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Thursday, April 21, 2005

Giving Pope Ratzinger a chance

Papa benedetto XVINel commentare l'elezione di Papa Ratzinger una "lezione" ci viene da Marco Pannella. Riconosce la statura dell'ex Prefetto della Fede, non lo qualifica come "Nemico", gli porge i suoi «Papa Joseph, auguri!», non esclude che il suo Pontificato possa riservare delle sorprese:
«Riserverà di certo molte sorprese a chi continua a guardare alla realtà della religiosità e della laicità del nostro tempo non come un nuovo unicum che potenzia in modo straordinario entrambe le sue radici, ma con riferimenti tradizionali ai poteri e potenze confessionali tra di loro considerate impermeabili se non contrapposte o nemiche... Non mi sembra potersi affatto escludere che egli possa realizzare al più presto anche "riforme" sconvolgenti... E' dannoso e ingiusto non riconoscerne l'indubbio peculiare suo valore e la forza grande della sua personalità... perché escludere che dal progetto da lungo elaborato, che oggi ha mostrato una perfezione quasi militare, e non siano prossimi, l'evocazione o il preannuncio di un Concilio Vaticano III?».
Tutto ciò resta possibile, nonostante la realtà di una «via maestra» in cui la Chiesa è saldamente inserita.
«Nella via maestra della Controriforma e di una "Chiesa" che regni e governi, al posto di Cesare, gli affari e il potere del mondo. Sarà più presente che mai nel passato la forza, la cultura, la teologia e il potere bellarminiano contro il Nemico, contro il "relativismo" di Giordano Bruno, della Riforma, contro la Religione della libertà e della responsabilità».
Poetica e profetica la conclusione:
«Il tramonto di una storia tragica del Potere si presenta infuocato, fiammeggiante, di nuovo illuminata da parole, illusioni e assolutismi, del tentativo possente di una nuova, Grande ControRiforma, che, in nome della Vita continuerà, tornerà a minacciare le vite umane».
Le perplessità e il pessimismo che hanno travolto alcuni di noi alla notizia dell'elezione di Ratzinger possono essere ricondotte a due questioni cruciali che riguardano da una parte il pensiero di Ratzinger con la sua battaglia contro la «dittatura del relativismo» e dall'altra la Chiesa Cattolica intesa come istituzione oggi, che sempre più «dimentica la sua missione essenziale» (l'annuncio del Vangelo) concentrandosi sulla Morale, ponendosi come legislatore il cui compito è stabilire obblighi e divieti, quindi attenta all'Osservanza più che alla Fede. Rispetto alla prima questione è decisivo capire quale sia la definizione ratzingeriana di relativismo. I motivi di inquietudine sono bene illustrati da 1972.
«Il liberalismo è inserito da Ratzinger tra le correnti ideologiche che hanno contribuito al formarsi di quella dittatura del relativismo giustamente denunciata come uno dei più letali mali della società occidentale. Purtroppo è un passaggio-chiave e non si può far finta di non averlo letto. Chi ha sempre considerato l'individuo come la misura laica (e per chi vuole perfino religiosa) di tutte le cose, valutando il grado di decenza di una società dal rispetto dei diritti e delle libertà personali (inclusa quella religiosa) e vedendo proprio nel liberalismo l'argine più solido contro relativismo e nichilismo, non può accettare la propria riduzione alla stregua di ideologie che l'individuo hanno costantemente annullato e umiliato».
Tra gli articoli che ho letto (Qui una selezione di commenti usciti sulla stampa italiana), il più convincente nella critica dell'omelia di Ratzinger, e fuori dal coro dei giornali di oggi, è quello di Massimo Adinolfi (Azioneparallela) su il Riformista, che introduce il concetto di «relativamente valido» e pone degli interrogativi che di fronte a questo Papa ci dobbiamo porre. E' vero o no, si chiede, che l'Occidente non riconosce più nulla di definitivo nella dimensione del valore? E' proprio vero che all'uomo di oggi manca il senso della misura? O piuttosto Ratzinger teme che quella misura abiti all'interno e non sia indicata dall'esterno dell'individuo?
Primo. «Se l'io è l'ultima misura, cioè la misura definitiva, qualcosa di definitivo il relativista lo riconoscerà pure: il suo io. E cioè, per dirla chiara, la libertà di pensiero (la libertà di pensarla come si vuole), la libertà di coscienza, e insomma i diritti fondamentali dell'individuo che costituiscono il lascito più prezioso della modernità».
Secondo. «Nessuno di noi si comporta di fatto come se per lui questo o quello pari fossero. Ognuno compie le sue scelte, e a queste scelte liberamente si lega... Per lo più, certo: secondo i limiti propri dell'umana natura. Ma bisogna avere un po' più di fiducia negli uomini, quella fiducia che forse al papa Ratzinger manca, e non pensare ciò che in punta di fatto è semplicemente falso: che cioè in mancanza di una definitiva misura esterna (e di quella sola misura che il papa riconosce come tale, il Figlio di Dio, nella sola versione che Ratzinger, che è custode dell'ortodossia, riconosce come ortodossa: quella cattolica), l'uomo non sia capace di darsi una propria misura. E, soprattutto, non bisogna pensare che darsi da sé la propria misura significhi non darsela affatto».
E ciò che non ha validità assoluta non ha per ciò stesso alcun valore?
«Ha una validità relativa, è relativamente valida: il che non significa che sia assolutamente invalida, e che dunque l'uomo, in conseguenza di ciò, sia condannato a un indifferentismo eticamente scandaloso». Va letto tutto.
Se non è affatto fondamentalismo «avere una fede chiara secondo il credo della Chiesa», ma volerla imporre, Adinolfi ammetterà l'incidenza nel mondo di oggi di un laicismo (che è negazione della laicità) che vede nella fede cristiana comunque un fondamentalismo, e di un relativismo che vuole imporre una «dittatura» nella misura in cui rende politically correct un atteggiamento di indifferenza rispetto a valori e culture diverse. A sostenere ciò con argomenti di cui bisogna tenere conto è il blog Le Guerre Civili. La peculiarità europea è quella di aver visto contrapporre al potere temporale della Chiesa un laicismo egli stesso «incapace di pensare davvero alla separazione dei poteri tra fede e stato», provocando così la reazione disperata e "clerico-fascista" della Chiesa. Ma «in alternativa ci si deve rassegnare a un melting pot forzoso ed eterodiretto, quindi sterile»?.

Paolo della Sala è convinto che quella di Ratzinger sia una chiesa «spirituale», «contrapposta a quella "politicizzata" vagheggiata in Eurabia, la migliore garanzia di una non-ingerenza nella politica». Non è il solo a sottolineare questo aspetto di Ratzinger, che lo distinguerebbe, per esempio, dai cardinali italiani. Leggiamo cosa dice in proposito Harry:
«Se leggi "Senza radici", il saggio che il Papa ha scritto con Marcello Pera... potrai notare che il Pontefice ammira il sistema dei rapporti Stato-Chiesa/e presente negli Stati Uniti, che ritiene più giusto di quello europeo (e questo può sorprendere chi teme chissà quali ingerenze del nuovo Papa nella vita politica italiana: viceversa, il capofila dei cosiddetti "progressisti", l'eccellente cardinale Martini, quand'era arcivescovo di Milano era solito muovere l'intera diocesi in occasione delle elezioni politiche)».
Dobbiamo dire che su questo Harry può avvalersi di ciò che proprio oggi ha scritto sul New York Times il teologo americano Michael Novak, cercando di smentire lo stereotipo di Papa ultra-concervatore affibbiato a Ratzinger. L'argomento è suggestivo:
«One of Cardinal Ratzinger's central, and most misunderstood, notions is his conception of liberty, and he is very jealous in thinking deeply about it, pointing often to Tocqueville. He is a strong foe of socialism, statism and authoritarianism, but he also worries that democracy, despite its great promise, is exceedingly vulnerable to the tyranny of the majority, to "the new soft despotism" of the all-mothering state, and to the common belief that liberty means doing whatever you please. Following Lord Acton and James Madison, Cardinal Ratzinger has written of the need of humans to practice self-government over their passions in private life». Leggi tutto
Molto meno convincente Novak in un articolo del giorno prima, su National Review. Anche stavolta fornisce su Ratzinger una rassicurazione a cui vorremmo tanto credere, leggete qua:
«What Ratzinger defends is not dogmatism against relativism. What he defends is not absolutism against relativism. These are false alternatives. What Ratzinger attacks as relativism is the regulative principle that all thought is and must remain subjective. What he defends against such relativism is the contrary regulative principle, namely, that each human subject must continue to inquire incessantly, and to bow to the evidence of fact and reason.

The fact that we each see things differently does not imply that there is no truth. It implies, rather, that each of us may have a portion of the truth, and that in this or that matter some of us may hold more (or less) truth than others. Therefore, since each of us has only part of all the truth we seek, we must work hard together to discern in all things wherein lies the truth, and wherein the error».
Ma poi si sbaglia di grosso quando vede il relativismo nel nazismo e nel comunismo: in queste ideologie, spiega, dove non esistono verità e moralità è impossibile denunciare la menzogna e l'ingiustizia perché conta solo la volontà del potere. Come no, troviamo Nietsztche in entrambe (tutto relativo, conta solo la volontà), ma l'impossibilità in questi regimi, come oggi nell'Islam radicale, di denunciarne la menzogna e l'ingiustizia, non è un effetto del vuoto di valori, piuttosto di un troppo pieno, dell'assolutismo di un elite che si ritiene depositaria di verità assolute e definitive, addirittura spacciate per «scientifiche». E qui torniamo al pericolo di una verità definitiva della cui mancanza si lamenta questo nuovo Papa. Osserva a proposito Adinolfi:
«Benedetto XVI saprà che i peggiori giorni (per fortuna non gli ultimi) dell'umanità sono stati quelli vissuti in tempi nei quali trionfava l'opposto di un fiacco e pavido relativismo. Se è così, è difficile dire che è senz'altro un male non riconoscere nulla di definitivo, visto che a volte qualcosa di definitivo lo si è riconosciuto, e non è stato un bene».
La Chiesa, Wojtyla in effetti si espresse in questo modo, riconosce le libertà liberali in contrapposizione ad altre culture nemiche della Chiesa. La diffusione dei totalitarismi del '900 ha ulteriormente convinto la Chiesa che un sistema politico liberale è il migliore sulla piazza nella tutela dell'individuo, del pluralismo sociale... soprattutto della libertà religiosa dei cattolici... ma ha veramente fatto pace con il liberalismo o continua a vederlo come una minaccia? Se Novak vedesse giusto sarebbe un elemento di rassicurazione per noi laici e liberali, ma è veramente così? Ascoltando Ratzinger non sempre abbiamo avuto questa impressione, questo ci si dovrebbe concedere. Dunque che cosa intenda Benedetto XVI quando parla del relativismo di cui è tanto spaventato non è ancora chiaro e credo che dovremo aspettare per esserne certi.

Rimane però una seconda questione, che riguarda in generale la Chiesa come istituzione e le posizioni espresse fino a oggi da Ratzinger come Custode della Dottrina. La pratica viene istruita da Antonio Tombolini, ex vicepresidente dell'Azione Cattolica:
«La Chiesa ufficiale, nelle sue espressioni gerarchiche, sempre più dimentica la sua missione essenziale, la sua stessa ragion d'essere: l'annuncio del Vangelo. E sempre più preferisce concentrarsi sulla Morale, ponendosi come legislatore, il cui compito è stabilire obblighi e divieti, ciò che si può fare e ciò che non si può fare.

E' così, attraverso questa deriva, attraverso questa vera e propria eresia, che la Chiesa ufficiale finisce per ritrovarsi lontana da tanti cristiani credenti (tali in virtù di fede, perché credono in Dio), e a fianco invece di una nuova categoria, di successo crescente: i cristiani non credenti, gli "atei devoti" alla Giuliano Ferrara, o i "cristiani atei" alla Oriana Fallaci. Dimenticata la Fede, non resta che la vuota e triste Osservanza. E una Chiesa sempre più potente, quanto più dimentica del suo Dio».
Si tratta della "reazione" scomposta e disperata della Chiesa di fronte alla minaccia del relativismo. Teme la libertà di coscienza del fedele proprio perché ha in mente non la fede ma l'osservanza. Siamo sicuri che difendere strenuamente la dottrina morale e sociale della Chiesa, contro il vissuto dei credenti stessi, di quel sensus fidelium che la teologia stessa ha ritenuto per secoli presupposto convalidante di ogni dottrina, equivalga a difendere i principi della Fede, ad annunciare il Vangelo?

Il gay-conservative Andrew Sullivan ha usato parole di fuoco contro l'elezione di Papa Ratzinger.
«This was not an act of continuity. There is simply no other figure more extreme than the new Pope on the issues that divide the Church. No one. He raised the stakes even further by his extraordinarily bold homily at the beginning of the conclave, where he all but declared a war on modernity, liberalism (meaning modern liberal democracy of all stripes) and freedom of thought and conscience.
(...)
His views on the subordinate role of women in the Church and society, the marginalization of homosexuals (he once argued that violence against them was predictable if they kept pushing for rights), the impermissibility of any sexual act that does not involve the depositing of semen in a fertile uterus, and the inadmissability of any open discourse with other faiths reveal him as even more hardline than the previous pope. I expected continuity. I didn't expect intensification of the fundamentalism and insularity of the current hierarchy
(...)
And so the Catholic church accelerates its turn toward authoritarianism, hostility to modernity, assertion of papal supremacy and quashing of internal debate and dissent».
Sullivan però contesta i non-cattolici che gli rispondono: "Beh, cosa ti aspettavi? La Chiesa non cambia mai". Ebbene, la Chiesa ha fatto molti cambiamenti negli ultimi decenni, il problema non è il cambiamento in sé, ma discutere i propri temi e il proprio futuro, è l'«ossigeno», l'apertura al dibattito fra i cattolici laici, i preti e i teologi. Le aspettative di cambiamento espresse dai cattolici, scrive Sullivan, non sono così radicali se viste nel contesto del cambiamento dell'ultimo mezzo secolo. Nessuna è materia dell'infallibilità papale o principio di fede:
«... the ability for lay Catholics and indeed priests and theologians to be able to debate respectfully such pressing issues as mandatory celibacy for the priesthood, a less rigid biological understanding of the rights and dignity of women, and a real dialogue with gay Catholics about how we can practically live lives that reflect our human dignity and our profound human need for intimacy and sexual expression... greater autonomy for national churches, a respect for political secularism, and a more open hierarchy that cannot get away with a criminal conspiracy to hide the widespread sexual abuse of children and teens».
Lo schema secondo cui Ratzinger rappresenterebbe l'ortodossia e i suoi critici la rivoluzione è mistificatorio. Piuttosto è la visione di Ratzineger sulla libertà di pensiero all'interno della Chiesa a essere profondamente autoritaria.
«But he is Pope now. And fairness suggests we should wait and see. I can only say that I do so with dread and fear».
In concreto: sacerdozio femminile, celibato dei preti, bioetica, famiglia, omosessualità, morale sessuale (e non solo uso di metodi contraccettivi, ma anche sesso prima del matrimonio). I credenti dovrebbero trovare nella Chiesa una guida spirituale caso per caso o ricevere obblighi e divieti lontani dal loro vissuto e responsabili di un vero e proprio «scisma sommerso», dell'ipocrisia di una doppia morale? Non si tratta di convincere la Chiesa ad abbracciare il liberalismo, le novità dei tempi, ma di credere possibile una Chiesa che sappia riscoprire la potenza dell'annuncio del Vangelo rispetto al potere del divieto. Soprattutto, una Chiesa che si affidi alle coscienze dei fedeli, indicando il peccato, ma senza pretendere che sia reato per tutti i cittadini. Vedremo su questo come si tradurrà in pratica il primo slogan ratzingeriano: «Verità nella carità».

3 comments:

Anonymous said...

Aspettiamo il viaggio in Francia...
è certamente quella l'Europa che vuole raddrizzare.

Anonymous said...

Dalla tua analisi mi sembra che si sia tutti fatto un passo avanti, rispetto alle rivendicazioni di identità dei giorni scorsi...
Ne sono contento.

Anonymous said...

grazie.
Azioneparallela