l'intervista come «un tentativo di interferire negli affari interni del Paese». Il Kirghizistan ospita un'importante base aerea Usa, cruciale per le operazioni in Afghanistan, e una base russa.
Migliaia di manifestanti hanno bloccato per molti giorni la scorsa settimana due importanti autostrade per protestare per l'esclusione di alcuni candidati. I blocchi sono stati rimossi ieri, ma i candidati esclusi hanno annunciato che avrebbero chiesto agli elettori di esprimere la loro insoddisfazione votando contro tutti i candidati. In Kirghizistan, come in altri paesi dell'ex Urss, è permesso il voto contro tutti i candidati. Se la maggioranza in un particolare collegio opta per questa scelta, si deve convocare una nuova elezione.
Fonti: Reuters, Apcom, RadioRadicale.it
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