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Saturday, April 23, 2005

La svolta social-corporativa. Rastaurazione compiuta

Come prevedevo, le ragioni, quelle politiche, della crisi del Governo Berlusconi, che ha portato alla parodia di questo governo-bis, non sono venute alla luce. Delle poltrone si sa, quelle c'entrano sempre, ma non possiamo ritenerci soddisfatti dal triplice e decennale alibi delle più tipiche crisi democristiane: famiglie, competitività, mezzogiorno. Dobbiamo credere che la «discontinuità» che si reclama dovrebbe riguardare cose su cui si sta lavorando da cinquant'anni in modo statalista e assistenziale? La discontinuità è: dentro Storace, fuori Gasparri e Follini?

No, forse la verità è che a ogni tornata elettorale, che soprattutto Berlusconi e Forza Italia perdono per aver tradito le aspettative laico-riformatrici dei propri elettori, Udc e An cercano di far pagare pegno il più possibile al leader, di logorarne l'immagine.

Qui di seguito, integrale, l'editoriale di oggi di Piero Ostellino, sul Corriere della Sera, su una crisi che è «l'autobiografia di un Paese e della sua classe dirigente che non sanno e, soprattutto, non vogliono modernizzarsi». Un non sanno e non vogliono che riflette però un non sapere e non volere degli italiani: «Ci siamo abituati a vivere alle spalle della collettività e vogliamo continuare».

«La "discontinuità" del nuovo governo, rispetto al precedente, è che i suoi alleati non riconoscono più Berlusconi come leader del centrodestra. La "continuità" è che la liberalizzazione delle professioni è scomparsa dal decreto sulla competitività.

I soli dati "reali" della deprimente pantomima degli ultimi giorni sono questi. Il resto è Prima Repubblica, sotto il profilo politico; è Seconda Repubblica in stato confusionale, sotto quello istituzionale.

Dalle modalità della crisi (extraparlamentare) ai riti delle consultazioni in Quirinale (inutili e persino ridicole); dalla definizione (del tutto incomprensibile) data da Follini e da Fini al concetto di discontinuità al nuovo Consiglio dei ministri (pressoché uguale al precedente); dall'esistenza contemporanea di tre Costituzioni - quella che disciplina il sistema politico dopo l'introduzione della legge elettorale maggioritaria; la precedente, proporzionalista; quella che istituisce il premierato ancora davanti al Parlamento - alla finzione che qualcosa cambierà, affinché tutto rimanga come prima, ciò che è stato scritto da Berlusconi, Follini, Fini è l'autobiografia di un Paese e della sua classe dirigente che non sanno e, soprattutto, non vogliono modernizzarsi.

Fuori i partiti dalle istituzioni, predicava Marco Minghetti già nell'Ottocento. Dentro i partiti nelle istituzioni, è stato l'imperativo col quale, nelle ultime settimane, si è concretata la Restaurazione.

Diciamola, allora, tutta. Quello che è successo è frutto del monitoraggio che partiti e uomini politici fanno del Paese attraverso i sondaggi d'opinione e della rilevanza che essi assegnano loro nell'orientare le politiche pubbliche. In buona sostanza, è - non mi stancherò mai di ripeterlo - l'ennesima abdicazione della politica agli umori dell'elettorato. I quali umori - che avevano già pesantemente condizionato l'azione del governo, spegnendone ogni velleità riformatrice fin dalla sua nascita - hanno finito, poi, col far precipitare la situazione dopo la pesante batosta subita dal centrodestra alle elezioni regionali. Gli ultimi sondaggi - che in realtà riflettono un trend costante dell'opinione pubblica - rivelano che la maggioranza degli italiani, rispetto alla libertà, al mercato e alla competizione, in una parola, alla modernizzazione, privilegia la sicurezza, lo statalismo, l'assistenzialismo, in definitiva, lo statu quo. Che piaccia o no, ci siamo abituati a vivere alle spalle della collettività e vogliamo continuare. Chiunque si provi a cambiare è condannato a esserne punito.

In tale contesto, emergono sociologicamente e, quindi, politicamente "tre Italie".

1. La prima, (ancora) inserita nell'Unione Europea e nella competizione mondiale, è quella, assolutamente minoritaria, rappresentata dal mondo del capitale e del lavoro più dinamici e estranei alle logiche neocorporative e collettivistiche, che si aspetta dallo Stato solo buone infrastrutture e un sistema fiscale meno oppressivo.

2. La seconda, ormai fuori dall'Europa e dalla competizione mondiale, è quella della crisi della Fiat, della conversione di ciò che rimane della grande industria al protezionismo tariffario e del conseguente malessere del mondo del lavoro, rappresentata dal neocorporativismo confindustriale e dal tardo-collettivismo sindacale, che si aspetta gli aiuti dello Stato.

3. La terza Italia, da sempre lontana anni luce dall'Europa e dalla competizione mondiale, è, infine, quella rappresentata dal clientelismo pubblico e privato, che si aspetta assistenzialismo di Stato.

Ha detto Follini: "Il governo risponde al Parlamento e i partiti rispondono agli elettori". Poiché il governo, anche col maggioritario, è "occupato" dai partiti, si spiegano le tre Italie e la crisi. Una logica c’è. Anche se perversa».
Mi associo, a queso punto, al commento di Andrea da Siena che come al solito in questi momenti non resiste allo sconforto:
«Nonostante la STORICA convinzione RADICALE che gli Italiani sono un popolo ingannato e disinformato che ogni volta che ha potuto davvero conoscere e deliberare liberamente e responsabilmente è stato sulle NOSTRE posizioni su tutto (vedi referendum pluriennali)... Nonostante questa lettura sociologica, antropologica pannelliana, è osservazione comunissima che l'individuo italico (formalmente e culturalmente negato) da sempre s'arrangia a fregare il padrone di turno non appena possibile...

E' una lettura cinica e sconsolata? Basta guardarsi intorno senza pregiudizi. Anche il mio guru Ostellino se ne è ormai rassegnatamente convinto. Forse anche noi RADICALI dobbiamo imparare a leggere la realtà che ci circonda con occhi diversi... per coglierne un aspetto in più. Altrimenti rischiamo davvero di oscillare tra illusioni, perplessità e frustrazione».

8 comments:

Rabbi' said...

Ti linko.

Anonymous said...

Anch'io.

Anonymous said...

A Federì... macchè sconforto!
Io stimolo!
Io voglio il cambiamento!
Io voglio un futuro diverso da questa melma!

Se così come siamo non riusciamo ad avere un seguito... sarà anche il caso Italia, che condivido in blocco, ma può darsi benissimo che noi stessi ci si stia fossilizzando su un'unica "idealistica" analisi degli uomini e delle donne di questo caz.. di amato Paese!

Forse sbaglio, ma dobbiamo pensarci bene e soprattutto dobbiamo guardare bene!

Anonymous said...

Per gioco proviamo ad individuare il voto politico delle tre Italie di Ostellino?

La prima Italia (minoritaria) vota Radicali e votava Forza Italia... (se li potessimo prender noi un po' di quei voti in libera uscita!!!), forse un tempo pure Lega...

La seconda vota Unione ed alcuni suoi alleati...

La terza vota Udc, An, Udeur, e spezzoni vari della Margherita e di Forza Italia...

Anonymous said...

bravo.

Anonymous said...

Penso che ti linkerò; quello che Ostellino dice e tu sottolinei è sconsolante ma vero.

Anonymous said...

Copiato!
Riflessioni:
- la "prima Italia" di Ostellino, è quella grosso modo identificabile col Lombardo-Veneto, preservatosi dalla landslide unionista;
- quella parte, la più avanzata del Paese, vota FI e protrebbe votare Rad., ma è dove la Lega, un partito definito come rozzo e neo-bigotto, affonda le sue radici sempre più solide.
Flanked pure da movimenti localistici alla Panto (6,8% in Veneto!!!).

La mia idea è che in realtà i rozzi, gli antiquati e i neo-bigotti siano ben altri e siano distribuiti nei due schieramenti sotto il nome di centristi.

Credo inoltre che la Lega sia vista come una sorta di "assicurazione sulla vita" nel Nordest.
Mi spiego: se la CdL frana e l'oppressione prodinottiana social-assistenzialista dovesse divenire asfissiante - i soldi per assistere da qualche parte vanno "spremuti", beh non dico secessione, ma la gente qui cercherebbe un forte impulso alla "bavierizzazione" dell'area (o soluzioni alla Catalunia); ciò potrebbe risultare salutare non solo per la locomotiva economica d'Italia, ma anche in prospettiva per tutto il resto.

Non che lo scenario mi esalti beninteso, semplicemente provo ad analizzare senza paraocchi. Come la vedi?
ciao, Abr

Anonymous said...

Peccato che nelle tre italie si faccia una grossa confusione sia tra statalismo e stato sociale sia tra liberismo e suicidio programmato:

L'Italia che cerca buone infrastrutture e fiscalismi meno oppressivi, dimentica i servizi e gli investimenti (innovazione, istruzione e stato sociale). E non solo è fuori dall'Europa, rimane semplicemente dentro se stessa, con la paura di guardare cosa succede fuori dal proprio cancello.

La seconda Italia (e qui critico il commento piuttosto folkloristico di Andrea, mio compaesano) non è quella che vota Unione, ma quella fatta dal grande capitalismo morto italiano (R.I.P.).

La terza Italia è quella che vota Margherita, Udc e AN, semplicemente perchè ha bisogno di assistenzialismo, perchè il mercato, da solo, non riesce a dargli stabilità e sicurezza.