La fiducia che riponiamo in Emma, nel fatto che saprà fare un ottimo lavoro e costruirsi spazi politici più importanti dei suoi predecessori, non deve però farci dimenticare il dato politico di queste nomine governative, cioè la palese ostilità che permane da parte dei «parenti ingordi» dell'Unione nei confronti dei radicali e della Rosa nel Pugno.
Proprio ieri, su L'Indipendente, qualcuno esprimeva il mio stesso fiducioso auspicio riguardo l'incarico della Bonino: «Sbaglia chi sottovaluta il ruolo che la Bonino potrà ritagliarsi... ha sufficiente esperienza politica e autorevolezza in ambito internazionale da poter trasformare quella che oggi può apparire una ridotta ministeriale... in un costante elemento dialettico nei confronti del ministero degli Esteri».
Credo che sia proprio questo elemento di competizione, sana, fraterna, ciò che debba sforzarsi di creare.
«Emma Bonino e i radicali infatti non sconteranno nulla a questo governo sui temi della politica estera, delle riforme del lavoro e del welfare. E' il difetto, e la virtù, di chi appunto possiede una visione e mira a incarnarla».
Stefano Folli, su Il Sole 24 Ore, ha dato un giudizio di sicuro più equilibrato e meno liquidatorio del mio, ma che condivido. Sempre dal Sole, non sembra fare sconti al nuovo Governo Guido Gentili, che ha puntato il dito sulla presenza, nella nuova compagine governativa, dei «nuovi "signori del no"».
«Non mancano i presidi di un riformismo vero. Ma colpisce il fatto che per evidenti (e per nulla sorprendenti) problemi di dosaggio politico interni alla frastagliata maggioranza si sia deciso di "spacchettare" alcuni dicasteri figli della legge Bassanini, creando nuovi ministeri per i quali sono stati nominati nuovi ministri». Anche Gentili si chiede: «E non poteva trovare collocazione migliore Emma Bonino?»
Mentre quali dovranno essere le materie su cui giudicare l'operato del Governo Prodi l'ha spiegato su La Stampa Luca Ricolfi.
P.S. Intanto, il mio intervento di ieri su Il Foglio ha incassato il plauso di Luigi Castaldi, che in particolare ha apprezzato la radicalità della mia analisi sul «profilo tattico» tenuto dalla Rosa nel Pugno dopo le elezioni. E osserva:
«Ogni metodo tattico appare (quand'anche non sia) opportunistico, se non è chiara la piattaforma strategica; l'ambiguità, insomma, e quanto di pernicioso deriva da essa in termini di immagine che si offre all'esterno e agli alleati in una compagine di governo, impone che la tattica non sia scollata dal progetto, non sia (né appaia) ondivaga...»Il post di Malvino è lungo e va letto tutto. Se anche «l'opzione tattica» (il voto autonomo sulle iniziative legislative del governo Prodi che avessero contraddetto l'elaborazione programmatica della Rosa nel Pugno e l'appoggio esterno su quelle che le avessero accolte) fosse stata presa in considerazione, «dev'essersi deciso per il no. Il bluff (questo il termine col quale si sbriga solitamente un'opzione debole) era – appunto – debole. Il problema, soprattutto dopo la lettura dell'articolo di Federico Punzi, resta: era debole, quel bluff, se era un bluff?»
Comunque, non ho mai temuto - nell'esprimere le mie osservazioni - eventuali «strumentalizzazioni interessate» di avversari e nemici della Rosa nel Pugno. Le considero un danno minore rispetto a quello provocato da una specie d'"autocensura" nel dibattito aperto dell'agorà telematica. Rinunciare, per timore di venire strumentalizzati, mi sa un po' di complesso d'inferiorità. Ho fiducia che i miei argomenti, le mie idee, si sappiano distinguere agli occhi di uno spirito critico e di una mente libera da pregiudizi, perché di solito le strumentalizzazioni sono anche rozze. E, per i dubbi, sono sempre a disposizione.
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