Spesso laddove in un avvenimento tragico tutti negano ogni responsabilità di responsabilità ce ne sono da ogni parte. Sembra questo il caso dell'uccisione di Nicola Calipari, l'agente dei servizi segreti ucciso a Baghdad a un check point Usa mentre stava portando all'aereoporto la giornalista de il manifesto Giuliana Sgrena appena liberata dai suoi rapitori. Sembrò subito la classica tragica fatalità di cui non si sarebbe mai venuti a capo, eppure bisognava dimostrare un'unica cosa: l'Italia era ferma nell'inchiodare quei "grilletti facili" degli americani alle loro responsabilità, aver ucciso un eroe italiano che era riuscito nell'impresa di liberare la compagna Sgrena. Grande vittoria del governo, ottenere un'inchiesta congiunta italo-americana, garanzia di trasparenza.
Ma le cose sembrano subito non andare come si vorrebbe. No, i fatti sono più complicati di quelli che sembrano, le ricostruzioni discordanti. Gli italiani fano trapelare indiscrezioni sul rapporto finale per screditarne la conclusione sulla quale, assicurano, non apporranno le loro firme. D'altra parte il Pentagono ha fretta di mettere la parola fine alla vicenda scagionando i "suoi ragazzi", ma al Dipartimento di Stato, interessati a tutelare i rapporti con l'importante alleato italiano, spingono per una conclusione più vaga e per posticipare la pubblicazione del rapporto a dopo il voto di fiducia del Berlusconi-bis.
Nei giorni scorsi lo strappo, Berlusconi punta i piedi: «Non firmeremo mai cose che non ci convincono... se le versioni dovessero rimanere discordanti andremo verso conclusioni discordanti». E accenna a dei contrasti anche interni all'amminisrazione Usa. Di là non sono contenti delle dichiarazioni del premier e oggi il Pentagono perde la pazienza e fa trapelare le sue di ricostruzioni, affidate alla Cbs. Smontando uno dei punti di forza della ricostruzione italiana, viene fuori che un satellite militare ha registrato la scena della sparatoria: la pattuglia al checkpoint vide l'auto quando si trovava a 137 yards di distanza (130 metri) e aprì il fuoco quando l'auto era a 46 yards (a soli 42 metri). L'intervallo di tempo tra i due momenti è risultato minore di tre secondi, il che equivale a una velocità dell'auto - secondo questa ricostruzione - pari a oltre 96 chilometri orari. Leggi
La reazione di Giuliana Sgrena è davvero imbecille e penosa: «Non andavamo a cento all'ora anche perché c'era una curva. E comunque il problema non è la velocità dato che non ci sono limiti di velocità su quelle strade...».
Insomma, gli stereotipi sembrano confermati: americani "grilletti facili", italiani pasticcioni come sempre, su tutto. Già stamani sulla stampa italiana alcuni articoli hanno avanzato alcuni dubbi sulla ricostruzione sostenuta dalle autorità italiane e osservato che gli americani, sicuri della propria ricostruzione, accelerano i tempi. Gli interrogativi riguardano la gestione italiana del sequestro e della liberazione della Sgrena: perché usare un'auto "normale" e non blindata come tutte quelle in possesso della coalizione? Perché non si pianificò una scorta armata fino all'aereoporto? Perché far ripartire subito l'ostaggio percorrendo nel buio la strada fino all'aereoporto e non passare la notte in ambasciata?
Carlo Bonini su la Repubblica riportava la voce di una fonte interna al Pentagono: gli italiani vogliono tempo per coprire i loro errori, «Berlusconi dovrebbe solo rispondere a una domanda: accetta o no i fatti», perché in America pensiamo che «i fatti sono fatti». La stessa fonte definisce «torbidi» i dettagli della vicenda, tornando alla scelta italiana di tenere gli alleati all'insaputa dell'operazione perché si era pagato un riscatto, scelta che avrebbe ritardato troppo la comunicazione ai Comandi Usa dell'avvenuta liberazione dell'ostaggio. E' stato un errore, fanno sapere al Pentagono, e «se venissero svelati tutti i dettagli di quel che è accaduto a Baghdad il vostro presidente del Consiglio avrebbe grossi problemi e con lui l'intelligence. Non è nel nostro interesse, perché il sostegno italiano ci serve», ma non mettete in mezzo i «nostri ragazzi».
Maurizio Molinari, sempre su La Stampa, avanza l'ipotesi, citando fonti americane, che a causare la sparatoria sia stata la decisione italiana di patteggiare con i rapitori informando gli americani solo a consegna avvenuta e lungo la strada per l'aereoporto. Questa scelta avrebbe causato i «problemi di comunicazione» che impedirono alla pattuglia di essere informata su chi fosse a bordo dell'auto. Così stando le cose, ritiene Molinari, il Dipartimento di Stato, interessato a tutelare i rapporti con l'importante alleato italiano è entrato in conflitto con il Pentagono che rifiuta qualsiasi conclusione vaga dell'inchiesta. Sullo sfondo le divergenze sul pagamento dei riscatti, «svariati milioni di dollari» che il Pentagono ritiene rafforzino la guerriglia. Un altro dibattito che bisognerà affrontare senza pudori e ipocrisie.
2 comments:
Tutto giusto,l'unica cosa che non capisco e'questa: se c'e un posto di blocco e mi intimano di fermarmi, io rallento e mi fermo, non continuo a guidare la macchina; non riesco a credere che un agente segreto, anzi due, abbiano deciso di non fermarsi all' alt dei militari...
La velocità calcolata nei tre sec. che passano dal momento in cui l'auto è a 130m a quello in cui è a 40m dal check point è 96km/h. Ma è una media, non possiamo escludere che l'auto viaggiasse prima dei 130m ancora più veloce (120km/h per esempio) e che l'autista stesse effettivamente in frenata.
Poi gli hanno sparato, ma considera che se i colpi sull'auto sono davvero 9-11, vuol dire che il soldatino ha appena appoggiato il dito sul grilletto per una frazione di sec., perché con un fucile automatico ci vuole davvero poco per spararne 200 di colpi.
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