Le dichiarazioni delle ultime ore lasciano presumere che Giorgio Napolitano sarà il successore di Ciampi alla presidenza della Repubblica. Decisivo il lavorìo di Casini e Rutelli, che per fermare le mire del presidente Ds hanno rafforzato una candidatura nata per essere "bruciata". Il rifiuto di Berlusconi di votare per una figura il cui cuore "batta a sinistra", neanche per lo sbiadito Napolitano, l'impossibilità quindi di un voto comune con almeno una parte dell'opposizione, avrebbe dovuto costituire nei piani di qualcuno l'alibi per lanciare la candidatura D'Alema.
Non si spiega infatti, come un anziano senatore a vita che fino a ieri era di fatto ignorato dal suo stesso partito divenga oggi un candidato di «alto profilo istituzionale» di cui l'Italia, ad un tratto, scopre di non poter fare a meno. Disponevamo di una simile "risorsa per il paese" e non ce n'eravamo accorti? Che sbadati...
Il quorum al quarto scrutinio è di 505 voti. L'Unione dispone di circa 540 voti. Ma se Napolitano si fermasse a 494? Tutto da rifare, tutto un bluff, come ipotizzato ieri.
In ogni caso, l'indisponibilità di Berlusconi ad accettare il "male minore" (Napolitano) non dimostra di per sé che preferisca quello "maggiore" (D'Alema) per meglio passare da vittima. Ragionando in questo modo infatti si nega a priori la possibilità che Berlusconi voglia opporsi sia a Napolitano che a D'Alema. Se non accetto di farmi tagliare un dito non significa che sia pronto a farmi tagliare un braccio per meglio passare da vittima, ma forse sto solo dicendo che non voglio che mi sia tagliato né un dito né un braccio.
Allo stesso modo, è vero che Berlusconi ha fatto largo uso in questi anni della tattica cinica e irresponsabile di elevare Bertinotti a proprio antagonista, accreditando così l'immagine dell'Unione in mano ai comunisti, al prezzo inaccettabile di aiutare i comunisti stessi a fare il pieno di voti, ma sottolineando ciò non bisogna dimenticare che davvero il centrosinistra in Italia accetta - per necessità e mancanza di coraggio politico - di condividere il governo del paese con una tra le più forti realtà comuniste e massimaliste d'Europa; e che se la componente comunista è così influente (più che nel '96) da imporre il proprio leader alla presidenza di una delle due Camere è soprattutto per la debolezza (o l'assenza?) di una sinistra liberal che preferisce Bertinotti a Emma Bonino.
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