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Saturday, May 13, 2006

Il manifesto di Ventotene entra nei Classici

Altiero SpinelliDa non perdere il libro di prossima uscita (il 16 maggio) «Il manifesto di Ventotene». Lo storico manifesto federalista di Altiero Spinelli, Ernesto Rossi ed Eugenio Colorni entra a far parte dei classici Mondadori (240 pagine, 8,40 euro) con la prefazione di Colorni, un saggio di Lucio Levi e la presentazione di Tommaso Padoa-Schioppa, anticipata oggi dal Corriere della Sera.

Padoa-Schioppa spiega che «accogliere per la prima volta un'opera in una collana classica significa riconoscere e sollecitare una mutazione del suo rapporto con il tempo. Riconoscere che l'opera appartiene non più solo al tempo in cui fu scritta, bensì a tutti i tempi». Ma significa anche «sollecitare a distinguere "ciò che è vivo e ciò che è morto" in essa, quanto vi sia di durevole da quanto sia legato alle circostanze in cui nacque. Senza quelle circostanze l'opera non sarebbe nata; eppure esse sono parti caduche da cui l'opera va liberata...»

Chi ha avuto modo di leggere il manifesto di Ventotene sa bene cosa ha voluto dire Padoa-Schioppa. Stupisce infatti l'attualità della riflessione e dello spirito del manifesto, ma la descrizione della «situazione rivoluzionaria» pecca di ingenuità e anche l'analisi economica e sociale mostra tutti i segni del tempo. Se infatti la distanza dal comunismo è netta, si fa affidamento su estese nazionalizzazioni nei settori strategici. Sorprendente invece la critica al «sindacato monopolista» e al corporativismo d'ogni specie.

Tuttavia, avverte Padoa-Schioppa, «chi punta il dito sulle parti caduche di un'opera classica per screditarla e dichiararla morta non sa come veramente nasca un'idea destinata a durare né che cosa sia un classico. È proprio dal suo impregnarsi di circostanze storiche per definizione uniche e irripetibili, che una grande persona trae una verità, un messaggio che trascende quelle circostanze e vale per altri tempi e altre circostanze».

Anche perché fu lo stesso Spinelli «il primo a staccare pezzi di gesso rimasti attaccati alla statua del 1941... ritornò sul Manifesto per rilevare errori di previsione e valutazione. Un'operazione critica che Spinelli non avrebbe compiuto se non fosse stato contemporaneamente, e con una medesima urgenza, uomo di azione e uomo di pensiero».

18 comments:

Anonymous said...

Era ora..Lo dovrebbero far leggere a scuola.

Anonymous said...

Io dico invece che il manifesto di Ventotene ha fatto molti danni alla cultura politica italiana e all'idea di Europa congeniale per il nostro Paese.

Le radici politico-filosofiche di questo testo affondano nelle speculazioni della prima metà del XIX secolo, in cui isolati intellettuali, all'indomani del crollo napoleonico, immaginarono, avulsi da qualsiasi riferimento alla realtà storico-politica che vivevano, nientemeno che un "governo europeo" sulla base di una confederazione di Stati.

Inutile dire che la storia ha dimostrato eloquentemente che la pace e la diffusione della rivoluzione industriale sul Vecchio Continente sia stata invece preservata per ben 40 lunghi anni dall'equilibrio delle forze e dal principio di legittimità (e la conseguente solidarietà sui valori conservatori tra le cosiddette "corti orientali"). Dal 1815 (Congresso di Vienna) al 1853 (Guerra di Crimea), il continente europeo visse pace e sviluppo. Ciò, in modo niente affatto paradossale, fu propedeutico all'emergere, negli anni '30 e '40 del XIX secolo, delle idee liberali, nazionali e democratiche, che finiranno successivamente per configurarsi come forze profonde di cambiamento storico.

Jim, un modesto consiglio: getta il manifesto di Ventotene, leggi L'arte della diplomazia di zio Henry. Quello, negli USA, è molto più di un classico nelle Università più prestigiose. Ed è stato scritto nel 1996....

JimMomo said...

Molto utile Daniele, è chiaro che siamo agli antipodi. Tu sei per la politica internazionale del congresso di Vienna (madre di realismi, cinismi, relativismi), io sono per quella della conoferenza di Terranova (carta altantica etc.)

http://www.radicali.it/newsletter/view.php?id=33948&numero=526&title=NOTIZIE

Anonymous said...

No. Non c'è possibilità di contrapporre frontalmente la logica di Vienna 1815 con quella di Terranova 1941. Anzi.

La logica nascente della guerra fredda e dell'equilibrio ideologico-strategico sta alla base di Terranova. La logica dell'equilibrio delle forze e del legittimismo conservatore sta alla base di Vienna. In entrambi i casi, l'equilibrio è geopolitico e si basa sul collante ideologico.

Con due differenze fondamentali. Primo: a Vienna, il collante ideologico è parziale (alla Santa Alleanza non parteciperà il Regno Unito). A Terranova, si getteranno le basi affinché il collante ideologico sia totale, pervasivo, globale.

Secondo: a Vienna si congegnerà il primo caso di "concerto" europeo, di diplomacy by conference (art.6 del trattato del 20 novembre 1815, istitutivo della Quadruplice Alleanza), una sorte di prima istituzionalizzazione del multilateralismo come metodo di composizione preventiva dei contrasti dati dai rispettivi interessi nazionali. Ciò costituì la base su cui si fondò il periodo quarantennale successivo di pace e sviluppo. Il mondo, dopo l'epopea napoleonica, si apriva. A Terranova, il mondo si chiude: si gettano le basi per la definizione di due blocchi contrapposti e difficilmente comunicanti. L'escalation di pressione diplomatico-militare reciproca tra Mosca e Washington e la corsa alla conquista di Stati da includere nel proprio schieramento - costi quel che costi - segneranno i succesivi cinquanta anni.

Come vedi, il realismo c'è in entrambe le esperienze. Nella prima, però, esso è "aperto" più grandi Potenze; nella seconda, è "chiuso" sostanzialmente a due super Potenze.

La prima garantì 40 anni di pace e un paio di crisi minori e sostanzialmente irrilevanti per la tenuta del sistema internazionale; il mondo visse senza minacce significative: ogni singolo Stato sapeva che nessuno sarebbe stato troppo forte da modificare l'equilibrio o troppo debole per soccombervi. La seconda 50, con molteplici crisi (Corea, Vietnam, Africa, Cuba, etc.) e una minaccia psicologica incombente e terribile gravante sull'intera umanità: la guerra totale.

Come insegna zio Henry: Vienna 1815 è in qualche modo paragonabile al mondo post 1991: interesse nazionale. A Vienna si temperò la potenziale asprezza di tale dato con la condivisione di determinati valori. Oggi, con i temi della democrazia e del libero mercato, probabilmente si tenta di fare altrettanto.

Contro ogni apparenza, ci sono più cose che ci accomunano agli uomini di inizio Ottocento che a quelli della metà del secolo scorso.

JimMomo said...

Su troppi punti dissento da questa ricostruzione. Nei commenti potrei cavarmela con una battuta: il Risorgimento italiano fa parte di "un paio di crisi minori".

Battute a parte, anche dalla tua ricostruzione appare evidente un dato. Il congresso di Vienna espresse una stabilità che cercò, in una certa misura invano, di frenare i processi democratici, Terranova il contrario. E per me la stabilità, quella vera, non è equilibrio tra potenze, ma diritti e democrazia.

saluti, anche se mi sembri più Metternich che zio Henry.

Anonymous said...

Vienna ha portato a due guerre mondiali altro che bischerate!
Poi paragonare gli uomini di due secoli fa con quelli di oggi è sintomo di una scarsa intelligenza.
Saluti.

Anonymous said...

"il Risorgimento italiano fa parte di "un paio di crisi minori"."

No. Io ho parlato della tenuta del sistema di Vienna per 40 anni: dal 1815 al 1853 (Guerra di Crimea). Il processo di indipendenza nazionale italiana si avvera nel 1858-1861 (e non del tutto). Ben oltre, quindi, la tenuta del sistema metternichiano (che crolla col Trattato di Parigi del 1856 che pone fine alla Guerra di Crimea).

"Il congresso di Vienna espresse una stabilità che cercò, in una certa misura invano, di frenare i processi democratici".

No. I movimenti nazionali e liberali sorgono negli anni Trenta del XIX secolo e si consolidano negli anni Quaranta (il biennio '48-'49). Il movimento democratico fa la sua comparsa negli anni Cinquanta e conquistano spazi importanti negli anni Sessanta (Italia) e Settanta (Francia) sempre del XIX secolo. Quindi, anche qui, ben oltre la fine del sistema metternichiano. Questo sistema, preservando la pace e la stabilità, fu invece propedeutico allo sviluppo economico-commerciale (la Rivoluzione industriale e l'applicazione del liberoscambismo nel Regno Unito con le tesi di Combden) che però si organizzò (si fece "sistema") nei decenni successivi.

ps: e non mi hai visto ancora parlare di Bismarck. Altro che Metternich. E' Bismarck il più grande diplomatico del XIX secolo (subito dopo vengono, nell'ordine: Metternich, Cavour, Palmerston, Disraeli).. ;)

Anonymous said...

Orlandofurioso, ti perdono. Non sai quello che dici. :))

Anonymous said...

Tu perdoni io no.
Scrivere tali abomini meriterebbe il taglio delle falangi, ma per un servetto degli interessi americani sarebbe pure poco.
Le tue teorie sono fantascientifiche ma degne dei Camilloni, la nuova razza nata con l'avvento di FI nel panorama italiano. Paragonare il mondo di 200 anni fa a quello di oggi è da deficienti, ma è funzionale alla carica di demenza che dovete instillare negli interlocutori più sprovveduti. A mai più riscriverci

Anonymous said...

Che buffo personaggio. :))

Anonymous said...

Che Camillone :DDD

JimMomo said...

Danie', il fatto che i movimenti nazionali e liberali sorgono durante l'epoca della (ops) "restaurazione" non significa che il Congresso di Vienna sia neutrale nei confronti di quegli eventi. Li ha frenati e spesso stroncati. Prendo atto dei tuoi preferiti, che tranne uno non sono i miei.

ciao

Anonymous said...

Federico, non ho detto che quei movimenti "rivoluzionari" siano sorti in costanza di "neutralità" del sistema metternichiano. Questo sistema era fondato sulla solidarietà tra le Potenze conservatrici nella repressione di quei moti. Ciò che ho rilevato è che, al di là della vulgata, proprio i meccanismi di quel sistema hanno permesso stabilità e pace per un lungo periodo. L'instabilità sul continente europeo ritorna con la fine di quel sistema, col Trattato di Parigi del 1856 che pone fine alla Guerra di Crimea. E la fine è dovuta alla politica "revisionista" di Napoleone III, che vuole abbattere quel sistema sfruttando le istanze nazionalistiche. Peccato, però, che ciò servirà a potenziare la Prussia di Bismarck, permettere a Cavour di sottrarre all'Austria la penisola italiana, spingere di conseguenza Vienna a lottare per la preminenza nell'Europa centrale, acuire la rivalità austro-prussiana, dar vita ad una serie di conflitti (Austria-Prussia del 1866, Francia-Prussia del 1870-71) che sanciscono l'inizio di un nuovo sistema: quello della "politica di potenza". Da lì, il passo verso il colonialismo prima e il I conflitto mondiale nel XX secolo dopo è aperta.

Il sistema metternichiano, dal punto di vista delle condizioni propedeutiche al progresso economico-industriale e alla pace internazionale, ha tenuto. Ciò che non ha potuto fare è resistere all'ansia di revanche di Napoleone III e all'incudine della Questione d'Oriente, in cui gli interessi nazionali di Russia, Gran Bretagna e Francia, uniti alla debolezza e al panico dell'Austria, aprirono le porte all'era dell'equilibrio delle forze di tipo dinamico (e aggressivo) in luogo dell'equilibrio delle forze statico (e autolimitativo) che aveva caratterizzato sin lì il sistema delle relazioni internazionali.

Detto in estrema sintesi: per perseguire i propri interessi nazionali, Napoleone III sfrutterà i moti nazionali e liberali. Ciò, però, finirà per rafforzare chi proprio quei moti li avversava profondamente e seppe, con insuperabile abilità diplomatica e militare, conseguire i propri obiettivi nazionali: Bismarck. Questi fu la nemesi di Napoleone III. Dove il secondo era idealista, il primo era terribilmente realista. Il secondo agì da rivoluzionario e spaventò tutti gli altri Stati. Il primo agì da conservatore e incassò la prudenza degli altri Stati. Il secondo vide fallire tutti i suoi disegni egemonici. Il primo vide il trionfo del suo modus imperii, grazie agli errori del secondo.

JimMomo said...

E il tutto con buona pace del grande sistema di stabilità del buon Metternich.

La vera stabilità dovrebbe mirare a integrare i cambiamenti, per sovrapposizione del nuovo al vecchio, non invece a preservare l'equilibrio esistente, o addirittura "restaurare" quello precedente, come se non ci fossero state rivoluzione francese e Napoleone.

Puoi anche prenderti un po' d'ore per riversarmi altre pagine di manuale, ma non cambia, anzi è sempre più evidente, la concezione di "finta" stabilità cui ti aggrappi.

Anonymous said...

"Puoi anche prenderti un po' d'ore per riversarmi altre pagine di manuale, ma non cambia, anzi è sempre più evidente, la concezione di "finta" stabilità cui ti aggrappi".

Questa frase è l'autogol che segna la parola fine alla partita. Traduzione: non so cosa rispondere alla tua analisi, ma non la condivido a priori perché non mi piace.

Non servono né il manuale né tante ore per capire che io appartengo alla prima categoria, tu alla seconda. Anche le cose che meno mi piacciono (le repressioni dei moti liberali e nazionali, ad esempio) io le comprendo storicamente e le inserisco in un discorso sistemico, constatando che quella era la "rivoluzione" e la stabilità è per definizione anti-rivoluzionaria. Il punto vero è: occorre davvero la rivoluzione al costo dell'instabilità?

I rivoluzionari si illudono di dar vita ad un nuovo sistema che contemporaneamente presenti i supposti pregi delle loro istanze anti-sistemiche e conservi i pregi del sistema precedente. La via della disillusione - nel migliore dei casi - o della "rivoluzione permanente" ovverosia la dittatura, è bella e segnata. Contento tu...

JimMomo said...

Osservare che c'è un dissidio di fondo nella lettura degli eventi non significa ammettere di non avere argomenti.

Non c'è un solo modo, il tuo, per leggere gli eventi storici, e chi non si adegua è ignorante.

Dunque, nessun autogol e nessuna fine di partita.

Dietro la tua patina di obiettivo studioso c'è una lettura, una lente, un approccio ideologico che semplicemente non è il mio e di molti altri.

Potrei contestarti ogni singola riga del primo commento che hai fatto a questo post, fin dove dici che gli intellettuali del manifesto di Ventotene erano "avulsi da qualsiasi riferimento alla realtà storico-politica che vivevano" (grazie, erano al confino), mentre il post riporta la notizia dell'ingresso di quel manifesto nei classici politici Mondadori con presentazione di Padoa-Schioppa, che non è Dio, ma neanche un cretino. Però, per te erano avulsi, evabbè.

Dunque, ho cercato di dirti che secondo me quella pace e quella stabilità che tu attribuisci al Congresso di Vienna non è vera pace (nell'oppressione?) e stabilità (con i moti nazionali e liberali?) e lo sviluppo fu nonostante quell'assetto geopolitico.

Volevo solo dirti che se aggiungi date e fatti posso solo riconoscerti quanto sei erudito, ma per favore non nasconderti dietro una lettura presunta oggettiva (nessuna lo è) e riconosci la fondatezza storica delle visioni altrui, sempre che nono si scontrino con "i fondamenti della tradizione".

Anonymous said...

No, Jim. Nessuno ha il dono dell'obiettività (forse solo Pannella...). :)

Quello che volevo dire è legato ad una frase che mi è saltata. Questa: "The real distinction is between those who adapt their purposes to reality and those who seek to mold reality in the light of their purposes". Io appartengo alla prima categoria; tu alla seconda. Non c'è alcun giudizio in tutto ciò. E' una osservazione. E credo che tu convenga. Tutto qui.

Quanto allo sciorinare dati e nomi, non è questione di erudizione. E' focalizzare bene eventi e processi che, spesso proprio per la generale mancanza di approfondimento, passano - la c.d. vulgata - per dati di fatto e invece non lo sono affatto. Metternich, per dirne una, era un illuminista, altro che cupo reazionario. Era un uomo formatosi culturalmente nella seconda parte del XVIII secolo. Il sistema di cui si fece promotore a Vienna è profondamente influenzato dai concetti di armonia e razionalità: equilibrio delle forze, equilibrio etico, etc.

Infine, Ventotene. Forse c'è stato un misunderstanding. Io non ho detto che i redattori di quel manifesto fossero avulsi dallo scenario socio-politico della loro realtà storica. Ho detto altro. Ho detto che quegli uomini ripresero idee e schemi ideati nella prima metà dell'Ottocento da intellettuali che, in risposta al sistema di Vienna, cominciarono a dar vita a disegni utopici (visti i tempi in cui scrivevano) di "governo internazionale", di "confederazione europea", etc. Questo ho detto. Non travisiamo.

;)

Anonymous said...

no, Padoa Schioppa non e' dio. E' solo uno che strizzava l'occhiolino ai noglobal (leggiti il suo terrificante 12 Settembre). Ma soprattutto, leggiti il saggio di Levi. Era mio Prof. Liberalismo allo Stato puro. Tanto liberale da usare come modello interpretativo il marxismo scientifico. Delle prelibatezze, si direbbe. Jim, ti quoto BDV: ne' spinelli, ne' Spinelli.

aa