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Tuesday, January 11, 2005

Palestina avanti adagio, la bussola sulle libertà

Gli scenari incoraggianti e i lati oscuri, a tratti inquietanti, della vittoria di Abu Mazen. Ci affidiamo all'analisi di Emanuele Ottolenghi, Il Foglio. Oggi il nuovo quasi-leader gode della stima, o della disperante speranza, da parte dell'Europa, di Bush, persino di Sharon, ma dovremo avere il coraggio di giudicarlo sui fatti, che sono fatti anche di parole.

Sul Wall Street Journal di oggi, Natan Sharansky inchioda il nuovo presidente dell'Anp alle sue responsabilità e individua criteri chiari ed evidenti a tutti sui quali giudicare la sua azione di governo, sempre partendo dal presupposto che la pace è possibile solo dove c'è libertà. Non basta il pragmatismo, che nasconde le ambiguità, ma va sotterrata la pergamena di Oslo, dalla quale uscimmo credendo che «un dittatore forte avrebbe fatto una pace forte».

Meno summit quindi, e più libertà per i palestinesi, attraverso 4 obiettivi discriminanti cui su questo blog guarderò, appunto per valutare Abu Mazen: l'espressione del dissenso, l'educazione dei giovani, il miglioramento delle condizioni nei campi profughi, la creazione di una classe media economicamente indipendente. Palestinesi e israeliani possono fare molto, ma il mondo libero, guidato dall'America, sarà determinante:
«By linking its policies toward the PA to the expansion of freedom within Palestinian society, it can encourage Abu Mazen to make the only choice that will give peace a chance». Leggi tutto
Due vincitori: Bush e Sharon. Innegabile, in Medio Oriente spira un vento nuovo con tutte queste elezioni. I "disastri" della politica americana hanno messo il fondamentalismo sulla difensiva. Eppure, lo sottolinea Magdi Allam sul Corriere della Sera, non si auspica il successo delle elezioni irachene del 30 gennaio come si è salutata la regolarità di quelle palestinesi, possibili anche grazie alla criticata politica di Sharon contro il terrorismo (muro ed esecuzioni mirate).

Popoli ignorati. Al solito, i popoli, i loro destini, i loro diritti, rimangono sullo sfondo dell'odio ideologico antiamericano che l'occidente continua a coltivare al proprio interno. Molti qui da noi per l'Iraq parlano del terrorismo come di «"resistenza" nazionale contro l'occupazione».
«Indifferenti al fatto che la gran parte degli iracheni sostengono il governo Allawi e il processo di democratizzazione, e che la gran parte delle vittime del terrorismo sono irachene. Immaginando che gli iracheni sarebbero felici di essere sottomessi alla mercé del terrorista Bin Laden e del tagliagole Zarkawi, o alla tirannia degli ex agenti segreti di Saddam.

La verità è che nella valutazione della vicenda irachena non si considera il vissuto della maggioranza delle persone, la comune aspirazione della gente semplice a una vita pacifica, sicura e prospera, ma prevale bensì l'ideologismo antiamericano». Leggi tutto

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