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Monday, January 10, 2005

Pannella vuole l’accordo: serio tentativo di recupero della legalità

Euforia e scoramento. Due sentimenti fuori posto all'Ergife, ma così comuni.

E' un Marco Pannella in versione «traghettatore» quello che si è presentato alla tre giorni dell'hotel Ergife per proporre «a se stesso e al Comitato» la ricerca di un accordo politico con uno dei poli, «come atto necessario per la conquista di segmenti di legalità nella vita e nell'attività delle stesse istituzioni, e, insieme, per il recupero alle istituzioni della presenza e dell'apporto radicale».

Alla base dell'apertura – per ora l'unica offerta giunge dalla Casa delle Libertà - c'è una premessa, un'analisi: l'illegalità della vita istituzionale e politica del nostro Paese è ormai un fatto compiuto, non più solo in fieri. Un giudizio grave che si fa anche obiettivo e condizione nella richiesta di un «intervento di modifica formale delle regole vigenti», per superare il contesto di illegalità nel quale si stanno per tenere le elezioni regionali 2005 e nel quale si sono svolte quelle del 2000.

Premessa tale analisi, non è sulla base di esigenze di "posizione", identitarie, che i Radicali tenterebbero la strada dell'accordo con il centrodestra, ma rispondendo a un vero e proprio «stato di necessità». Anni di lotte nonviolente e referendarie per impedire che lo Stato italiano assumesse il carattere di illegalità permanente che oggi lo contraddistingue hanno prodotto risultati impensabili, ma ora non avrebbe più senso continuare a "resistere" affinché questo stato d'illegalità non si incardini, non diventi un «connotato storico, sociale, antropologico». Esso ormai è un fatto compiuto.

Se questa è l'analisi, allora sorge la «necessità morale» di comprendere come sia possibile «inserire un principio di contraddizione, di legalità, in questa realtà». In un "regime" - «uno stesso sistema politico articolato in due poli antropologicamente uniti» - costantemente fuori-legge, in una realtà «che sta oggi alla Costituzione repubblicana come il fascismo allo Statuto albertino», è solo dall'interno di uno dei due poli che si può sperare di assicurare alle istituzioni l'apporto dei radicali.

Sussistono e si aggravano infatti, le condizioni al di là delle quali non è possibile alcuna lotta politica. Occorre allora «pagare i prezzi necessari, anche nobili», cercare «di farci accettare da questo sistema in modo da riprendere forza», senza sottovalutare un sistema in cui i principi di legalità non valgono. In questa chiave andranno lette eventuali future intese dei Radicali: non per acquisire "posizioni" o visibilità, ma per assicurare alla realtà istituzionale e politica del nostro Paese un serio tentativo di recupero della legalità costituzionale, dello stato di diritto e della democrazia.

Il dilemma. Quanti tra i radicali all'Ergife hanno reagito a questa "svolta" con euforia, vedendovi finalmente accettata la propria aspirazione a un'alleanza, e quanti invece con scoramento, vedendovi l'abbandono dell'anima nonviolenta e movimentista, hanno mostrato i primi di non ritrovarsi nell'analisi di Pannella della realtà italiana, i secondi di essere legati ad un approccio identitario, specularmente e quanto i primi.

Pannella è consapevole che la sua analisi dell'illegalità in cui versa la vita politica e istituzionale del nostro Paese, premessa dell'apertura a Berlusconi, «non appartiene al vissuto e al pensiero di molti» che pure spingono per un'intesa, ha detto. Che da parte dei "molti" prendere per buona questa premessa conviene per prenderne le sue conseguenze pratiche: «In modo maggioritario qui da noi si coglie quel tanto di strumentalizzabile nella mia posizione... "così si fa questo accordo"».

Credo dunque che sia una presenza in fondo minoritaria, all'interno del movimento radicale, quella di coloro intimamente convinti dell'approccio laico e "pragmatico" pannelliano, quello del "vogliamo tutto il possibile per realizzare segmenti di intesa", quello dei "tratti di strada insieme" con "chi ci sta", sia pure con destinazioni finali diverse, ma senza pregiudiziali identitarie e ideologiche.

Il Comitato dei Radicali italiani si è chiuso con una vittoria solo tattica, se non con una vera e propria sconfitta, o superamento, della linea dellavedoviana. Interessi diversi portano oggi a tentativi di soluzione convergenti per il partito. Ma, ha avvertito lo stesso Pannella, quando i radicali, in conseguenza di eventuali accordi, ottenessero posti in assemblee, o di governo, dopo non molto con alcuni di questi «non ci si troverebbe più insieme». Il prevedere «è anche un modo per esorcizzare e combattere l'affermarsi» della previsione. «So che fra dieci anni non saremo insieme», fu la conclusione di uno scambio di quindici anni fa con Francesco Rutelli, ha ricordato Pannella.

E quando accadrà, non sarà una storia di "tradimenti", ma la dimostrazione della forza delle idee, del fatto che a «idee diverse», corrispondono «forze diverse», ha fatto capire il leader radicale. Sgombrando il campo da ogni equivoco, Pannella ha chiarito che si definisce "radicale" «chiunque compia l'atto del tesseramento», non ci sono né "veri" radicali, né radicali "traditori".

Perché con Berlusconi... e non con il centrosinistra? Nel ricordare come tra le mille chiacchiere giornaliere che si fanno nel centrosinistra non ce ne sia stata neanche una sui radicali, come non ci siano state dichiarazioni, telefonate, incontri che alludessero ad un possibile accordo, e come invece auspici siano giunti dal centrodestra e da Berlusconi in persona, Pannella ha richiamato alla memoria dei radicali il «vecchio riflesso PCIsta» che ancora oggi «domina sovrano».

Con i radicali non si deve parlare, "non esiste", sono da eliminare, peggio dei fascisti, traditori. Prosegue tuttora, fin dagli anni '60, da parte dei vertici comunisti, «l'azione fascista di annientamento feroce dell'immagine e della conoscenza dei radicali», proprio per la sintonia potenziale che avrebbero con il popolo della sinistra. Un concetto ben preciso è stato invece trasmesso nel Dna di quel popolo: «Se ce la fanno i liberali, gli Einaudi, gli Ernesto Rossi, e la rivoluzione liberale, allora siamo morti».
Sintomatica di questo atteggiamento fu la risposta che Pannella ricevette da Togliatti alla lettera aperta che nel '59 scrisse su Paese Sera rivolgendosi al leader comunista.

5 comments:

michele said...

qualche osservazione: credo che pochi facciano caso (ma tu sì) alle parole del "vate" con molta attenzione. nel suo secondo intervento al comitato ha detto chiaramente come stanno le cose: per lui la questione è quella della legalizzazione delle elezioni, poi se c'è un tanto di "strumentalizzazione" di questo da parte di alcuni che tra qualche anno saranno chissà dove, va bene.

poi una critica. non c'è bisogno di andare a togliatti per descrivere i rapporti tra sinistra e radicali. sicuramente è rimasta l'importa data dal togliattismo nel trattare i radicali come traditori, spie del regime e altro, ma il riflesso di oggi è anche altro... e molti lì neanche se lo ricordano togliatti. si tratta semmai di sfiducia e incapacità di avere un approccio programmatico alla politica. mai come oggi la sinistra post-girotondina e pacifista usa inconsapevolmente schemi identitari e di posizione.

Anonymous said...

se vi mettete col centro destra per un pezzo di pane dopo che vi sta facendo la guerra sul referendum...perderete credibilità.
Per un radicale deve essere faticoso orientarsi con questo confuso centrosinistra, ma come non sentirsi a disago con questo centrodestra?
Bah...
Luciano

JimMomo said...

Vedi Luciano, se non si seguono le cose che accadono, si perde il contatto con la realtà. Leggere il post che hai appena commentato ti avrebbe già dovuto aiutare a scrivere un commento diverso. Qui ti dò una risposta concisa, poi rileggi il post.

La decisione di Pannella si basa su delle analisi che chiamano in gioco la possibilità stessa, in un quadro sempre più deteriorato, di poter continuare quelle lotte per la legalità a cui non rinuncerebbe neanche da morto.

Se "fuori" non si può più, allora si va "dentro", si paga ciò che si deve, ma non si rinuncia ad assicurare al Paese quelle lotte di cui necessita.

Il centrosinistra? Se solo battesse un colpo, Pannella accorrerebbe, ma il problema è l'analisi. Semplicemente non corrisponde a realtà il fatto che il "caso Italia" sia addebitabile solo a Berlusconi. La sinistra è responsabile, eccome. Poi c'è l'ostacolo più grosso: leggi il mio post alla fine, sull'odio che c'è a sinistra contro i radicali e che non nasce dal dialogo con Berlusconi, ma dagli anni '60.

Infine, la cosa più importante da capire. Quando Pannella cerca delle sponde non è MAI per una questione identitaria, perché si sente più vicino all'uno o all'altro dal punto di vista ideologico, bensì perché intuisce dove, come e quando possono aprirsi le possibilità di quelle lotte radicali che oggi - rebus sic stantibus - gli sono precluse.

Anonymous said...

I radicali oggi potrebbero essere determinanti in diverse regioni (Piemonte e Lazio, ad esempio).
Determinanti sia candidandosi da soli che alleandosi con la GAD o con la CdL.
A quel punto, alle politiche potrebbero essere altri a bussare alla porta dei radicali, dopo averli snobbati a lungo.
Vada come vada, i radicali devono esserci e devono contarsi.

Anonymous said...

Oggi nei DS il togliattismo è ampiamente superato. Chi non vuole i radicali nel centrosinistra (e ovviamente nemmeno nel centrodestra) sono i clericali, è il vaticano.

Il vero nemico dei radicali è il vaticano, non la sinsitra.