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Friday, January 14, 2005

La Corte in-costituzionale. La prova che la decisione è politica

Il criterio politico, e non giuridico, utilizzato dalla Corte Costituzionale nel giudicare l'ammissibilità dei quesiti referendari è presto dimostrato, e con argomenti giuridici. La sentenza di ieri, ampiamente prevista, è sì in linea con la giurisprudenza della Corte in tema di referendum. Ma è proprio quella giurisprudenza (così contraddittoria in sé da far rientrare ogni tipo di decisione - fosse stato deciso l'esatto contrario sempre "in linea" sarebbe stata) a non corrispondere alla lettera della Costituzione.

In passato hanno bocciato i quesiti di abrogazione "parziale" perché sono "manipolativi", dicevano, fanno uscire fuori una legge altra, quindi perché sono surrettiziamente "propositivi" (non previsti dalla Costituzione)... ma solo quando gli è convenuto; li hanno bocciati perché sono anche poco chiari e difficili da comprendere dagli elettori... ma solo quando gli è convenuto. Allo stesso tempo però la Corte ha usato respingere, come in questo caso, referendum di abrogazione "totale" nel timore di un horror vacui legislativo. Due motivazioni con le quali la Corte ha allargato all'infinito la propria discrezionalità, che nient'altro diventa se non politica.

Oggi, scrive Michele Ainis su La Stampa, hanno bocciato il «modello costituzionale di referendum, dell'abrogazione secca d'una legge nel suo insieme (come avvenne nel 1974 per il divorzio)... il più limpido, quello maggiormente comprensibile per ciascun elettore. (...) Nella patria del diritto vanno di moda gli arzigogoli, le leggi con 593 commi per articolo e i referendum tagliati con le forbici, una parola di qua, un capoverso di là».

Ainis contesta tutti e tre i possibili motivi per i quali la Consulta avrebbe respinto il referendum di abrogazione totale della legge. Quello del legame alla Convenzione di Oviedo, perché sarebbero dovuti essere bocciati anche gli altri referendum; la questione delle leggi "costituzionalmente necessarie", ma anche in questo caso i referendum parziali avrebbero dovuto subire la stessa sorte; il difetto di omogeneità, perché è nella logica del referendum abrogativo una scelta netta e binaria sì/no.

Il fatto è, conclude Ainis, che «i nostri governanti, e in questo caso il nostro più alto tribunale, ci tengono sotto tutela. Per loro, siamo sempre un popolo bambino». Leggi tutto

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