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Sunday, February 20, 2005

Gli sciiti non sono tutti uguali

Furono i liberal, da Carter in poi (che invitò ad abbandonare un'irrazionale «paura del comunismo che ci ha portati a sostenere ogni dittatore che si sia unito a quella nostra paura»), scrive Robert Kagan sul Washington Post di venerdì scorso, a criticare le politiche della Guerra Fredda che consideravano l'universo comunista come un monolite con il quale evitare ogni forma di apertura di dialogo e di credito. Un'intuizione che se indebolì le difese ideali americane nei confronti di regimi comunisti e nazionalisti non strettamente riconducibili all'orbita sovietica, tuttavia permise all'America di avvantaggiarsi delle divisioni interne all'avversario e diede la possibilità di sviluppare positivi rapporti con altri fenomeni della sinistra globale: socialdemocrazia, euro-comunismo, sindacati, teorici della "terza via". Sarebbe stato un errore etichettarli tutti come "comunisti".

Ora però - questa è la contraddizione - quelle stesse opinioni liberal, basta leggere il New York Times, o ascoltare CNN, non riescono a distinguere alcuna differenza nell'universo sciita e sostengono che la vittoria della coalizione sciita di Al Sistani nelle elezioni irachene porterà alla costituzione di una Repubblica islamica in Iraq, come quella degli ayatollah in Iran e quindi l'amministrazione Bush si sarà procurata con le sue stesse mani un nuovo nemico. Così come durante la Guerra Fredda con i comunisti, trasformare il mondo sciita in uno stereotipo non aiuta gli Stati Uniti nel perseguimento dei propri interessi. Leggi tutto l'articolo

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