«La decisione di Mubarak è un indubbio cedimento all'energica e risoluta volontà di Bush di diffondere la democrazia nel mondo arabo... E' questo il vero cambiamento. E che si innesta sull'onda lunga della rivoluzione democratica in Iraq. Piaccia o meno, ma il Medio Oriente sta cambiando in meglio, grazie all'America di Bush».«In tutto il mondo arabo ora spira un vento nuovo», dice Emma Bonino in un'intervista al Corriere:
«Le pressioni interne sono state molteplici: dal movimento Kifaia! ("Basta!") alla nascita del nuovo partito liberale Al Ghad ("Il Domani"), guidato appunto da Nour; dalle critiche dei media e delle donne. Pressioni che si son fatte molto più coraggiose in concomitanza con le richieste americane, molto esplicite, ed europee, più timide, di maggiore democrazia. E credo che sarebbe bene che anche gli europei smettessero di demonizzare pregiudizialmente gli americani, esaltando ad esempio i "resistenti" iracheni, e imparassero a decifrare meglio l'antiamericanismo di regime che ci viene spesso propinato... Tutto ha contribuito a creare nell'area una situazione in cui il puro status quo non era più sostenibile».Sempre questo giornale, tornato grande con Paolo Mieli, riporta una petizione firmata da 200 intellettuali siriani. «Via dal Libano», scrivono al presidente Bashar Al Assad:
«Ritirare immediatamente le truppe dal Libano e adottare una nuova linea politica che tenga contro degli sviluppi seguiti all'assassinio di Raflk Hariri, per instaurare una relazione sana ed egualitaria con il Paese confinante».Dagli altri quotidiani vi segnalo l'onestà de il manifesto (Egitto, la "svolta" di Mubarak) e i soliti paraocchi di la Repubblica (Egitto, elezioni presidenziali. Mubarak cambia le regole, solo a pagina 9, mentre in prima Eugenio Scalfari: L'Europa di fronte all'America imperiale).
Onesto il cammino intellettuale di Giuliano Amato, dai ripostigli della Fed (non si è fatto vivo neanche per i Radicali il ciarlatano) al Sole24Ore. «Bush riconosce l'Europa. Ora diamoci una politica» è il titolo. «Positivo», scrive, il gesto di Bush «di venire da noi, rendendo omaggio all'Unione europea e riallacciando rapporti», ma ora dobbiamo (noi europei) affrontare due questioni:
«La prima è come vediamo il mondo, perché lo vediamo in modo ancora diverso; la seconda è come e in quali sedi cercare di comporre le nostre visioni e di impostare il lavoro comune.«Non possiamo non accorgerci», conclude Amato che questi atteggiamenti «sono tanto complementari da renderci in qualche modo necessari gli uni agli altri». Volesse il cielo che decidesse di trasformare in politica le sue riflessioni accademiche.
(...)
Almeno dai tempi di Wilson l'America si sente investita di una funzione nel mondo, che è quella di diffondervi la libertà e la democrazia e di farlo senza tanti riguardi per lo status quo. Per converso l'Europa, almeno l'Europa uscita dalla seconda guerra mondiale, sente talmente il peso dei conflitti che i suoi Paesi hanno scatenato nella storia passata, del sangue che hanno fatto versare, degli effetti non sempre controllabili della promozione dell'instabilità, da coltivare piu la prudenza che il rischio, più la gradualità che la rottura, più la persuasione che l'aggressione. Si tratta dunque di virtù, ma anche qui non è detto che i risultati siano sempre virtuosi...»
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