Riformatori di destra e riformatori di sinistra. Propongono vie diverse per giungere a un medesimo risultato: una costituente, una convenzione, per una riforma organica e profonda della Costituzione. E, nel merito, è probabile che concordino su molte delle riforme istituzionali da introdurre: premierato forte, uninominale, primarie, Senato federale, eccetera. Gli uni ritengono che il miglior modo di preparare le condizioni politiche per una costituente sia votare "sì" al prossimo referendum costituzionale sulla riforma Calderoli; gli altri ritengono che il modo migliore sia invece votare "no".
Il Comitato «No, per una riforma migliore», che vede tra i promotori i costituzionalisti Barbera e Ceccanti, e "riformisti" come Franco Bassanini, Mario Segni, Natale D'Amico, Claudia Mancina, Antonio Polito, Umberto Ranieri, Giorgio Tonini e molti altri, nasce infatti per distinguere il proprio "no" da quello dell'ex presidente Scalfaro, che guida il Comitato di quelli che la Costituzione del '48 non si tocca.
I sostenitori del dire no per dire sì hanno spiegato le loro ragioni in una conferenza stampa alla Camera. Così com'è la Costituzione proprio non va. "No" alla devolution della Casa delle Libertà, ma non perché la Costituzione sia intoccabile, bensì perché si tratta di una cattiva riforma. "Sì", invece, a «un incisivo processo costituente», perché, avverte Augusto Barbera, «nel Comitato per il No stanno passando delle posizioni conservatrici per lasciare la Costituzione così com'era nel '48. E questo non ci trova d'accordo».
Dall'altra parte, i Riformatori Liberali ritengono che solo una vittoria dei "sì" renderebbe percorribile la stessa proposta Barbera-Ceccanti, perché la nuova maggioranza si vedrebbe costretta «a inserire nell'agenda politica il rinnovamento delle istituzioni». Se, al contrario, vincessero i "no", «non si farà alcuna riforma e rimarrà la Carta del '48, peggiorata dalla pessima modifica» del Titolo V introdotta dalla sinistra. Sarebbe «la pietra tombale su ogni prospettiva di riforma».
L'unico modo per realizzare una riforma «migliore» passa attraverso la vittoria dei "sì" e «un accordo bipartisan per apportare i necessari correttivi». Ciò è possibile perché gli aspetti da correggere entrano in vigore solo dopo il 2011 e la riforma verrebbe inserita senz'altro nell'agenda politica proprio per l'incombenza del risultato del referendum. «Dopo oltre vent'anni di tentativi riformatori tutti falliti... i firmatari dell'appello... si illudono e gettano fumo negli occhi degli elettori raccontando che, in caso di vittoria del "no", questa maggioranza così eterogenea e così dominata dai pasdaran della "Costituzione non si tocca" che essi stessi denunciano, possa essere in grado di approvare riforme...».
Non sappiamo davvero quale scenario potrà favorire un processo ri-costituente. Certo, la vittoria dei "no" potrebbe rafforzare il concetto che la Costituzione "non si tocca", ma la vittoria dei "sì" potrebbe far scattare atteggiamenti conservatori nella CdL, che si accontenterebbe di difendere la propria riforma dai tentativi di modifica. La vittoria dei "sì" avrebbe l'effetto positivo di uno shock, infrangendo il tabù della Costituzione intoccabile, ma d'altra parte esporrebbe le istituzioni al rischio di ulteriore paralisi.
Mi pare che l'importante, a prescindere dall'esito del referendum, sia che i due fronti riformatori, a destra e a sinistra, riescano a parlarsi e a fare lotta politica subito dopo.
Ho trovato convincente, dal punto di vista riformatore, la radicalità dell'approccio di Piero Ostellino, sabato sul Corriere, nell'editoriale dal titolo «Né liberale né sovietica: la nostra è soltanto la Costituzione paradossale».
In quei «principi fondamentali» della nostra Carta costituzionale, nei quali tutti si dovrebbero riconoscere - così si usa dire nei discorsi ufficiali - Ostellino non si riconosce, perché «non sono quelli di uno Stato di democrazia liberale, bensì una finzione retorica, nella migliore delle ipotesi; una vecchia ipoteca sulle nostre libertà, nella peggiore. (...) aver cercato di convincere gli italiani che quelli fossero i principi di uno Stato liberale (integrato nell'Occidente capitalista) e, al tempo stesso, i "valori" del primo Stato socialista (l'Unione Sovietica collettivista), entrambi da preservare, è stato un inganno. (...) La nostra Costituzione è un ibrido fra i principi del costituzionalismo liberale e i programmi del costruttivismo sociale della Costituzione sovietica del 1936... Ma una Costituzione che non pone al centro dello Stato l'Individuo, bensì la Collettività, non è una Costituzione liberale».
Ostellino contesta che il lavoro sia alla base della Repubblica democratica, perché «in una economia di mercato, il lavoro non è un diritto, bensì una merce. Così, l'Italia è il solo Stato al mondo fondato su una merce. Un paradosso storico (...) La nostra Costituzione condiziona la libertà di intrapresa e la proprietà privata (art. 41 e 42) al concetto di "utilità sociale" e a quello di "funzione sociale". Una anacronistica perpetuazione della convinzione, già condannata dalla storia, che - come teorizzava allora il cattolico Dossetti, facendo eco al comunista Togliatti - le libertà "formali", borghesi, siano un mezzo, non il fine, sottoposte come devono essere al vaglio di quelle "sostanziali", collettive».
Decisamente un approccio radicalmente liberale, cioè che della libertà coglie la radicalità. E' questo l'unico modo per sfuggire al mesto destino dei vari riformismi, che non sono capaci di riformare nulla, neanche se stessi.
4 comments:
Se al potere fosse la Cdl, una vittoria dei "no" avrebbe senso per riprendere in mano tutto daccapo. Poiché la Cdl è all'opposizione, non ha senso interrogarsi sul suo intento conservatore o riformatore. La palla è nelle mani della maggioranza che ha già dimostrato di potere fare tutto da sé con un voto di scarto. La Presidenza della Repubblica come la Costituzione (vedi la riforma del titolo V due legislature fa). La domanda da porsi è: Prc, Pdci, Verdi che cosa vogliono fare se vince il "no"? Dipende da loro - soltanto da loro - la scelta dell'intera maggioranza, come appare evidente da queste prime settimane di legislatura. Secondo me questi tre partiti sono per "la costituzione del '48 non si tocca". Se vince il "no" sappiamo come va a finire: basta chiedere ai king maker della maggioranza Bertinotti, Diliberto, Pecoraro (e nessun Caldarola o Ranieri metterà in crisi il governo per riscrivere la costituzione con la Cdl). Se vince il "sì", la maggioranza ha tutto l'interesse a proporre un tavolo per rimettere mano (possibilmente senza stravolgerla) alla riforma e la Cdl, piuttosto che vedere stralciato tutto, a sedersi al tavolo e dialogare.
Io penso che una vittoria, purtroppo assai probabile, dei no rafforzerebbe irrimediabilmente il fronte della pura conservazione istituzionale, imbalsamando la costituzione del 1948,o, al massimo, consentendo interventi successvi di tipo meramente cosmetico.
D'altra parte, se vincesse il sì, il centrodestra alzerebbe le barricate perché la riforma rimanga tale. E il centrosinistra non credo abbia la forza per "fare tutto da sé" come dice Harry, non in questo caso. La situazione è molto intricata, e credo che l'esperienza negativa delle bicamerale farà il resto. Risultato: se vincono i no la costituzione non si cambia, se vincono i sì è il caos totale.
Se vincono i Sì cade il governo Prodi e si torna a votare, anche questo è da tener presente.
Ciao Paolo ;)
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