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Wednesday, April 06, 2005

Il «male necessario» sta per passare. E quel che resta?/2

Ciascuno a suo modo, due editoriali oggi sembrano dare il ben servito all'astro del Berlusconi politico. Quella della CdL è una «crisi profonda e strategica. Una crisi che investe direttamente la qualità della leadership. Detto con maggiore chiarezza: investe un leader che si chiama Silvio Berlusconi...». Occorre fare attenzione perché in gioco c'è il «futuro dell'area moderata di centro-destra su cui si regge il bipolarismo. Senza una tale area, forte, solida e ampiamente rappresentata nel Paese, avremo per molti anni un bipolarismo zoppo, ossia un sistema politico deficitario, con una pericolosa prevalenza di una parte priva di adeguata opposizione». (Stefano Folli, Il Sole 24 Ore).

Anche Giuliano Ferrara, su Il Foglio, non la manda a dire: «Quel che doveva fare, Berlusconi in undici anni di politica l'ha fatto, e non è poco». Segue l'elenco che vi risparmio. Ci sono però delle cose che da Berusconi proprio non le possiamo pretendere, peccato che giunti a oggi il centrodestra, e la polittica italiana, non ne può più fare a meno: «La costruzione di una base minima di consenso sociale attraverso riforme liberali nell'economia e nello Stato, l'evocazione non effimera di una classe dirigente generale, la statuizione di regole valide per tutti e riconosciute come tali, il raccordo fattivo con gli alleati e il conflitto non devastante con gli oppositori, un progetto di società».

Considerato inoltre che «da secoli, gli italiani non hanno alcuna voglia di essere liberi e responsabili, preferiscono tutela e varia e volubile informalità al prezzo della libertà», Berlusconi dovrebbe tirare le somme e preparare a par suo «con onore e ironia la fine della galoppata», il ritorno al "privato".

Insomma, il momento è grave. L'uscita di scena di Berlusconi rappresenterebbe la fuoriuscita del maggiore elemento destabilizzatore, dal '94 a oggi (seppure non sempre lo è stato, e quasi mai in senso liberale), di quella cultura politica italiana che ha unito e unisce tuttora partiti neo-democristiani, neo e post comunisti, finti-laici (An, Udc, Margherita, Ds), nella corsa isterica lungo due binari paralleli: alla ricerca del consenso del mondo cattolico attraverso le genuflessioni alle gerarchie ecclesiastiche e alla rappresentanza degli interessi dei poteri e delle corporazioni "forti" a scapito del benessere generale. Risultato: spesa pubblica a go-go, tasse a go-go, Italia out.

Se dunque la sconfitta di Berlusconi può significare la presa definitiva della CdL da parte delle forze clerico-moderate e corporativiste che da tempo tramano contro il premier (Fini e Follini), dall'altra parte il vincitore è tale al di là dei suoi meriti, nonostante le contraddizioni e la mancanza di un programma coerente con una visione della società italiana. Nell'asse delineatosi del prodinottismo si mescolano gli istinti clerico-moderati e statalisti di Prodi e le spinte neo-comuniste e antiamericane di Bertinotti. Il prodotto politico è una sinistra reazionaria e fuori dalla storia all'interno della quale sono schiacciate le chance di maturazione di una sinistra liberale e riformista.

In ultima analisi, Berlusconi in dieci anni non ha voluto, o saputo, coltivare una forza che si voleva qualificare come liberale, costruire e affermare un qualunque progetto di società, tantomeno liberale. Quel che resta è una domanda senza risposta: chi può dare vita a tale forza, a tale progetto, la cui debole fiaccola rimane nelle mani dei Radicali e di alcuni matti liberali che si aggirano nella rete?

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